Lo statalismo, il cancro più mortifero della nostra era. Non solamente in economia ma soprattutto sul piano religioso e culturale. La libertà allo stadio terminale.

Bruxelles, 29 giugno 2016

 


La coscienza cristiana

ben formata non permette

di utilizzare il proprio voto

 per la realizzazione di un

programma politico o di una

legge isolata i cui contenuti

fondamentali della fede o

della morale sono stravolti

dalla presentazione di

proposte alternative o

contrarie a questi contenuti.

Monsignor Giampaolo Crepaldi
Responsabile della DSC
(Dottrina Sociale della Chiesa)
e arcivescovo di Trieste.

 

Per cosa
bisogna lottare?
Per l’umano
e
per l’eterno.

Monsignor Luigi Giussani
Fondatore di
Comunione e Liberazione
(in via di canonizzazione)

 

 

Sommario

Introduzione
– Gli uomini hanno generato negli ultimi secoli mostri che le masse popolari hanno finito per quasi considerare famigliari, in una follia volontaria di autodistruzione

Prima parte
Qual è l’attuale problema centrale e più grave, sia eeconomico-politico che culturale e religioso, della nostra epoca postmoderna?
Cosa mettere in esergo? Dall’ideologia modernista allo statalismo di oggi.
– Cos’è lo statalismo politico-economico postmodernista?
– Esistono attività proprie agli Stati delle società moderne e libere?
– Ma in che lo statalismo è la radice dell’anti religione e non solamente di quella politicistica, oppure  solo économica?
– Qual è il fondamento dello statalismo in rapporto alla totalità e alla globalità del religioso?
– Come si manifesta attualmente lo statalismo in Europa?
– Qual è l’enumerazione dei misfatti disastrosi alla base dello statalismo?

Seconda parte
La descrizione in dodici punti argomentati dei disastri spirituali e materiali compiuti quasi silenziosamente dallo statalismo postmodernista.
– Come pensare allo sviluppo della ricchezza spirituale, culturale e economicamente materiale nella denatalità massificata?
– Come vivere un edonismo, in sovrappiù pezzente, al di sopra e criminalmente ai propri mezzi?
– Perché gli “esperti” politici, economisti e intellettuali occidentali non parlano mai di denatalità?
– Come giungere al paese di cuccagna dove poter non rimborsare i debiti abbondantemente e facilmente contratti?
– Perché aver affermato che lo statalismo costituisce la malattia più grave e importante della nostra epoca?
– Si può sempre nascondere e neutralizzare un elefante nella cristalleria?
– Come realizzare realmente il comunismo postmoderniste, in pratica senza dirlo?
– Come generare il consenso, da parte del regime statalista, in una socierà detta della comunicazione?
– Qual è il punto chiave della mutazione dell’azione sociale e politica oggi indispensabile?
– Come evitare la corruzione, la subordinazione o la paralisi di grandi settori della popolazione clientelizzata allo scopo di sottrarla alla teleologia statalista?
– C’è modo di impedire la centralizzazione anti democratica e demagogica dello statalismo fasificatore?
– Come opporsi a trasportare la società statalista dello spettacolo nello spettacolo della società, anche della politica demagogica e della reificazione?

Conclusioni
Quattro celebrazioni ben totalizzanti e religiose con sei falsificazioni
– La celebrazione dell’ontologia della missione umana nella progettualità divina
– La celebrazione del valore aggiunto del lavoro alla libertà, alla bellezza della vita e all’armonia universale
– La celebrazione dell’
Humanae vitae come salvezza del mondo nella naturalità divina
La celebrazione della verità contro le sei più frequenti mistificazioni nichiliste
Nota sull’autore
Introduzione

Gli uomini hanno generato negli ultimi secoli mostri che le masse popolari hanno finito per quasi considerare famigliari, in una follia volontaria di autodistruzione

Questo documento ha per tema principale lo statalismo, il molto catastrofico, il più disastroso e mortifero flagello della nostra era così irreligiosa e pure transumanista.
Come si è giunti a questa condizione spaventosa? La ricerca della verità, della semplice verità, mi ha messo sul cammino di questa ventina di piccoli capitoli per iniziare a descriverla. Il principio radicale di Alexis Carrel, uno dei Premi Nobel della medicina, dunque non sospetto di banalizzazioni insignificanti, ricordava che troppa “complessità” porta fatalmente molto lontano dalla verità. Noi viviamo pure in un universo ormai detto del pensiero unico e liquido, che afferma tranquillamente che la verità non esiste: inutile cercarla, ripetono. E che il nefasto relativismo è la nuova legge universale alla quale bisogna riferirsi. Le innumerevoli argomentazioni, soprattutto se speculative e dialettiche, sono finalmente tutte messe sullo stesso piano e considerate sostanzialmente validate (relativisticamente) nel patrimonio delle idee accettabili dal nichilismo. Ma a condizione che esse non riguardino il cristianesimo: da abolire, secondo tutti i laicisti. Tuttavia, se non si crede più in Dio, si è costretti di constatare l’attività forsennata del diavolo che, invece, crede fermamente nella Trinità.
Un ritorno alle semplici e primordiali matrici del pensiero e della tradizione culturale occidentale non è dunque un esercizio inutile. In più, affermo anch’io la totale soggettività ontologica della Persona come centro esistenziale, misterioso e vitale del cosmo e del logos. E questo contro la falsa idea molto corrente secondo cui è la materialità e il fattuale (detti tangibili), cioè la sedicente “obiettività incontestabile del réale” però indipendentemente dal razionale, a poter certificare il fondamento della vita e dell’universo.
Questo è dunque un documento che forse si vuole in apparenza contro corrente. Tanto più che presento subito e molto esplicitamente la mia matrice vitale e culturale, coscientemente sottomessa a quella della Verità rivelata del cristianesimo cattolico. È a questa concezione religiosa che ho sottoposto tutta la mia esistenza personale, famigliare e professionale.
Così come ho atteso prudentemente, forse troppo prudentemente, i miei cinquant’anni prima di scrivere il mio primo libro e siccome sono sempre un piccolo imprenditore attivo che non ha fondato la riuscita della sua vita sul successo della sua stilografica, ma grazie al mio lavoro esclusivamente nel mercato beninteso libero, penso aver così accumulato i crediti per minimamente giustificare il mio modesto testo e la vostra buona lettura critica. Per farlo, ho anche scritto i titoli dei miei piccoli capitoli in forma interrogativa allo scopo di funzionalizzare il mio dire, possibilmente abbastanza breve, in forma interrogativa per almeno rispondere alla ventina di domande poste.
La vita, credo, non è lontana da un continuo interrogarsi per trovare le buone risposte. Anche a rischio di apparire banali, scontati  anche nello stile dell’apparente évidenza!

F.T.                                                                                                                                                                        Bruxelles, 29 giugno 2016
troiano.f33@gmail.com    www.francamente2.com    www.francamente2.com
Prima parte

 

 

Qual è l’attuale problema centrale e più grave, sia economico-politico che culturale e religioso, della nostra epoca postmoderna?


Cosa mettere in esergo? Dall’ideologia modernista allo statalismo di oggi

Se mezzo secolo fa avrei iniziato a scrivere questo documento per la denuncia dell’ideologia del modernismo, soprattutto con le sue radici esclusivamente marxiste dell’epoca, ora posso solo mettere in rilievo – come problema centrale e prioritario almeno dell’umanità occidentale – lo statalismo.
Come il modernismo, attualmente sempre problema preponderante nella nostra contemporaneità, in quanto ideologia devastatrice che concepisce l’uomo assurdamente autonomo, autosufficiente e molto scettico, lo statalismo riguarda sia il tema del sedicente progressismo economico che quello religioso.
La tematica religiosa, checché se ne dica, è comune al modernismo e allo statalismo: negli anni ’50-’60, l’Occidente si chiedeva come sostituire l’idea cristocentrica dell’esistenza e del mondo che già più di due secoli di ateismo militante illuminista aveva gravemente deteriorato. La “morte di Dio” era stata infatti  decretata da Nietzsche già verso la seconda parte del diciannovesimo secolo. Ma sul piano planetario e  sociale non si era ancora enucleata una visione veramente nuova che potesse cominciare a rimpiazzare – come follemente desiderato – quella teocentrica. Lo scientismo della tecnoscienza da sola appariva ancora insufficiente e poco stabile in confronto a tutta la bellezza dell’architettura e la struttura di verità della civiltà cristiana. Questa, non solamente è all’origine di tutto l’universo, ma l’ha letteralmente costruito mattone su mattone oltre che annunciata, a dispetto della distruzione e della disarticolazione che avevano animato l’applicazione della terribile libertà della rivoluzione francese. Così, la ricerca di un modello politico e permanente, allo scopo che l’idea del riduzionismo modernista detto progressista (è di quello che si tratta) possa realizzarsi e perennizzarsi, ha trovato comme risposta completa e apparente lo statalismo.
Il modello comunista, all’origine del collettivismo statalista, grazie al suo successo incontestabile presso la “classe operaia europea” durante più di un secolo, è stato utilizzato solo come ispirazione di matrice e non veramente integrale: e questo, naturalmente, in quanto nel frattempo esso stava incamminandosi verso il fallimento.
La risposta culturale, politica ed economica provvisoriamente finale è stata così data completamente dallo statalismo, in un primo tempo socialista (appena prima si era avuto quello di tipo nazionalfascista o nazista) e, attualmente, dallo statalismo postmodernista di tipo orribilmente transumanista.
Soprattutto che con il crollo mondiale dell’utopia socio-comunista (dichiarata universalmente e spontaneamente nel 1989), si è passati definitivamente nell’era del postmodernismo.

 

 Cos’è lo statalismo politico-economico postmodernista?

Abitualmente si situa quasi sempre lo statalismo esclusivamente nella dimensione economica in quanto si tratta del suo riferimento visibile più materiale e soprattutto immediatamente percepibile: è lo Stato che interviene nella vita economica e si assume, almeno nominalmente, le responsabilità conseguenti alla sua gestione politica e finanziaria.
In verità e ontologicamente – vale a dire secondo le regole naturali ed intrinseche della realtà – si capisce che si tratta strettamente dell’affare della Persona, della società civile, dunque dell’insieme delle popolazioni, a intraprendere, sviluppare e gestire le attività anche e soprattutto economiche. Ma ancor più si tratta di lavoro umano proprio a queste attività, quelle della più nobile collaborazione cooperativa tra gli uomini e il Creatore nella creazione continua della vita e della civiltà: sia spirituale che materiale.
Questo lavoro, per definizione, può essere solo la risposta alle necessità che gli uomini, in tutta libertà, incontrano nella loro esistenza quotidiana.
Se c’è una sola e unica possibilità che lo Stato possa intervenire negli affari economici prodotti dalle attività degli uomini, essa è esclusivamente in termini di sussidiarietà. Ciò vuol dire che il suo intervento è giustificato solo quando i cittadini sono eventualmente deficitari o incapaci di farlo: per esempio nelle società primitive o sottosviluppate. Mai nelle società moderne e, men che meno, in quelle postmoderne dove il livello culturale générale non è più, per l’essenziale, da fondare e costruire!
Anche nei rari casi dove, nelle società dette “in via di sviluppo iniziale”, lo Stato intervenisse allo scopo di creare da zero una attività (di utilità pubblica) in un certo settore, deve imperativamente uscirne e disinvestirsi dalla sua impresa iniziale e “missionaria”. Quando? Il più presto possibile, allorquando il processo del saper fare si è costituito nella sua riproducibilità culturale e all’interno della società civile. Tutte le società occidentali sono largamente in queste condizioni. Altrimenti, lo Stato si pone in assurdo e surreale concorrente alle attività dette private, identificate a quelle della Persona. È l’uomo e non lo Stato il protagonista della vita e del lavoro. Lo Stato non ha dunque alcuna necessità, né vocazione, di essere presente nelle attività economiche. Esso deve lasciare l’iniziativa a ciò che viene chiamato il settore privato e garantirne il libero sviluppo. È ben questa garanzia che è propria e specifica della sua funzione. Se invece esso persiste in siffatto ruolo interventista non naturale, si tratta della corrispondente distorsione dello statalismo.
Ma perché statalismo modernista e non solo moderno?
Perché il modernismo, che s’è sviluppato soprattutto a partire dall’inizio del  ventesimo secolo, ha conquistato la gran maggioranza dei popoli almeno occidentali. Così lo statalismo si è aggiunto, soprattutto dagli anni ’60-’70, al modernismo di tutto il secolo passato. Il quale si è caratterizzato soprattutto con l’ideologia marxista che s’è evaporata fino a confessare il suo totale fallimento. Ma mentre il marxismo si trasformava sempre più in relativismo proprio al pensiero debole, oppure attualmente al pensiero unico e liquido, il modernismo s’è cristallizzato come concezione sul fondo della scena, tuttavia sempre attivamente operativo.
Ma cos’è quindi questo modernismo?
Altro non è che l’ateismo o l’agnosticismo che, rifiutando Dio, cerca di concepire l’uomo totalmente padrone di se stesso, autocreatore ed esclusivo conducente della sua esistenza. Ma siccome l’uomo ha un bisogno innato e ontologico di riconoscere in ogni caso la sua dipendenza (in quanto è nato non per sua volontà ed è destinato a morire un giorno) s’è creato come idolo il totem della tecnoscienza come dominatore della vita e dell’universo. Questa visione è però entrata sempre più profondamente in crisi nell’ultima parte del secolo scorso. Così si è passati all’era del postmodernismo in quanto la modernità aveva ormai  troppe certezze materialiste, verificate false con evidenza. In tal modo, la postmodernità attuale cerca di fondarsi sull’ultimo pensiero detto liquido ancora più fragile, inconsistente e programmaticamente sperduto. Quello, lo stesso, che ha anche inventato in modo stravagante il Gender.
Lo statalismo si è così costituito come il sedicente ancoraggio sociale, anche se apparente ma di dimensioni in compenso gigantesche, in grado di conferire un simulacro di solidità ai contemporanei illusoriamente padroni, ma realmente schiavi, di loro stessi. Da cui lo statalismo postmodernista.

