La scuola e l’educazione devono essere pubbliche e non statali. Il monopolio ideologico dell’insegnamento dello Stato produce l’annientamento della cultura e della libertà. L’educazione è un affare da sempre proprio all’iniziativa della famiglia.

“Mandateci in giro nudi, ma lasciateci la libertà di educare” era la frase del più grande educatore dell’ultimo secolo, Luigi Giussani, che aveva stigmatizzato la radicale e prioritaria importanza dell’insegnamento nella società civile.
Stesse parole quelle pronunciate da Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste e attuale numero uno della Dottrina Sociale della Chiesa: “La più grande rivoluzione politica è la libertà di educazione”.
Qual è il motivo di queste due dichiarazioni così gravi pronunciate da due dei più influenti grandi educatori della storia ?