 

Esistono attività proprie agli Stati di società moderne e libere?

Certamente sì. Esse sono attività statali e, va da sé, non stataliste. Questo secondo aggettivo indica naturalmente l’anomalia ben degradata del primo. Allora, quali sono le attività che sono e restano proprie allo Stato, per conseguenza statali e non stataliste? Fondamentalmente, quelle relative alla Sicurezza, alla Giustizia e alla Democrazia.
In ogni caso devono essere tutte essenziali e minimali: in sussidiarietà. Gli uomini, anche se non cristiani, non sono e non possono essere anarchici che negano, molto semplicisticamente ed in modo primitivo, lo Stato.
Una società dunque dove la persona può vivere in libertà al livello massimo. È questa la prima caratteristica valoriale più umana: la libertà. La funzione primaria ed essenziale dello Stato è dunque l’assicurazione a tutti i livelli della libertà della Persona. Si possono avere anche società povere ma libere e società ricche, molto ricche, ma dittatoriali e orribilmente senza libertà.
Tutte le attività dello Stato devono essere dedicate, prima di tutto, alla libertà della Persona: è anche il senso dello Stato di diritto, molto antico e particolarmente di diritto romano.
Anche la giustizia è tutta interna alla libertà e ad essa subordinata. Vedremo come tutti i conflitti nel mondo derivano dalla superiorità invertita attribuita alla giustizia in rapporto alla libertà.
Lo statalismo è dunque esattamente all’opposto della libertà. Vale a dire il problema originario più grave della nostra epoca dove lo Stato pretende di subordinare il valore irriducibile della Persona. Ed è giustamente questa pretesa che costituisce il principio delittuoso ab ovo, intrinsecamente e ontologicamente all’attacco della natura originaria del lavoro umano. Nella sua essenza, lo statalismo è per conseguenza in opposizione al necessario valore aggiunto all’infinita ricchezza della Creazione. Così, la concezione religiosa e non nichilista, quella statale e naturale del lavoro, non si limita a produrre solamente valore materiale utile a calcolare l’importo dell’IVA (Imposta del Valore Aggiunto),  ma costituisce il valore universale con la Creazione che solo la Persona, inviolabile e protagonista, può concepire e realizzare. Soprattutto, come lo precisa in una recente intervista il fondatore dell’americano Acton Institute, Robert Cirico, uno dei più grandi esperti della DSC (Dottrina Sociale della Chiesa)  con Mihael Novak (il quale era stato scelto da san Giovanni Paolo II come specialista economico della Chiesa agli inizi degli anni ’80). Lo Stato, infatti, non è nemmeno il primo partner nell’associazione di subsidiarietà. Prima di venire in aiuto alla Persona  – precisa Cirico – “… esso giunge dopo la Famiglia, la comunità più vicina e la società al livello locale. È allorquando non si può fare altro, che lo Stato può legittimamente intervenire”!

 

Ma in che lo statalismo è la radice dell’anti religione e non solamente di quella politicistica, oppure solo économica?

Spesso, anche grandi responsabili della Chiesa cattolica non sanno opportunamente porsi questa centrale domanda. Oppure essi decidono, il più spesso autolaicisticamente, di astenersi dal  rispondere. E questo malgrado che la primissima parte della Bibbia stessa, quella della Genesi, sia dedicata giustamente al Lavoro: soprattutto quello esemplare di Dio.
Preciso subito cosa intendo per religioso (ma queste idee non sono naturalmente mai del mio sacco). Parlo in questo caso dell’accezione originale della parola religione. Quella globale e totale: religione ha come provenienza etimologica il termine latino “religare”, ricollegare il particolare alla totalità e viceversa. Alla altezza e alla profondità, va da sé, del globale che vive intrinsecamente in ogni essere umano e ne costituisce la tessitura vitale e totalizzante. Ciascuno di noi – lo si sa grazie all’immensa cultura cristiana – non è ciò che fa, ciò che crede essere o ciò che appare: egli è molto altro e infinatamente di più, anche al di là dell’immaginazione della stessa persona. Ed è questa dimensione che rende l’uomo sia incommensurabile ai suoi pensieri, ai suoi atti e, nello stesso tempo, totalmente nell’unità sacra e misteriosa con ogni altro essere umano.
La tradizione cristiana ha sempre chiamato questa grandezza con la parola “trascendenza”, oppure con l’espressione “all’immagine di Dio”.
L’uomo, anche il più volontariamente ottuso, cerca sempre l’infinito di se stesso: la cosa è stata chiamata “senso religioso naturale” particolarmente descritto meravigliosamente in modo ipermoderno da don Giussani fin dagli anni ’50. Questa tendenza irriducibile e incompressibile è sottomessa agli innumerevoli tentativi del riduzionismo da parte del nichilismo contemporaneo proprio allo statalismo. La sua propaganda, giorno e notte, è diffusa massivamente dal potere multiforme del mondo che vuole imporre che l’universo è governabile, deve essere governato ed esclusivamente dall’uomo e dai suoi soli criteri fondati sui suoi desideri (notoriamente anche molto mutevoli). La morte di Dio è il Leitmotif di questa propaganda gridata ma allo stesso tempo, ormai, stranamente e sistematicamente silenziosa detta oggettiva. E affermata da una idea ludica corrispondente a ciò che descrivevano i situazionisti francesi all’inizio degli anni ’60 con il loro “spettacolo della società e la società dello spettacolo”. Un concetto analogo, ma più profondo e articolato, era stato concepito dallo scrittore olandese Johan Huizinga, particolarmente nel suo libro Homo ludens, pubblicato nel 1938.
Ma la natura ludica dell’uomo nella sua produzione, se essa non è ricondotta alla sua costante trascendenza, può perfino soffocarlo. Come lo diceva soprattutto Gilbert K. Chesterton, un centinaio di anni fa, l’uomo rischia di fare la fine del ragno che, dopo essere disceso dal suo filo ben ancorato in alto e aver costruito tutta la sua ingegnosa tela, decide curiosamente di tagliare il suo filo di ancoraggio: così tutta la sua costruzione, fatalmente, non può che raggomitolarsi attorno all’insetto diventato così vittima, paralizzandolo e soffocandolo…
Lo smarrimento cieco e autodistruttivo dell’uomo contemporaneo, dopo aver secato e pure negato il suo rapporto vitale con Dio, non poteva essere meglio illustrato.
Ecco anche descritto, con questa metafora ben appropriata, il progetto masochista attuale dello statalismo con il suo ateismo come ideologia autodemolitrice di tutto l’universo armonioso, rivelato, scoperto e costruito in parecchi millenni.

 

Qual è il fondamento dello statalismo in rapporto alla totalità e alla globalità del religioso?

Già mille cinquecento anni fa, sant’Ambrogio, vescovo di Milano, scacciò l’imperatore dalla sua cattedrale dopo che questi aveva osato pretendere di spadroneggiare sul potere spirituale del prestigioso prelato, proveniente da Treviri, nella Germania dell’epoca.
Gesù stesso aveva fondato, per la prima volta nella storia, il principio della distinzione dei due poteri: quello spirituale e quello temporale. Che ci si ricordi delle sue stesse parole evangeliche: “Dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Da allora, tutta la tradizione ecclesiale aveva coniugato questa distinzione dottrinaria, peraltro molto moderna (si pensi all’integralismo rovinoso dell’Islam!), con il principio secondo cui la politica può fondarsi  solo sulla legge morale divina che la deve costruire, guidare e sostenere.
Senza legge morale niente politica veramente umana! In quanto è per l’appunto la politica che deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa come lo pretende lo statalismo. La legge della distinzione e della separazione dei due poteri non deve fissarne la sua possibile dicotomia, né soprattutto la supremazia della politica (il potere mondano) su quello spirituale: altrimenti, non si deve essere sorpresi dalla sempre eterna mascalzonaggine politicistica.
Qui val la pena di citare Dostoievski che scriveva, nel senso negativo, “Senza Dio, tutto diventa possibile!”. Da cui la collera energica, molto energica e ben fondata passata alla storia, di sant’Ambrogio.
Inevitabile il paragone con il piccolo potere maggioritariodel Vaticano attuale il quale non fa che cercare di correre appresso, o davanti, alle decisioni del potere temporale per cercare di “comporre” con le incompatibilità politiche nichiliste antiumane et transumaniste, senza però proclamare i suoi principi non negoziabili ora anche abbandonati!
Per esempio, contro quelli impensabili del Gender. Non c’è niente da comporre, né da trovare sedicenti mediazioni. Bisogna, semplicemente s’opporre alla continua deriva LGBT e testimoniarlo in modo forte sui tetti. E se ci si ritrovasse in minoranza quantitativa, bisogna continuare a lottare pubblicamente e porsi molto chiaramente all’opposizione. Semplicemente. Ogni altra politica non può che essere eretica. Perché?  Perché lo Stato statalista afferma un principio devastatore, sulla cristianità. E questo da un punto di vista delle leggi terrene, sull’umanità. Quello cioè della predominanza del potere materaile sul potere spirituale. Utilizzando una visione evidentemente non ontologica ma scervellata che non ha niente à vedere con la razionalità. È il caso, per esempio, di tutte queste sedicenti leggi progressiste LGBT. Le leggi fondate sul riduzionismo teorico e elettoralistico, et non, sulla verità totalizzante e globalizzante, sono tutte contro l’humanità. L’umano naturale e quello cristiano coincidono sempre.

 

Come si manifesta attualmente lo statalismo in Europa?

Non c’è nessun paese dell’Unione europea che possa attualmente sfuggire ad un grado di statalismo già grave. Anche paesi come l’Ungheria, la Polonia o la Slovacchia che, a ragione della loro conoscenza quasi perfetta degli orrori dello statalismo comunista, sono costantemente attaccati in modo feroce dal Parlamento e la Commissione europei che contestano loro, senza alcun mandato e indebitamente (!), le loro leggi anche reattive ma sempre sovrane e antistataliste. I livelli di avanzamento dello statalismo sono misurati dalla reticenza a semplicemente non parlare dell’essenziale, oppure a limitarsi ad allusioni leggere e rare, sul piano pubblico. Per esempio, si ha una abituale complicità da parte di quasi tutta la classe dirigente o intellettuale europea, e delle differenti nazioni, a nascondere attivamente le catastrofi, che enumero qui sotto in modo sintetico, già compiute anche da decenni. La cosa la dice lunga sul reale livello d’idolatria che lo statalismo introduce strutturalmente nei comportamenti umani. Al posto di chiedere l’intervento sussidiario necessario, dopo che tutte le altre comunità ben più vicine alla Persona abbiano potuto realizzarle, il vizio è di saltare tutti questi corpi intermedi naturali per subito fare intervenire, in questo caso diabolicamente, lo Stato direttamente. In modo statalista.
Ma prima di cominciare ad enumerare questi disastri così realizzati, bisogna considerare che essi sono stati inseguiti sistematicamente e in modo accelerato da più di mezzo secolo. E questo  a) sul piano globale e religioso; b) su quello culturale; c) sul piano politico; e infine d) su quello economico.
Si può dunque dire che una vera e propria mutazione, se non antropologica, almeno profondamente e gravemente culturale è in corso d’avanzamento da parte dello statalismo del nostro Vecchio Continente.

 

Qual è l’enumerazione dei misfatti disastrosi alla base dello statalismo?

Mi son fermato al dodicesimo. Li riprenderò uno per uno nella seconda parte qui di seguito in questo documento.

1 – Prima di tutto, la mostruosa denatalità malthusiana come ideologia sempre falsa da due secoli (!) e dominante quasi senza speranza: tre volte la popolazione europea non nata dal 1970 nel mondo.

2 – Poi  una concezione scervellata di un edonismo immorale e a credito, miserabilmente piazzato sul gobbone delle generazioni seguenti. E questo da parte già di due generazioni a partire dagli anni ’60.

3 – Di seguito, una conseguente penuria depressiva della domanda interna senza precedenti dei paesi occidentali nell’economia (causa principale della crisi totalmente trascurata da tutta l’intellighenzia).

4 – Un indebitamento insostenibile e crescente mai veramente rimborsato, anche cinicamente.

5 – Una crisi di impoverimento con una disoccupazione generalizzata record e una precarizzazione supplementare soprattutto per i giovani (intorno al 40-50% !) nella maggior parte dei paesi europei.

6 – Un costo annuale gigantesco e paralizzante a causa degli interessi del debito pubblico accuratamente nascosto.

7 – Un livello di tassazione che potrebbe far impallidire le più folli ambizioni comuniste, rese anche “normalizzate”: già una generazione ha vissuto senza aver mai visto nulla di più umano!

8 – Un grado di falsificazione demagogica della comunicazione sociale mai raggiunta nella storia.

9 – La trasformazione in diritti inalienabili e da legiferare dei desideri individualisti e intellettualisti.

10 – La creazione d’innumerevoli clientele corporatiste, parassitarie e immorali, che demoralizzano la vita sociale così sprovvista di reale teleologia di sviluppo.

11 –  La centralizzazione decisionista dei governi via un gigantismo costoso e inefficiente, anche parlamentare e antidemocratico, fondato sui privilegi illegittimi e endemici di casta.

12 –  La deviazione sistematica dei temi detti delle riforme legislative centrate sulla spettacolarizzazione e i miti per una sedicente nuova società burocratica di “perfezione” laicista senza Dio.

Questi dodici disasri, che stanno disarticolando e distruggendo, in un falso ludismo logorreico e distraente, principalmente televisivo, totalizzante e in sovrappiù mortifero, per tutta la nostra civiltà, si celebra in un’orgia resa quotidiana d’irresponsabilità individualista. Tutta la nostra civiltà progredisce a marce forzate verso un abisso quasi inevitabile, anche se quasi totalmente nascoso e non detto.

 

 

Seconda parte

 

 

La descrizione in dodici punti argomentati dei disastri spirituali e materiali compiuti quasi silenziosamente dallo statalismo postmodernista.


Come pensare allo sviluppo della ricchezza spirituale, culturale e economicamente materiale nella denatalità massificata?

Primo misfatto – Innazitutto, la mostruosa denatalità malthusiana come ideologia sempre falsa
da due secoli (!) e dominante quasi senza speranza: tre volte la popolazione europea non nata dal 1970.

La quasi totalità dei politici, degli economisti e degli intellettuali occidentali non ne parlano praticamente mai. È rarisssimo che si senta una voce diversa o dissonante. Anche la smentita puntuale degli innumerevoli falsi annunci delle riprese economiche non ha ancora indotto la quasi totale maggioranza degli osservatori economico-politici ad avvicinare la semplice verità intorno alla più grande crisi economica della storia: né nell’analisi diagnostica, né – va da sé – nella sua vera terapia.
E pertanto veri profeti in materia – come abitualmente non troppo ascoltati e seguiti – si sono chiaramente manifestati, con intelligenza e diligenza, da parecchi anni.
Riassumo brevemente, sempre molto brevemente, se possibile.
La crisi economica in questione non è assolutamente cominciata, come si ripete meccanicamente, nel 2008-09 ma progressivamente dalla fine degli anni ’60 fino all’esplosione più clamorosa, in quanto cumulata, dagli ultimi sette-otto anni. Che si ricordi della lunga catena delle crisi settoriali (le famose “bolle”, crisone e crisette) che si sono succedute fino alle ultime denominate subprime nordamericane: già negli ultimi anni ’70, con la crisi siderurgica, o quella detta della borsa alla fine anni ’80, oppure quella “informatica” del ’98… Esse erano tutte vere. Ma molto pochi veri esperti, piuttosto illuminati e non a caso religiosi o totalmente razionali come il grande scrittore e professore di università, sir Jonathan Sacks (rabbino capo in Gran Bretagna), oppure Ettore Gotti Tedeschi (ex responsabile delle finanze del Vaticano e scrittore jornalista prestigioso) avevano visto, nella serie di tutte queste crisi, gli epifenomeni dell’intervento artificiale e contro natura da parte degli uomini.
Cos’era questo intervento non naturale? Principalmente la denatalità: l’ordine armonioso della vita è stato sconvolto dal narcisismo e l’arroganza degli uomini che hanno deciso d’intervenire, nel mistero eterno dell’ordine del cosmo e del logos, con la soggettività dei loro desideri anche falsamente edonisti. Così in un mezzo secolo, i demografi hanno calcolato che con l’utilizzo massificato della pillola contraccettiva e la banalizzazione delittuosa dell’aborto generalizzato, un miliardo e mezzo di non nati nel mondo sono restati nei ventri delle donne contemporanee: l’enormità di tre volte la popolazione europea!
Con la stessa progressione spaventosa, le crisi economiche – provocate anche per altre concause seriali e tecnologiche, reali ma marginali o irrilevanti – si sono cumulativamente seguite. E questo per semplice e conseguente deficit di domanda interna nei paesi occidentali. La colossale depressione economica che noi conosciamo non ne è altro che la conseguenza primaria e progressivamente immediata.
Quali sono le origini di questa follia umana? L’ideologia statalista!
Che si pensi alla falsificazione dalle dimensioni oceaniche del malthusianesimo: da più di due secoli si pensa, tranquillamente come se si trattasse di una verità eterna, che ci sono troppe persone sulla Terra. Già l’inglese Malthus, capo storico di questa colossale stupidità eponima, ben condivisa e per lungo tempo, affermava come ultra bisnonno degli scientisti razionalisti (per niente razionali!), che il pianeta non poteva nutrire tante popolazioni. Alla sua epoca, inizio diciannovesimo secolo, c’erano solo un quinto delle popolazioni attuali nel mondo! Senza parlare che nel 2015 si è prodotto più del 150% del necessario per nutrire tutti i popoli della Terra. Il problema dell’attuale fame del mondo, di cui parla Papa Francesco, è provocato dalla molto disuguale ripartizione, non equilibrata e non equitabile, di tutta questa produzione… (si vedano, per esempio, le informazioni dell’organismo mondiale dedicato alla questione, la FAO). La conseguenza macroscopica di questa storica bufala è la decisione della denatalità!
Che non si dimentichi, nel frattempo, il livello di incompetenza e della reale ignoranza colpevole degli innumerevoli cosiddetti esperti ancora idelogizzati nella nostra epoca. Meno male che una pattuglia di veri scienziati piuttosto anglofoni (oltre ai cattolici!) che, ben in gran ritardo, ha appena dimostrato nel 2015 al più alto livello culturale, l’anti scientificità delle idee malthusiane ancora oggi massivamente credute e seguite. E questo, va da sé, in una visione razionalistica generalizzata tipica dello statalismo ideologico e falsamente totalizzante, secondo i criteri di fatto pappagalleschi propri alla religione che, invece, secondo questi nichilisti laicisti, sarebbe destinata ad essere eliminata.
Presenterò sempre in questo documento le vere ragioni, non solamente ideologiche, dell’orribile e poco pronta ad essere risolta denatalità.

 

Come vivere un edonismo, in sovrappiù pezzente, al di sopra e criminalmente ai propri mezzi?

Secondo misfatto Poi una concezione scervellata di un edonismo immorale e a credito, miserabilmente piazzato sul
gobbone delle generazioni seguenti. E questo da parte già di due generazioni a partire dagli anni ’60.

Perché tutti i paesi europei hanno cominciato ad indebitarsi dagli anni ’60 e hanno continuato a farlo fissandone anche la percentuale annuale massima (al 3% del PIL) nel Trattato di Maastricht? Molto semplicemente perché volevano vivere – e continuano infelicemente a volerlo – viziosamente come piccoli nababbi (ma progressivamente resi pezzenti), senza neppure averne i mezzi. Così, per la prima volta nella storia una generazione di adulti ha deciso che i suoi figli avrebbero pagato la propria struttura di vizi sedicenti edonisti. Con l’aiuto di guerre e epidemie, era sempre successo l’esatto e naturale contrario: i figli ereditavano dai loro genitori morti ben prematuramente. Mentre le ultime due generazioni di adulti si sono arbitrariamente assicurati un tenore di vita, gradualmente e fatalmente degressivo, senza averlo veramente mai guadagnato. Come questo? Indebitandosi pubblicamente e non personalmente, grazie all’intermediazione dello Stato statalista. Nel frattempo, i loro desideri privati sono stati trasformati in “diritti pubblici”: e il piccolo gioco di prestigio era così compiuto. Questo debito non ha fatto altro che aumentare ogni anno durante più di quattro decenni. Codeste popolazioni – purtroppo le nostre! – hanno continuato a pretendere dalle loro classi sedicenti dirigenti e politiche che tutti i loro desideri fossero soddisfatti e anche trasformati in leggi per essere perennizzati.
Alla famosa questione emblematica di antonomasia “Chi paga?”, si è rapidamente trovato la risposta (sempre anche perlopiù silenziosa!) con la complicità scellerata dello Stato statalista: “le generazioni future pagheranno”. Così si è giunti immoralmente tra il 60% (in Francia) a più di una volta e mezzo della produzione annuale interna lordo (degli Stati meridionali, ma anche la Gran Bretagna con il 110%, e il Belgio con il 105%. In Italia il 134%). Inaudito!
Lo Stato per definizione non dovrebbe neanche indebitarsi per un euro o un solo dollaro. Esso dovrebbe piuttosto cumulare crediti, vale a dire dovrebbe avere riserve per far fronte a eventuali catastrofi naturali… Come in ogni buona famiglia, del resto!
Nessun padre di famiglia avrebbe mai potuto ricevere tanti prestiti come fatto in quanto cittadino dello Stato statalista. Nessuna banca o altra persona ragionevole gli avrebbe prestato tanto. Ma la cosa ha potuto succedere grazie allo statalismo che ha garantito ai finanzieri che lo Stato non fa fallimento, default. Almeno teoricamente: l’Argentina e la Grecia ci sono infatti già arrivate. Così lo Stato è diventato strutturalmente e tranquillamente delinquente: nella sua stessa definizione.
Come potrebbe essere lo Stato statalista a favore della Famiglia e paterno se si fonda su tasse e debiti?
Esso aveva già sognato di agire nella crapula in altri tempi di cui si hanno esempi parzialmente realizzati nella storia. Lo Stato statalista poteva così nascere in gran pompa (sempre silenziosa!): lo Stato provvidenza, detto anche provvidenza!
E la Germania che ha assunto apertamente, negli ultimi anni, la leadership europea, sebbene moderatamente e non senza molte reticenze motivate dalle sue manie egemoniche ben consolidate, riceve insulti quotidiani da parte di quasi  tutta l’intellighenzia europea (jornalisti, intellettuali, politici e sindacati) per la sua politica continentale diventata leggermente meno delinquenziale che gli altri paesi…
Papa Francesco può condannare con ardore la “dittatura della finanza”, ma anche i cattolici si sono resi e si rendono generalmente complici nella creazione di questa nuova classe nefasta di parassiti diventati ultrapotenti (i finanziari: fondamentalmente le banche).
Si sa, prestare soldi costa denaro, molto denaro e nel qual caso, prodotto e protetto dallo statalismo!

 

Perché gli “esperti” politici, economisti e intellettuali occidentali non parlano mai di denatalità?

Terzo misfattoIn seguito, una conseguente penuria depressiva della domanda interna dei paesi occidentali
senza precedenti nell’economia (causa principale della crisi totalmente trascurata da tutta l’intellighenzia).

Dopo tanti anni si rischia di abituarcisi. Praticamente tutti i giovani di oggi credono anche che l’economia e la vita in piena crisi attualmente in vigore in Occidente siano la consueta normalità.
Si accontentano di vivacchiare, anche a più di trent’anni, ancora in qualche stage non rimunerato (o appena) e nella condizione di essere mantenuti “generosamente” oppure molto aiutati dai loro genitori e nonni. Essi giungono anche ad apprezzare paradossalmente il fatto di essere figli unici, dunque ereditieri esclusivi delle loro famiglie o di quanto ne resta materialmente e spiritualmente. L’idea che sono stati vittime di un holdup storico non sfiora la loro immaginazione oppure senza conseguenze apparenti. La loro povertà economica e la mancanza di mezzi per il loro avvenire personale li considerano una fatalità ambigua alla quale non sanno dare una spiegazione veramente completa e razionale. La loro dimensione di dipendenza economica, in una minorità praticamente e generalmente senza speranza, fa così per di più  un blocco unico con quella della subordinazione vitale generale. Cercano di reagire a questo stato di cose rendendo oscuramente virulenta la loro relazione gratuita con la famiglia e la sua cultura, con quella della politica e della tradizione. Non fosse che per affermare una sorta d’indipendenza identitaria che si concretizza nella dimensione ludica della loro giovinezza sociale. In breve, essi vivono in una dimensione dove il riduzionismo anche esistenziale, sebbene particolare, è anche dominante.
Dunque il pensiero unico del potere corrisponde totalmente a questa visione di cui credono a torto di essere i detentori unici. Invece, essi sono generalmente il risultato piuttosto completo di un’assimilazione totale all’ideologia che s’è già servita del loro sostanziale assoggettamento per “fondare” un comportamento vizioso e spesso irresponsabile.
A che pro dunque il potere, vale a dire gli intellettuali, i giornalisti, i sindacati, le associazioni culturali e “religiose”, gli operatori del mondo invasivo dello spettacolo (di cui i giovani fanno un utilizzo senza moderazione) dovrebbero parlare della denatalità?
Il loro problema primordiale è quello di ottenere consenso immediato. Essi non possono che constatare il loro grande successo pratico. Peraltro le diverse forme di potere sono così fatte che esse si riducono nella loro progettualità al punto che tutti hanno tendenza ad assimilarsi fatalmente verso il basso. Là dove il mondo s’identifica nella stessa “schiavitù moderna“ costituita di consenso attivo al pensiero liquido e “allegro” della società dello spettacolo e dello spettacolo della società. Laddove regna il cinismo evasivo e irresponsabile. I leader che son ben riusciti nella loro strategia di conquista del potere, del loro potere privilegiato personale, si atteggiano a parlare in maniera infamante e allusiva alla denatalità invocando l’accoglienza dei migranti e giustificandone la loro sedicente inserzione in Europa come panacea, per l’appunto, all’infertilità programmata occidentale, artificiale e volontaria, con le loro famiglie migranti ancora, per ora, numerose… Là questi leader mostrano anche la loro molta cattiva fede in quanto appare evidente che gli immigrati non possono integrarsi – anche se lo volessero – in una società in declino e che non difende nemmeno un minimo d’identità.
Non ci si integra in un sistema in lenta deliquescenza. Peraltro, prima che siano pronti a diventare efficacemente attivi ed economicamente positivi, ci sarebbe la necessità di un processo, attualmente, di almeno due generazioni. Sempre che scelgano di non perseguire progetti egemonici, come molti analisti prevedono, affermando le loro culture nascenti di religioni della loro provenienza a detrimento, va da sé, della civiltà occidentale, in ogni caso tanto odiata.
Due generazioni, il tempo dunque in ogni caso di una piccola eternità: una cinquantina di future annate alquanto poco prevedibili. Si è giunti così, come in ogni passaggio di testimone nella storia delle civiltà, al punto che si invochi il “barbaro invasore” in aiuto disperato e inutile alla propria società oscuramente declinante e considerata in effetti morente!
La follia autodistruttrice dello statalismo cieco ha logiche obiettive già viste tante volte nella storia. Solamente che in questi casi, la civiltà cristiana non era considerata malata mortalmente. E, cosa ancora più grave, c’è una gran parte dei cristiani e dei movimenti ecclesiali che ora seguono ambiguamente anche queste idee alla moda oggettivamente anticristiana oltre che antiumana.

 


Come giungere al paese di cuccagna dove poter non rimborsare i debiti abbondantemente e facilmente contratti?

Quarto misfatto – Un indebitamento insostenibile e crescente mai veramente rimborsato, anche cinicamente.

Gli Europei ci sono praticamente già arrivati! Può sembrare incredibile ma è già così. Le proteste nazionali di quasi tutti i paesi dell’UE indirizzate a Bruxelles non sono altra cosa che domandare ancor più debiti: ciò avviene anche attraverso i media e soprattutto i governi stessi con l’eufemismo “Più flessibiltà!”. Gli oppositori a questa politica, pure controfirmata e fondata su comuni regole economiche (per esempio Maastricht), di mendicare come marmocchi ai propri genitori un po’ più di mancetta, quelli cioè che sono definiti i populisti ma non solo, rivendicano di poter uscire in varie forme dall’Europa. Peraltro, i populisti  sono generalmente anch’essi molto statalisti e vogliono uscire dall’Europa per essere liberi di attuare politiche collettiviste per esempio inflazionarie! I due atteggiamenti sono simmetrici ma sostanzialmente identici e irresponsabili. Innanzitutto, c’è l’ignoranza della storia dove già i Greci antichi avevano creato il mito nel quale il nostro Vecchio Continente disponeva di una identità non solamente geografica. Il tutto simboleggiato da un toro energicamente imponente e da una bella giovane donna, affascinante e seduta agiatamente sul dorso della bestia in corsa… È così che i nostri antenati almeno culturali avevano prefigurato la nostra unione continentale!
In tal modo, gli attuali posizionmenti irresponsabili e senza alcuna nobiltà sono incommensurabili con la vocazione europea che scaturisce dai millenni. Essi sono vergognosi rispetto all’idea coniugata di forza e bellezza, virile e femminile, di un continente che ha letteralmente generato – se così si può dire – il pensiero e il mondo universale. Lo statalismo continentale, diventato tipicamente europeo, è molto lontano da questo modello intrinseco di civiltà che ha fatto grande la storia del mondo. Esso è la negazione di tutto ciò che è teso al di sotto anche delle sue degenerazioni che attualmente la rendono  così apparentemente debole e poco significante. Ma non è la sua natura geografica e culturale che è piccola. È la depravazione statalista che l’ha abbrutita nella sua attuale condizione indegna e impresentabile. E non è certo la mancanza di uomini di levatura a rappresentarla all’altezza della sua grandezza: tre cattolici che l’hanno anche rifondata recentemente (negli anni ’50) nella modernità, “alla ricerca della sua anima” come diceva Schuman, in compagnia di De Gasperi e Adenauer (tutta la Mitteleuropa così riunita!). Senza parlare di De Gaulle che l’aveva dimensionata, giustamente, dal Portogallo agli Urali: più di 800 milioni attuali di abitanti. Da un un punto di vista economico, bisogna guardare al suo potenziale spirituale e intellettuale, che è certamente ancora tra i più importanti, se non il più importante al mondo.
Basterebbe che l’Europa ne prendesse coscienza per superare le sue piccolezze infamanti che lo statalismo gli ha incollato sulla pelle ma non veramente, non ancora, al cuore sempre ben battente.
Nessuno può credere veramente che il multiforme patrimonio storico, culturale, linguistico, artistico, imprenditoriale e economico di una volta e ancora oggi il più ricco del mondo, possa essere ridotto a un mediocre piccolo paesotto di cuccagna in via d’impoverimento per soddisfare i vizi di un popolo sazio, affaticato ma sempre, a ben vedere, abbastanza vitale.
Basta guardare l’immenso disordine di energie sperdute che percorre l’Europa tutta a partire dal Brexit fino agli incerti risultati delle elezioni in Italia o in Spagna. E soprattutto, si ha a fare ad un continente che comincia ad essere già affaticato e deluso del suo statalismo di cui inizia a vedere gli orrori. L’assurdo insostenibile del suo debito non potrà più essere accettato passivamente ancora per lungo tempo.

 

Perché aver affermato che lo statalismo costituisce la malattia più grave e importante della nostra epoca?

Quinto misfattoUna crisi di impoverimento con una disoccupazione generalizzata record e una precarizzazione
supplementare soprattutto per i giovani (intorno al 40-50% !) nella maggior parte dei paesi europei.

Certo che i disastri provocati dagli statalisti sono talmente gravi e devastatori che si è increduli che si possa ancora sfuggire per molto tempo dall’iniziare a ripararli veramente. Non è possibile che le correlazioni tra l’interventismo astratto, forzato e rovinoso dello Stato, nel campo che è proprio all’iniziativa intelligente e diligente dell’uomo, possa ancora attendere a mettersi in evidenza all’attenzione prioritaria, anche se ancora addormentata, degli Europei.
Da quando non si giunge a più a “sperare nella legge dell’asimmetria di Reagan”, si dovrebbe assistere ad un gran rivolgimento delle cose.
Cos’è questa legge di Reagan? Il vecchio saggio presidente californiano, presentato all’epoca come un modello d’imbecillità dall’intellighentzia europea – la cosa meriterebbe, però a ragione, certamente l’inversione dell’insulto – aveva definito già in un suo libro voluminoso e denso (naturalmente poco letto) di idee non solamente profetiche ma di semplici constatazioni, il funzionamento di questa “legge”. Nella speranza di beneficiare dei vantaggi analoghi accordati alle clientele stataliste, il successo del consenso delle grandi masse a questa politica scervellata era garantito. Ma, non appena gli effetti perversi cominciavano, e cominciano a manifestarsi, la reazione allo Stato padrone schiavista può anche diventare virulento!
È quanto comincia a succedere da qualche anno come inversione di tendenza in Europa: l’inevitabile impoverimento delle società, la disoccupazione generalizzata e una precarizzazione certa di tutta l’economia appaiono sempre più agli occhi anche dei più corrotti e pure  tranquillizzati. Da cui l’instabilità politica endemica di molti importanti paesi europei, va da sé statalisti.
Certo gli aspetti culturali sfuggono ancor più.
Ma la cosa più sconvolgente è data dalla triste costatazione che questa politica indebitamente intervenzionista porta fatalmente e progressivamente alla situazione dove i figli avranno solo diritto ad un livello ben inferiore a quello dei loro genitori. Del resto è già largamente il caso!
La cosa, anche per dei progressisti di sinistra (ma pure di destra) molto reificati, risulta deludente al più alto livello, e in ogni caso inaccettabile.
È successo già  molte volte che la reazione a questa falsificazione di grandezza oceanica provochi la giusta reazione “asimmetrica”, come diceva Reagan e come si era direttamente constatato nell’esperienza diretta americata. Che si sbrighino dunque i leader statalisti a cambiare di registro, in quanto le loro politiche intervenzioniste, anche se solamente implicitamente sostenute con anche un silenzio complice, sono già troppo durate. Il tempo del rovesciamento dovrebbe avvicinarsi.
Il cancro, sebbene mortale, può essere ancora curato, anche se in gran ritardo e a spese molto care.

 

 Si può sempre nascondere e neutralizzare un elefante nella cristalleria?

Sesto misfatto – Un costo annuale gigantesco e paralizzante a causa
degli interessi del debito pubblico accuratamente nascosto.

Nel tempo, non più del medio termine, non è possibile nascondere tutto. Sia l’inerzia delle cose che l’inevitabile potenza della verità danno scacco matto alla volontà di nascondere la realtà pure se attentamente falsificata. E poi c’è sempre l’intervento dello “Spirito Santo il quale – lo si sa – soffia dove e quando vuole”: l’intelligenza umana è naturalmente manipolabile, ma non tranquillamente per lungo tempo. Tutto il sistema politico, culturale ed economico del postmoderno massificato si fonda, malgrado la logorrea infinita di cui esso è circondato e nutrito, sul non detto. Sull’allusione, al più. Perché? Per la semplice ragione che il sistema stesso del potere è centrato sul riduzionismo. Ogni comunicazione, sebbene ripetuta e reiterata fino alla nausea dalla potenza e dai mezzi moltiplicati dei massmedia, è ridotta alla sua porzione più semplice e supeficiale. Ciò che è effettivamente comunicato – anche con la complicità dei giornalisti che sono generalmente sia incompetenti e falsificatori, oltre che quasi occultamente eterodiretti dai loro potenti editori molto rari nel mondo – è sempre un simulacro di notizie inessenziali. In effetti, si riempie saturando la memoria e l’attenzione dello spettatore-auditore con una pioggia, spesso una falsa  tempesta, di notizie sostanzialmente marginali, oppure senza importanza. Soprattutto se private di giudizio morale e non moralista, allo scopo di rendere invisibili le vere questioni. Le masse popolari non richiedono del resto altro: il loro interesse principale è polarizzato sul ludico e il facilmente ricettivo.
E siccome la realtà è inevitabilmente profonda e complessa, si accontentano beatamente di averne una debole rappresentazione o, il più spesso, una versione standardizzata. Ma alla lunga, anche le strategie demagogiche e autodemagogiche più sofisticate non reggono: l’elefante nella cristalleria viene in ogni caso ben visto. Anche per gli inevitabili sfracelli rumorosamente causati.
Così, si può scoprire che il costo annuale del debito pubblico, per gli interessi sempre da pagare cash puntualmente, è straordinariamente elevato: anche due o tre volte l’importo di ciò che viene chiamata una “manovra del budget” oppure una ventina di volte il montante che si giunge a dedicare all’occupazione dei giovani (considerato il problema europeo più grave). Si comincia dunque a capire la mascalzonaggine distruttiva del debito pubblico statalista. Si comincia a capire così il perché delle economie sociali e imprenditoriali che sono praticamente paralizzate con investimenti risibili di cui la sola utilità è poterne parlare alla televisione, da parte dei grossi formati politicistici, per produrne “effetti annuncio” di propaganda. I politici al potere ne sono particolarmente ghiotti in quanto permettono il mantenimento delle loro maggioranze di gestione. Stataliste, naturalmente.

 

Come realizzare realmente il comunismo postmodernista, in pratica senza dirlo?

Settimo misfattoUn livello di tassazione che potrebbe far impallidire le più folli ambizioni comuniste,
rese anche “normalizzate”: già una generazione ha vissuto senza aver mai visto nulla di più umano!

A più di un quarto di secolo dal fallimento semplicemente confessato dal comunismo, sia a Mosca che a Berlino o a Beijing, l’Occidente statalista  poteva già vantarsi di averlo realizzato, quasi totalmente sul piano economico e nei suoi paesi europei. In che si misura, in effetti, il grado di comunismo che ora  tutti considerano teoricamente totalitario sul piano storico? Dal livello di tassazione, vale a dire dal livello economico realmente accaparrato dallo Stato in rapporto all’economia privata a libera. Noi abbiamo cominciato ad assistere alla prima diffusione – ancora infelicemente confidenziale da parte di certi rari media cattolici estremamente liberali o di opposizione in rete  – del concetto “tax freedom day”.
Si tratta della determinazione del primo giorno dell’anno in cui i cittadini di un paese terminano di lavorare per pagare le tasse al loro Stato e cominciano a guadagnare liberamente per loro stessi. Si tratta di un semplice indicatore quantitativo per definire, ogni anno, il vero grado di libertà economica, dunque quasi globale, di cui dovrebbero disporre le popolazioni. Il meccanismo, rigorosamente calcolato aritmeticamente, è stato inventato verso la metà degli anni ’70 dai celebri “Chicago boys”, i liberali americani fedeli al Premio Nobel, Milton Friedman, bistrattati e calunniati non solo in Europa. Sebbene fossero preoccupati prima di tutto della libertà dei popoli di fronte all’ingerenza aggressiva e progressiva degli Stati. In effetti gli Stati statalisti non fanno altro che emettere tonnellate di tasse per equilibrare i loro budget oceanici, fatalmente sempre crescenti e tragicamente in deficit costante. Allo scopo di permettere la chiara visibilità per la coscienza delle moltitudini, l’idea espressa e avanzata era di affiggere sulle piazze dei comuni nel mondo, almeno quello sviluppato, questa data fatidica affinché ogni uomo potesse sapere qual è il suo grado reale di libertà: il valore primo e il più elevato – sebbene in  apparenza esclusivamente umano  – della propria vita.
Gesù aveva già affermato che la “Vérità vi renderà liberi”. Ma anche lo Stato potrebbe relativamente farlo non fosse che per difetto e in modo limitato ai valori matematicamente calcolabili.
Non solamente nessun paese al mondo non ha mai installato questo molto semplice strumento segnaletico di grande cultura civica, morale e pure religiosa, ma tutta la “classe dirigente” occidentale l’ha accuratamente nascosto. Chi se non rari specialisti conoscono oggi, dopo una quarantina d’anni (!), il significato reale del “tax freedom day”?
Così, sia i governi di sinistra che quelli di destra hanno potuto continuare tranquillamente nelle loro attività d’installazione del colossale statalismo detto assistenziale in tutti i paesi occidentali, anche se in differenti misure e gradi. Non si disturba il conducente.
Ma la truffa non si è fermata a questo stadio. Anche le ultime pubblicazioni (praticamente tenute sconosciute al grande pubblico) riguardano calcoli fondati esclusivamente sulla media nazionale. Va da sé che questi non comprendono i disoccupati, i marginalizzati dalla povertà e dall’inevitabile miseria, gli inattivi volontari, tutti di fatto non tassati o al minimo spesso insignificante. Senza parlare dei frodatori fiscali.
Per avere una idea di tutta questa bella gente, è sufficiente sapere che la media europea dei pensionati e prepensionati è già giunta a 56 anni e qualche mese! E questo considerando che non pochi di questi coetanei pseudo vecchi lavorano tranquillamente e felicemente, come me a più di 72 anni.
La qualcosa fa sì che le date determinate sono in realtà molto ottimiste per l’essenziale de contribuenti onesti e attivi. Quindici anni fa, avevo anch’io calcolato, per il mio caso personale, che dovevo lavorare quotidianemente per pagare tutte le mie tasse fino alle 16 meno un quarto. Oppure, sull’anno, fino a fine agosto inizio settembre! Fatale dunque che per guadagnare la mia vita convenientemente dovessi lavorare, come quasi tutti i piccoli padroni, restando al mio posto di lavoro nella mia agenzia (il mio head office a Bruxelles) fino a molto tardi e dedicarci anche dei week-end e spesso le mie vacanze. Quanto meno in parte (col vantaggio che mai ho diviso lavoro e cosiddette vacanze!). In Francia si è pure giunti alla tassazione iperbolica e assurda del 75%. Gérard Depardieu, il famoso attore del cinema, ha rinunciato alla nazionalità francese per sfuggire alla tagliola e per evidente indignazione: è diventato di nazionalità russa in quanto la patria del comunismo non era mai giunta realmente ad un livello di follia tassativa analoga. La Corte Costituzionale francese ha anche dato torto sulla cosa all’attuale governo collettivista. Ma la maggior parte degli statalisti attuali, socialisti sotto la guida del presidente François Hollande in caduta libera di popolarità, hanno reintrodotto, arrogantemente ed incredibilmente, questa legge che permette di lavorare per non ritenere più di un quarto del guadagnato direttamente: si dovrebbero sottrarre anche tasse indirette… Perché allora – ci si potrebbe chiedere – preoccuparsi di lavorare e di innovare, almeno per la grande maggioranza scettica o incredula (come gli stessi  parlamentari legislatori) ad ogni altra motivazione virtuosa?
Ma vediamo queste date che attesterebbero la nosta sedicente libertà europea.
Sebbene esse siano, come visto, più che ottimiste, ne scaturisce che, per esempio, in Francia si tratta del 19 giugno (in testa in Europa con, ex aequo, la Danimarca), in Belgio il 17 giugno e, in Italia, il 2 giugno. Ah se le masse popolari sapessero precisamente tutto ciò, anche con queste date precisamente calcolate ma in modo molto approssimativo per i produttori!
La media permette di ponderare con l’ingiustizia statistica tra due persone, uno che mangia due polli e l’altro niente, per cui tutti e due ne mangerebbero ovviamente uno a testa…
All’inizio degli anni ’60, non si superava saggiamente la fine del mese di marzo. Si capisce perché ci son voluti una quaratina di anni per solamente cominciare a divulgare – ancora confidenzialmente e con pubblicazioni in rete non favorevoli ai governi – queste date spaventose e, allo stesso tempo, depressive.
Non bisogna essere degli “esperti” in materia per giudicare la durata di questi servizi schiavistici dello Stato per mostruosità di assogettamento, già inconcepibili per il buon senso.
Qui in Belgio, un paese appena più grande della Lombardia (che conosco bene dopo i miei quarant’anni che ci vivo con la famiglia e la mia impresa, almeno quanto la mia Italia), si contano nel 2014-15 un milione e quattrocentocinquanta mila statali. Quasi quanti i lavoratori nel privato! E non c’è alcun partito politico che disponga nella sua agenda una riduzione, anche parziale, di questa situazione pletorica e insensata. Che si rifletta: non ci sono meno di quattro ministri economici!
Anche i giovani – praticamente ignari di tutto questo  –  sono silenziosi e obiettivamente consensuali: non hanno mai visto o inteso altro nella loro vita.

 

Come generare il consenso, da parte del regime statalista, in una società detta della comunicazione?

Ottavo misfatto – Un grado di falsificazione demagogica della comunicazione sociale mai raggiunta nella storia.

Si tratta là della più grande contraddizione fattuale della nostra contemporaneità politica: una società di tutti i diritti e della “trasparenza”, ma all’interno di una gestione destinata a diventare sempre più direttamente decisionista e concentrata. In breve autoritaria se non dittatoriale, nei fatti. Opposizione questa evidentemente e totalmente antagonista. Da cui l’apparente alternanza dei partiti al potere detto democratico. La competizione per la conquista del potere politico può solo giocarsi sulla pratica della falsificazione sociale e della demagogia più sofisticata. Tutti i partiti sono caduti in questa trappola storica. Anche quelli – diciamo così – di ispirazione cattolica. Progressivamente la loro possibile ideologia si è trasformata in politically correct, poi in pensiero unico. Una vera alternativa culturale e politica al sistema in vigore può dunque solo configurarsi in una rifondazione totale della morale, alla luce della Verità rivelata. Bisogna per conseguenza avere il coraggio di essere attualmente in minoranza, e non solamente in opposizione culturale, ma anche all’opposizione parlamentare e governativa.
Alla massificazione della demagogia del potere, si può veramente opporsi  solo con la testimonianza vera della non negoziabilità dei principi essenziali del cristianesimo. Vale a dire i principi ratzingeriani detti non negoziabili che anche la Chiesa sembra aver almeno tralasciato dopo le dimissioni del papa che li aveva descritti e prescritti. Tutti i discorsi tendenti a cercare di frenare il potere anche nei suoi eccessi e – come essi dicono – per “concretamente” migliorare le sue leggi (ma di una maniera fatalmente e obiettivamente complice), non solamente sono destinati a rendersi inutili e risibili, ma si sono già manifestati ingannatori e demagogici. Due aggettivi questi comuni all’azione di ogni attuale governo tradizionale e statalista, anche denominato abusivamente “riformista”.
La mancanza di analisi dello statalismo, oppure la sua insufficienza, porta in effetti ad errori fatalmente molto gravi e generalizzati. Per esempio, tutto il movimento politico detto del Brexit scaturisce da questo errore di fondo. Siccome l’analisi della crisi economica non è stata veramente fatta, si sono attribuite all’affiliazione in sé all’Europa le responsabilità della depressione culturale ed economica. In effetti, si tratta dell’affiliazione ad una Europa statalista, molto statalista, e non liberale. Per le stesse false ragioni, ogni paese europeo membro dovrebbe uscire dall’UE. Cosa de resto anche all’ordine del giorno…
In pratica si finisce sempre per scambiare les cause per gli effetti.

 

Qual è il punto chiave della mutazione dell’azione sociale e politica oggi indispensabile?

Nono misfatto – La trasformazione in diritti inalienabili e da legiferare dei desideri individualisti e intellettualisti.

Oggi il livello di falsificazione di ogni statalismo sul piano sociale e politico è tale che non si può più intervenire pubblicamente se non si ha il coraggio di rischiare di apparentemente scandalizzare e stravolgere le masse dette popolari. All’opposto della tendenza a trasformare tutto in diritti pronti ad essere legiferati, anche per le istanze e i desideri più individualisti sprovvisti totalmente di ontologia e di senso, bisogna avere il coraggio di affermare ciò che si è chiamato, con un’apparente intransigenza totalitaria, i “principi non negoziabili”. Nulla di più ostico all’attuale mentalità relativista! Non bisogna aver vergogna, naturalmente, del cristianesimo che, come è stato e come è attualmente, non incontra il successo diretto e immediato delle popolazioni abbrutite dalla reificazione di sempre e da quella statalista. Peraltro, la grandiosa DSC (Dottrina Sociale della Chiesa) non è purtroppo abbastanza conosciuta o applicata. Neanche da molti vescovi e preti. Ce ne sono anche che, al posto di seguire la sapienza ultramillenaria concentrata nel Compendium pubblicato in molte lingue dal Vaticano nel 2006, s’improvvisano con quello che viene chiamato il “pastoralismo” eterodosso, sistematicamente disastroso nella sua ignoranza pusillanime anche ben calcolata. Il responsabile della DSC, monsignor Giampaolo Crepaldi, se ne è anche lamentato pubblicamente con un articolo importante nel 2015 su Tempi, settimanale cattolico giussaniano milanese. Questo pastoralismo, praticamente individualista ed intimista, segue spesso de facto le idee autolaiciste e spiritualiste che sono proprie di una certa ultima Chiesa cattoprotestante e relativista dei nostri giorni. Oppure, a volte, quelle semplicemente opportuniste dei cattolici tiepidini.
La “dittatura del relativismo”, di cui parlava papa Emerito Benedetto XVI, è alla base di questi principi politicisti che rincorrono le masse abbrutite dal pensiero unico e liquido nel nostro tempo: anche se si dichiarano cattolici, a volte molto cattolici.
Il quale modernismo detto anche casuistico vuole tutto trasformare in diritto sociale laico (in realtà laicista!), anche i più illegittimi e distruttivi dell’ordine naturale.
È stato pubblicato integralmente nella Bussola quotidiana, un giornale online cattolico prestigioso, l’ultimo saggio di monsignor Michel Schooyans, professore belga all’università di Louvain-la-Neuve, sulla casuistica. Questa eresia del diciassettesimo secolo  ben combattuta da Pascal, è ritornata di piena attualità in quanto una grande parte della cattolicità è diventata molto casuistica, soprattutto questi ultimi anni. Chi sono questi casuisti?
Ho l’intenzione di riparlarne in modo – diciamo così – approfondito in questo Blog. Ma sinteticamente, come magistralmente scritto da Schooyans, si tratta soprattutto di preti e vescovi che commentano la DSC non sulla base della verità ma sul criterio d’”intenzione” o sull’”inopportunità di farsi dei nemici”.
Per esempio, questi speculativi piuttosto furbetti (responsabili anche di movimenti ecclesiali!) nascondono le parole evangeliche come “Sono venuto per portarvi la spada e non la pace”, e deviano con il loro pastoralismo soggettivo e opportunista (tutta la casuistica ne è rappresentata!) la necessaria ed eterna testimonianza, anche se rude o, stranamente, ritenuta “inopportuna”: san Paolo chiariva che bisogna sempre testimoniare, anche “inopportunamente”. Oggi la casuistica è, va da sé, simmetrica e dipendente dallo statalismo. Anche al rischio – o con la certezza – di farsi dei nemici del resto già acquisiti alla militanza contro la Verità eterna. Cristo è morto sulla croce di fronte ad una marea di nemici che L’hanno condannato preferendoGli anche il Barabba di prima maniera…

 

Come evitare la corruzione, la subordinazione o la paralisi di grandi settori della popolazione clientelizzata allo scopo di sottrarla alla teleologia statalista?

Decimo misfattoLa creazione d’innumerevoli clientele corporatiste, parassitarie e immorali, che
demoralizzano la vita sociale così sprovvista di reale teleologia di sviluppo.

C’è un episodio già diventato emblematico che, anche da solo, illustra perfettamente gli effetti e la causa dello statalismo postmoderno. È successo all’inizio di quest’anno 2016 in Italia, paese per antomasia statalista (era il paese dotato del Partito Comunista più importante d’Europa). È stato descritto in un articolo pubblicato nel quotidiano cattolico online, Il Sussidiario (in marzo mi pare). L’autore dell’articolo è Giorgio Vittadini, una delle figure di primo piano nel movimento ecclesiale Comunione e Liberazione. Vittadini è anche uno dei più grandi esperti al mondo della sussidiarietà ed è pure professore di statistica all’Università Bicocca di Milano. L’antecedente all’episodio in questione è il fatto che la regione Lombardia è tra le più ricche e meglio gestite sul piano politico ed economico in Europa. Ragion per cui, essa dovrebbe costituire il modello di gestione di tutte le regioni italiane. Purtroppo non è proprio il caso! L’articolo del Vittadini, magistralmente scritto come d’abitudine, è un completo commento ad una inchiesta statistica e comparativa sul piano contabile e qualitativo tra tutte queste regioni e quella della Lombardia. Ne risulta che le altre regioni della Bella Italia impiegano l’incredibile marea di 750.000 funzionari pubblici in più (!) in rapporto a quelli in funzione in Lombardia (la quale non risulta essere sottosviluppata in impiegati). E questo, malgrado la qualità di eccellenza dei servizi lombardi e in considerazione del mediocre livello qualitativo delle altre regioni: è da codeste  località, soprattutto dal sud, che vengono – per esempio –  regolarmente a farsi curare nel sistema sanitario della regione leader… In sovrappiù, il lavoro statististico molto minuzioso ha messo in evidenza che il costo della erogazione degli stessi servizi in tutte queste altre regioni è anche superiore del 15%, in supplemento a quello della Lombardia. Vittadini ha così prodotto un articolo impeccabile e dimostrativo dell’alto livello scandaloso dello statalismo in tutto il paese.
Ma, purtroppo, c’è un “ma” che ha tutto rovinato o reso vano.
Vittadini, già da subito nel suo articolo ha tenuto a precisare che “non è questione di licenziare i 750.000 funzionari pubblici eccedentari”!
Gli statalisti italiani ed europei (tutti sotto la stessa bandiera) sono così stati rassicurati! Nello stesso paragrafo, Vittadini, dopo aver avanzato la prova di una frode gigantesca e colpevole, di una immoralità non solamente economica senza precedenti storici, sembra mostrarsi contento e soddisfatto d’aver condannato senza alcuna pena. Anzi anche escludendola!
Ecco descritto l’incredibile “episodio” che mostra la dicotomia schizofrenica, soprattutto da parte di un cattolico impegnato e reputato di grande qualità personale, in rapporto ad una costatazione statalista spaventosa per gravità oceanica: 750.000 parassiti da continuare a mantenere per un risultato teleologicamente, per di più, totalmente inaccettabile!
Appena qualche mese prima (nel 2015), un altro grande esperto, ma cittadino americano, Edward Luttwak, aveva avanzato, anche alla televisione italiana, conclusioni analoghe alle quali erano giunti agli Stati Uniti con un’altra inchiesta autonoma sullo statalismo in Italia. Prudentemente, Luttwak aveva inutilmente affermato che almeno 750.000 funzionari pubblici (curiosamente gli stessi in quantità) dovevano essere subito licenziati in quanto, non solamente eccedentari da decenni, ma anche dannosi per la moralità e il funzionalismo statale.
Non era nemmeno stato preso sul serio: nessun seguito, nemmeno dialogico o di contestazione.
In realtà, si disponeva già di un esempio analogo accaduto in Gran Bretagna ma non ripreso nemmeno dalla stampa italiana: durante la sua campagna elettorale, Cameron aveva promesso 500.000 licenziamenti immediati di funzionari britannici anch’essi molto eccedentari come dappertutto in Europa. E questo malgrado le decimazioni già effettuate dall’epoca della signora Thatcher. Naturalmente vinse le elezioni e ne licenziò 490.000 risparmiandone 10.000 giustificandoli in quanto poliziotti e insegnanti: due settori considerati giustamente strategici (non come in Italia che si trovano, al posto del classico maestro, tre insegnati alle elementari). Per la cosa sono sempre furente: le mie elementari le ho fatte felicemente e profittabilmente nella stessa classe (eravamo più di trenta) di mio fratello di due anni inferiore: cinque classi e due maestre, tutti insieme, come alla corte di ricreazione e in famiglia!
Nessuno parlò della cosa inglese in Europa continentale, secondo le abitudini autoritarie stataliste, vale a dire secondo il progetto di rendere lo Stato dominante su tutto, compresa la religione e la libertà umana. Perché sorprendersi poi del Brexit? I media restarono anch’essi silenziosi allo scopo di proteggere l’idea che un simile licenziamento statale potesse essere possibile “in continente”…
E questo, mentre in tutti i settori privati, negli ultimi quindici anni si son licenziati in Europa, senza troppi mugugni sindacali, molti milioni di lavoratori divenuti, ovviamente, inutili: sia per la penuria che per il progresso tecnologico!
L’atteggiamento statalista e attivamente complice del molto cattolico Vittadini corrisponde così al posizionamento usuale e accomodante, molto accomodante, dei leader continentali. Ma anche delle masse abbrutite da una cinquantina d’anni di assistenzialismo a gogo: non ho notizie di una possibile o minima protesta a questi fatti, del resto anche sconociuti ai più.
Così, porsi la domanda di evitare la corruzione, la subordinazione e la paralisi delle popolazioni, rileva oggi ancora dell’ordine del sogno beato. Non solo in Italia, purtroppo: c’è anche di peggio all’estero.

 

C’è modo di impedire la centralizzazione anti democratica e demagogica dello statalismo fasificatore?

Undicesimo misfatto – La centralizzazione decisionista dei governi via un gigantismo costoso e inefficiente,
anche parlamentare e antidemocratico, fondato sui privilegi illegittimi e endemici di casta.

La questione di questo capitoletto è ancora e sempre cristiana. Di fronte alla verità, Gesù non ha mai scelto l’efficacia. Ha scelto piuttosto di morire sulla croce insultato e torturato come un malfattore.
È questa la ragione del grande scandalo della storia e l’origine della persecuzione permanente, ancora oggi, dei cristiani.
Malgrado le loro attività importanti e ininterrotte – fino al martirio – i cristiani hanno solo l’obbligo della testimonianza pubblica. Come per Gesù stesso. Ma finalmente, cosa c’è di più “efficace” della testimonianza?
Dopo aver fatto tutto quanto umanamente possibile, i cristiani sono completamente giustificati esistenzialmente per aver testimoniato pubblicamente della loro fede e razionalità. Essi possono essere sereni di aver amato, profondamente amato, nel fare il loro proprio dovere di testimonianza intima, privata e pubblica.
Al di sotto di questo livello, si cade nell’intimismo, nello spirtualismo e… nell’opportunismo.
Al di sopra, vale a dire nel narcisismo del protagonismo autonomo e autosufficiente secondo il quale la vita e la salvezza dipendono solo dall’uomo stesso, si diviene dannati nel relativismo della menzogna. E nello smarrimento dell’opinionismo soggettivo e improvvisato.
Il politically correct e il pensiero liquido della nostra epoca affermano l’inesistenza della verità, dunque l’impossibilità di farsi salvare.
A dire il vero, il problema della salvezza eterna, che comincia – come si sa – qui in Terra, non viene nemmeno posto dallo scetticismo incredulo contemporaneo. Il potere politico, ma anche culturale ed economico, tende di conseguenza alla sedicente efficacia (ma quale efficacia e a favore di chi?).
La demagogia antidemocratica è il metodo della sua gestione e del raggiungimento della sua finalità. Ma, alla lunga, lo Stato statalista deve piazzare privilegi per “comprare” veramente grosse fette di popolazioni alla sua maggioranza funzionale: alla corruzione secondo anche i principi del pensiero unico, molto facile e ridotto al più squallido razionalismo (assolutamente non razionale!).
Tutto ciò costa molto caro: favorire strati sociali per formare o rinforzare maggiorità permanenti – anche variabili – implica l’utilizzo di una vera e propria corruzione attiva di massa che può sorprendere solo gl’ingenui.
Ma questo progetto è diabolico: lo statalismo, come ogni sistema truffatore, può durare ma non può esser vincitore a lungo termine. In quanto, che non lo si dimentichi, esso è fondato su una astrazione intrinsecamente fallace (la dominazione assoluta dello Stato) e non sulla Verità trascendente e divina, quindi umana, a misura della Persona: in una parola, cristiana.
La società costituita di caste privilegiate e di gigantismo demagogico è lontata, molto lontana, da questa realtà in ogni caso fragile oltre che totalmente inaccettabile dall’umanità.

Come opporsi a trasportare la società statalista dello spettacolo nello spettacolo della società, anche della politica demagogica e della reificazione?

 

Dodicesimo misfatto – La deviazione sistematica dei temi detti delle riforme legislative centrate sulla
spettacolarizzazione e i miti per una sedicente nuova società burocratica di “perfezione” laicista senza Dio
.

Finalmente, lo statalismo non fa che proporre ciò che Satana ha sempre presentato alla libertà umana. Le tentazioni descritte nel Vangelo, del diavolo a Gesù nel deserto, sono sempre di attualità. E ancor più di attualità sono le risposte di Cristo. Esse sono – va da sé – secondo la volontà del Padre onnipotente. La sola differenza di circostanza è che attualmente le tentazioni sono presentate piuttosto a partire dal sociale e non solo come personali e individuali: ma soprattutto culturali e politiche, all’interno di una condizione sociale maggioritaria già contro le posizioni umane e cristiane di civiltà.
Se si aggiunge che anche all’interno della Chiesa, è operativa una larga maggiornaza cattoprotestante detta progressista che ama seguire le tendenze del mondo, ci si ritrova laddove la situazione più rigorosa è quella limitata alla sola testimonianza minoritaria, ma in modo grandioso e pubblico.
Bisogna così prevedere che, malgrado tutto, la logica dello spettacolo della società che devia dal vero, sarà maggioritaria oltre che apparentemente vincente.
All’interno della Chiesa, anche i movimenti più scrupolosi sono infirmati di posizioni piene di spocchia e di sufficienza reciproche. La qualcosa fa sì che il processo di unità cattolica potra essere solo lunga, molto lunga.
A meno che, naturalmente, un intervento straordinario dello Spirito Santo, che misteriosamente agisce con sapienza amorosa nella storia, non possa tutto rapidamente cambiare. Nel frattempo, da parte nichilista e relativista in antagonismo alla Chiesa, l’efficacia sembra acquisita. La tendenza anche internazionale appare prefissata. Si è anche in tempi di perscuzione nel mondo intero. E questo deve ricordarci che la testimonianza deve diventare sempre più essenziale e rigorosamente nella Vérità cristiana.
Ormai, anche in Europa (in Spagna), abbiamo un cardinale, il vescovo di Valencia, Cañizares,
che deve presentarsi al tribunale civile per rispondere ad accuse surreali che sono giustificate solo dal tradimento culturale dei nuovi “clerc europei” assolutamente generalizzato e compiuto. Il prelato rischia, secondo una interpretazione laicista della nuova legge statalista spagnola, tre anni di prigione per un sedicente delitto derubricato da millenni come “non-crimine” di opinione legalmente inesistente anche per lo Stato spagnolo: grazie ad ogni Costituzione nazionale che non riguarda che di delitti reali!

 

Conclusioni

Quattro celebrazioni ben totalizzanti e religiose con sei falsificazioni


La celebrazione dell’ontologia della missione umana nella progettualità divina

La lettura di questo documento potrebbe erroneamente dare l’idea che le ali della speranza siano state tagliate dal nichilismo relativista del pensiero unico il quale avrebbe già definitivamente vinto la guerra. Sebbene che il male diabolico abbia sempre l’ambizione di essere dominante e può, nella nostra epoca anche apparentemente giungerci, la Trinità onnipotente ama talmente gli uomini che non smette di vegliare misteriosamente per assicurare – come già tante volte nella storia –  la vittoria dello Spirito di Verità.
Simmetricamente, esiste costantemente un popolo di Dio fedele e umile, lontano e insensibile alle tentazioni sataniche del modernismo statalista. La fede della Chiesa salva l’umanità (non solo personalmente!) dai suoi peccati e dai suoi abbrutimenti. Ciò che è straordinario e, allo stesso tempo, paradossalmente inquietante o stupefacente, è che ciascuno di noi che osi affermare e far vivere queste parole di verità, per esempio antistataliste, è investito gratuitamente di una missione che ci supera. Totalmente immeritata!
Si tratta di una grazia inaudita che rende visibilmente indegna la nostra piccola fede personale.
È là che si ha un’altra prova dove si comincia a capire veramente la grandezza carismatica di don Giussani, nostro maestro (e mio maestro), che parlava continualmente del “niente” della nostra vita e del nostro “spirito” di cui Dio ha avuto, in ogni caso, compassione con la sua immensa misericordia.

 

La celebrazione del Valore aggiunto del lavoro alla libertà, alla bellezza della vita e all’armonia universale

Allo scopo di metter la libertà al centro (attualmente, essa si avvia pubblicamente verso il suo generale “stato terminale”), bisogna licenziare almeno cinque milioni in Europa di funzionari statali e assimilati.
Vale a dire metterli sul sacrosanto mercato libero del lavoro. Chiedendo loro anche scusa per averli “indotti in tentazione” in attività inutili o parzialmente inutili, economicamente nefaste e dannose per la morale pubblica del Regno di Dio che – si sa – comincia in questo mondo. Certo, accompagnando tutti questi nuovi disoccupati, come si dice abitualmente, con un aiuto congruo abbastanza lungo per favorire un nuovo impiego vero e totalmente reale: del resto, con il loro stesso salario retribuito senza assolutamente farli “lavorare”, almeno per un periodo necessariamente lungo. Salario che hanno percepito  – anche nel rischio esplicito e strutturale della corruzione del clientelismo statalista – rendendoli molto spesso senza il loro più grande valore umano, la libertà. In tal modo, si potrà anche finirla con l’ignobile sceneggiata mistificata, soprattutto in Italia, dei denominati “furbetti del cartellino” che tutti o quasi, assenteisti illegittimi al lavoro nei grandi ministeri fino ai comuni più piccoli, timbrano i cartellini di presenza anche dei loro colleghi che, a loro volta a turno, non lavorano, non facendo nemmeno finta. Gli almeno cinque milioni da licenziare globalmente in Europa non hanno granché da fare al loro posto di lavoro. Nessun confronto con i settori privati regge minimamente!
È fondamentalmente per questo che possono frodare – contrariamente al settore privato – anche sulla loro presenza al lavoro: quando “lavorano” non pensano ad altro che sfornare tasse, anche illegalmente doppie, per assicurare i loro salari. Molto spesso si tratta così di attività inutili, le loro, oppure quasi finalizzate a mantenere la loro esistenza funzionariale. In buona parte, questa non è mai realmente e legittimamente esistita: quantomeno nella sua definizione da job evaluation generosamente, molto generosamente, ben… ripartita!
Evidentemente, non è questione di assolvere tutti questi furbetti della loro canaglieria. Ma è di una truffa ancora più grande che si tratta: sono i loro posti di lavoro che non dovevano, soprattutto molto religiosamente, mai essere creati nella loro iniziale ideazione, nel senso che non avrebbero dovuto artificialmente esistere in così grande quantità per delle funzioni che si sarebbero anche quasi totalmente evaporate rapidamente con l’introduzione dell’informatica e degli automatismi inevitabili e tecnologici (anche per la pubblica amministrazione)… È quindi lo Stato statalista ad essere doppiamente malfattore in democrazia con il suo clientelismo asservito: il suo vero scopo statalista, non lo si dimentichi.
Tutto non si sarebbe generato in modo inutilmente e dannosamente tautologico, con un minimo di onestà moralmente fondata e, come sempre, religiosamente concepita.
Appare evidente che un grande choc organizzativo e sociale sarebbe provocato da questi milioni di licenziamenti n Europa. Ma sarebbe ben poca cosa rispetto all’orrore glaciale, e per ora ancora quasi silenzioso, della corruzione oceanica che tiene un continente nella paralisi infernale di un mondo satanico. Il quale prepara e costruisce una grande catastrofe.
Questa attuale proposta di licenziamento, in apparenza scioccante nel nostro continente, sarebbe invece anche di una popolarità stravolgente: finalmente una decisione politica al vero servizio del bene comune! Il quale, naturalmente, è fondato certamente, non come per caso, sul mercato libero. Il quale è proprio della produzione di beni materiali ma anche di servizi reali e necessari nel sempre mercato libero pure dell’impiego.
Per quale motivo anche i funzionari onesti non dovrebbero entusiasmarsi della loro libertà conquistata o riconquistata dopo averne preso coscienza in pubblico?
In sovrappiù sarebbero oggetto di gratitudine – infine! – da parte delle popolazioni di tutti i paesi.
In questo modo, dopo i licenziamenti europei di siffatti milioni di funzionari, divenuti una gigantesca forza diabolica sindacale di pura zavorra, anche a livello dei suoi organismi centrali (attualmente diventati esemplarmente in UE 56.000 da 24.000 che erano quindici anni fa!) sarebbero ridotti alle loro dimensioni naturali e razionali.
Si avrebbe così un mercato del lavoro divenuto libero e rimesso alla pari con quello privato;  i sindacati ora ancora arroganti e burocratizzati dopo decenni di lotte dannosamente, solo dannosamente, gozzoviglianti sarebbero rimessi al loro modesto e umile posto; una gigantesca disponibilità di ricchezza potrebbe diventare presto disponibile direttamente nelle sacre, libere e responsabili tasche dei cittadini per i loro inaggirabili e sacrosanti investimenti necessari… Una dimensione veramente democratica riprenderebbe nella speranza delle popolazioni inevitabilmente così ridiventate attive e moralmente ricentrate… Ecco la sorte che ci spetterebbe nel nostro Vecchio Continente ritornato fiero della sua vecchiaia e della sua incomparabile e riconquistata sapienza.
Utopia?
In ogni caso, la catastrofe culturale ed economica statalista è anche contabilmente alle nostre porte!

 

La celebrazione dell’Humanae vitae come salvezza del mondo nella naturalità divina

Nel frattempo, bisogna proclamare forte, sui tetti della comunicazione, la verità del beato papa Paolo VI scritta nella sua meravigliosa enciclica Humanae vitae per la quale è stato insultato per tutta la sua restante esistenza prima di essere accolto davanti al Creatore eterno. E questo, mentre che i suoi innumerevoli avvertimenti profetici contenuti soprattutto in quest testo di grande magistero ecclesiale erano e stanno verificandosi puntualmente nella nostra realtà internazionale!
Mai una enciclica era stata rigettata tanto quanto nel 1969 e gli anni seguenti come l’Humanae vitae. Rigettata, totalmente rigettata, ma mai valutata e contestata criticamente da un punto di vista cristiano e antropologico.  E questo anche dopo quasi cinquant’anni: dove sono i suoi contestatori sommari e afoni? Bisogna, in altri termini, rimettere al centro dell’universo, la Famiglia cristiana eterna come modello celebrante la vita aperta e concepita come divina, soprattutto nella vera genitorialità generosa e fiduciosa.
Una Famiglia annunciata, come affermato e approfondito da papa san Giovanni Paolo II e papa Emerito Benedetto XVI. E come riaffermato – seppur tra ambiguità incipienti – nel Sinodo a Roma del 2014-15. Una Famiglia proclamata come “soggetto e non solamente come oggetto di evangelizzazione”. Un topos da cui l’unità del perdono reciproco e quotidiano possa generare la comunione che Cristo ci ha lasciato – il più prezioso! – in eredità permanente. Con la Sua presenza eucaristica!
Al riparo, il più possibile, dai orribili divorzi e dagli aborti tutti delittuosi che non fanno altro che impoverire ulteriormente le nostre società falsamente edoniste.
Così la denatalità, la più importante e da lontano la più decisiva causa della crisi economica mondiale, possa divenire un vecchio ricordo della stupidità autodistruttiva umana, privata della sua teleologia naturale.

 

La celebrazione della verità contro le più frequenti mistificazioni nichiliste

  • “Non si fanno abbastanza bambini a causa delle difficoltà economiche del nostro tempo”.
    Falso!
    Si tratta di una tipica inversione degli effetti al posto delle loro cause.
    Già la folle invocazione per la venuta degli immigrati, notoriamente prolifici malgrado la loro povertà e miseria, mostra l’inconsistenza di questa motivazione. Essa è dimostrata anche dalla storia in cui i bambini sono stati sempre considerati la ricchezza, la felicità e il regalo del Cielo indipendentemente dalle condizioni economiche delle loro famiglie.
    Certo, à causa della crisi economica prodotta dalla denatalità (allo scopo di assicurarsi standard di edonismo considerati arbitrariamente irriducibili secondo la squallida cultura piccolo borghese!), si sono create penurie di ricchezza conseguenti... Da cui le dette difficoltà. La verità vuole che sia la crisi anche antropologica e culturale dell’Occidente ad avere fatto crollare la fiducia nel futuro per abbandonarsi ai sedicenti piaceri massificati che hanno messo da parte mostruosamente e massivamente la genitorialità…
    La visione esistenziale della piccola borghesia (ormai la quasi totalità delle vecchie classi sociali si è ridotta alla gigantesca classe piccolo borghese abbrutita, omogeneizzata e massificata!) è deficitaria sul piano della produzione e pleonastica su quello del consumo. In sovrappiù, dal punto di vista dei gusti, essa è esecrabile e kitsch.
    Nel frattempo, le politiche stataliste relativamente alla Famiglia si sono trasformate sempre più ostili trasferendo – oltre che sul piano culturale – importanti risorse verso nuove strutture scervellate e antagoniste, come quelle LGBT.

 

  • “La prova che la crisi economica non dipende dalla denatalità – affermano gli attuali relativisti progressisti – è data dalla ripresa economica dappertutto con tassi positivi”.
    Falso!
    Quella che si è interrotta è la colossale recessione economica a causa del crollo della domanda interna dell’Occidente. Ma la dépressione è sempre lì e non si è recuperato – malgrado gli annunci più che ottimisti dei politici al potere, sempre smentiti dai fatti – che un piccola parcella dell’economia gravemente perduta! E questo grazie al fatto che i popoli occidentali hanno in ogni caso generato, sempre mediamente, 1,3 – 1,5 bambini per coppia. E non zero per coppia di sposi. Al posto di almeno 2,1 utile solo per riprodursi alla pari, come assicurano i demografi. La denatalità continua tragicamente ancora.
    Se, in effetti, non ci si rimette a generare almeno una media minimale di 3 figli durante almeno qualche qualche decennio, questa depressione non potrà che persistere
    Ciò per dire l’enorme gravità del misfatto denatalità a cui si cerca di sfuggire. Altro che “tassi positivi”!
    In realtà, gli economisti e i politici, oltre a non aver per nulla previsto alcuna crisi economica, ancora oggi non ne hanno ancora capito la causa principale, o preso atto di essa.
    Ci si chiede come questi “esperti” in materia potranno ancora recuperare la loro dignità e prestigio.

 

  • “Lo statalismo non è una invenzione moderna. Esso è sempre esistito anche se non nella forma attuale, dunque tutta la teoria sulla denatalità non è fondata”.
    Falso!
    Mentre è vero che il male incarnato da Satana è sempre esistito nella concezione del potere terreno e secolare in lotta antagonista con il potere spirituale e trascendente, lo statalismo modernista e postmodernista ha come fondamento teleologico pure l’eliminazione totale, malgrado la sua essenzialità ontologica, del potere inviolabile della Persona nello spazio pubblico. Dunque globale per l’uomo.
    Il diavolo crede veramente in Dio, sebbene Lo consideri come totale antagonista. Il problema terribile dello statalismo non è dunque solo economico, ma soprattutto religioso e culturale. A causa della negazione massificata degli ideali umani nella reificazione. E, va da sé, a causa del laicismo politico persecutorio rispetto alla Chiesa.

 

 “Quello che conta nella modernità è la giustzia e lo Stato è la sola entità che può assicurarla”.
Falso!

Il primo valore umano non è la giustizia ma la libertà la quale, peraltro, la contiene.
La libertà è il valore assoluto, la giustizia è invece sempre relativa e ad essa subordinata. Gli uomini nella storia sono morti per la libertà non per la giustizia. Quando gli emigranti europei arrivavano negli Stati Uniti trovavano la grandiosa  Statua della libertà con la sua fiamma ben in alto e non la giustzia con la sua piccola bilancia. Non è certo per caso se i cristiani continuano a ripetere la frase apparentemente assurda che “la giustizia non esiste senza misericordia”!
È questo valore della libertà che ha fatto degli USA il più grande paese al mondo, faro e modello ideale – checché se ne dica – per ogni uomo. E non è certo per caso se questa statua è stata offerta dalla Francia che ne conserva una copia ridotta sulla Senna a Parigi. Questo paese, sebbene ancora gravemente malato a causa delle gravi sequele laiciste del secolo illuminista, non si è sbagliato piazzando la libertà al primo rango della triade delle parole che hanno rappresentato la sua rivoluzione alla Bastiglia (dove nemmeno c’era la parola giustizia). Questo paese ha sempre legittimamente affermato la priorità intrinseca alla libertà sulla giustizia da un punto di vista sia ontologico che cronologico: è dopo che si sono prodotte liberamente le ricchezze (materiali, culturali e spirituali) che ci si può porre la questione di distribuirle con giustizia. È l’atto libero di creare e di associarsi che genera la necessità di vivere secondo giustizia nella libertà.
Tutte le società che nella storia hanno attribuito la priorità alla libertà in rapporto alla giustizia (non come invece quelle comuniste!) sono giunte a creare condizioni di ricchezza vitale e di giustizia reale, oppure distributiva, ben superiori alle società dette socialiste che hanno privilegiato il valore della giustizia su tutti gli altri.
Ecco perché don Giussani era, secondo la vulgata abbrutita e superficiale, di “destra”, nel senso che era incondizionalmente per la libertà. Egli ripeteva spesso: “la libertà è la seconda parola dopo quella di Dio”. La priorità alla libertà implica una politica detta di destra e quella attribuita alla giustizia porta fatalmente e sempre alla sinistra. Peraltro, lo si sa, anche la destra è stata spesso nella storia liberticida, molto liberticida. È sempre successo allorquando la destra ha privilegiato la giustizia… È per questo che è assurdo che un cattolico o un liberale possa anche solo pensare di votare per la sinistra: sempre e in ogni circostanza!
Tutte le guerre e i conflitti sulla Terra, infatti, hanno origine dalla pretesa contro natura della scelta per la priorità accordata alla giustizia su quella divina e non riducibile libertà.
La Svizzera, molto discretamente come abitualmente, ha appena dato al mondo intero qualche settimana fa, una ennesima lezione di libertà e democrazia. Vale a dire sul piano religioso (globalizzato) e sul piano materiale (particolare). Il risultato dell’ultimo referendum a quasi l’80% ha dato ragione alla tendenza liberale contro l’attribuzione della rendita a vita ad ogni cittadino indipendentemente dal suo lavoro! L’opzione sedicente di giustizia distributiva è stata battuta ad una percentuale schiacciante e  clamorosa anche sul piano democratico. Lo statalismo, nel cuore dell’Europa (non dell’UE!), nel paese più libero e democratico non è per nulla passato.

 

 

  • “Voi antistatalisti – ripetono gli statalisti di ogni sorta – potete cazzeggiare contro l’intervenzionismo dello Stato perché ci sono troppi politici corrotti!”

Falso!
A parte il fatto eterno che il male è sempre presente e operativo tra gli uomini (il peccato originale!), questa accusa è ancora una volta frutto di una inversione delle cause per i suoi effetti. È fondamentalmente lo statalismo, come errore e deriva radicale contro l’umano, che provoca e conduce alla corruzione pubblica pure attualmente massificata.
E poi, chi sceglie in democrazia i suoi politici? Il popolo con le sue selezioni e le sue schede di voto, naturalmente!
È vero che l’esempio dei politici corrotti non costituiscono una testimonianza edificante. Ma la concezione della corruzione diffusa e endemica, quella originaria di tutto, è già più importante di quella prodotta dal potere. È la ragione per la quale un documento come questo che state leggendo è purtroppo raro (e considerato abitualmente anomalo o esagerato).
Che gli statalisti si rileggano (o lo scoprano) per esempio lo spagnolo Ortega y Gasset, il quale negli anni ’30 ha pubblicato in Spagna libri come “La ribellione delle masse” in cui spiega ancora insuperabilmente (per filo e per segno) l’origine culturale già dello statalismo modernista massificato.
La corruzione, lo si sa, è proporzionale all’importanza dell’impresa statalista, la quale è prodotta dalla base popolare, cioè dal male insito nell’uomo: che ce lo si dica!
Siccome la dimensione delle strutture dello Stato è attaulmente tripla, o quasi tripla del necessario, già la sua diminuzione porterebbe i corrotti, non solo i politici, a proporzioni congrue ed exclusivamente giudiziarie (penali!). E questo, sul piano quantitativo.
Del resto sul piano morale, non moralistico, chi difende la moralità più della Chiesa?
Essa è l’istituto eterno nella storia che rende permanente la presenza del Cristo vivente…
E pertanto non si è molto scandalizzati contro gli innumerevoli attacchi laicisti alla Chiesa e contro la persecuzione di cui è vittima.
Come lo ripeteva il grande prelato Giacomo Biffi, che amava farsi chiamare prima italiano (cittadino) e poi cardinale (cattolico), “chi si pone contro la Chiesa lo fa automaticamente contro il popolo stesso”.
E tutti conoscono l’assoluta integrità di questo grande pastore sia nella morale personale che in quella ecclesiale e pubblica. Il prelato era conosciuto anche all’estero dove i suoi molti libri e documenti sono stati pubblicati. Egli era in sovrappiù milanese e appartenente all’identica cultura di base di don Giussani (di cui era un amico) in quanto proveniente dallo stesso famoso seminario di Venegono.
Come i grandi di questo mondo, aveva visto subito la metamorfosi del marxismo in pensiero liquido postmodernista: arcivescovo di Bologna, città di sinistra per eccellenza, aveva ben frequentato gli ambienti comunisti…
Lo statalismo modernista, lo conosceva perfettamente. Dunque, sapeva che la mancanza di teleologia del futuro propria del nichilismo marcava della sua arroganza ideologica invadente tutta questa epoca. Ancora oggi essa è in piena azione, quindi in piena crisi, ad un anno dalla dipartita dai nostri occhi del nostro cardinale ma pervenuto di fronte e al cospetto dell’Eterno.

 

 

  • “Perché cincischiare tanto con la libertà – chiude lo statalista di servizio – quando ciò che interessa è vivere bene, in allegria e senza preoccupazioni?”

Falso! Anzi “vero”.
Falso sul piano ontologico e della verità globale umana.
“Vero” dal punto di vista purtroppo materiale dell’uomo abbrutito anche dal pensiero liquido.
Come sempre è stato, all’uomo viene presentata puntualmente l’alternativa contenuta – malgrado tutto – nella stessa frase interrogativa e molto retorica dello statalista.
Vivere bene, in allegria e senza preoccupazioni è il programma, oggi apparentemente vincente, dello statalismo nichilista e postmodernista. Quello di cui si sta vedendo il totale fallimento.
Infatti, c’è un sassolino che inceppa rovinosamente e inevitabilmente l’ingranaggio. È l’umano.
Il quale, “purtroppo” ama la libertà fino a non finire di “cincischiarsi” per ottenerla prima e in alternativa ad ogni altra cosa. Si deve solo prendere atto della sua irriducibile natura: della sua tendenza cioè autenticamente naturale.
Il cincischiarsi riguarda invece la visione semplicistica dell’allegro cosiddetto spensierato e edonista che ha un solo difetto pratico: non funziona, se non inizialmente.
Infatti viviamo una epoca triste, involuta e impoverita tra il clamore sovraeccitato di un benessere vuoto e insoddisfatto. E un pieno stracolmo di nulla.
Il sassolino umano che inceppa poi l’ingranaggio trova corrispondenza crudele anche nelle manomissioni contro natura da parte dello statalismo che finalmente blocca il funzionamento generale, come visto, delle società che gli si sono illusoriamente dedicate. Lo statalismo non è tecnicamente all’altezza delle ambizioni edonistiche dei suoi seguaci. Solo all’inizio la spensieratezza e l’allegria possono ingannare gli spiriti – non tutti, del resto – inebriati dalla sua immoralità immanente e ladrocinia. Presto il sapore pezzente lo sostituisce. Prima impercettibilmente e poi sempre più drammaticamente e vergognosamente.
Altrimenti avrebbero ragione i dirigenti statalisti, contro ogni evidenza, puntualmente smentiti su tutto! Lo statalismo, intrinsecamente delinquenziale, in sovrappiù non funziona!
Si potrebbe dire, “siamo uomini, non animali fatalmente pavloviani puramente reattivi”.
E, sebbene tentati dall’abbrutimento spensierato (in realtà molto preoccupato anche se rimosso), si è sorprendentemente sempre alla ricerca dell’infinito impalpabile insito anche in un piccolo angolo del nostro spirito guastafeste. Il suo nome è anzitutto Libertà.
Ma libertà per cosa? La libertà non è, come tutto (!), un bene solo in sé. Di essa ci si accorge veramente e pienamente allorquando si trova la strada della verità. La quale, puntualmente, è lì. Vicino. È chiamata con la parola Dio.
Infatti i grandi spiriti lo ripetono, soprattutto nella nostra era, come continuamente lo dice papa Emerito, per esempio ai Bernardins a Parigi: ”Quaerere Dominem” (Cercare Dio). Attivamente, per trovarlo e ritrovarlo veramente e sempre.
Lo Spitito di Verità, del resto, è sempre lì, d’appresso. Gli antichi come pure i moderni l’hanno denominato “cuore”, come sintesi di natura e ragione, le due facoltà supreme umane, inscindibili per eccellenza.
Gesù è venuto giù a ricordarcelo diventando uno dei nostri, nato addirittura da una ragazza, Maria, umanissima come noi, che – ascoltando semplicemente e completamente il suo cuore – è salita al Cielo sempre viva. Suo Figlio con un amore totale è giunto perfino alla sua croce perché se ne capisse tutta la ragione e la verità. E, affinché il logos, l’eterno logos, fosse sempre affermato è anche risorto per ricongiungersi ancora con la sua sposa permanente nella storia, la Chiesa.
Il tutto per la nostra salvezza terrena e eterna.
Mentre noi, quaggiù, ancora cincischiamo con lo statalismo.

 

Veni Sancte Spiritus. Veni per Mariam.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nota sull’autore

 

Franco Troiano (1944) vive in famiglia a Bruxelles da 40 anni (due figli di 34 e 31 anni). È stato dal 1962 nel movimento Giovani Lavoratori (al Raggio Comasina di Milano) che, all’epoca, era ben unito a Gioventù Studentesca, fondati e diretti da don Luigi Giussani: era il tempo in cui il Gius andava dappertutto a tenere “raggi”…  Nel 1977, l’autore di questo documento fonda la società Eurologos a Bruxelles che diventerà negli anni ’90 l’head office, la testa di numerose agenzie di servizi multilingui su quattro continenti  www.eurologos.com. Nel 2014, in vista di passare il testimone a sua figlia Odile nella direzione del gruppo internazionale, ha aperto un Blog bilingue (www.francamente2.com) su cui questo documento sullo statalismo è pubblicato in supplemento. Franco Troiano è membro della Fraternità di Comunione e Liberazione e della Compagnia delle Opere. Sostiene con la propria famiglia a distanza sei bambini e adolescenti dell’AVSI, associazione missionaria di CL. Egli è pure iscritto attivamente alla nuova associazione Nonni2.0 (www.nonniduepuntozero.eu). Pensionato, continua a fare l’imprenditore secondo le sue convinzioni fino all’ultimo respiro, ringraziando il Creatore della sua – diciamo così – buona salute fisica.

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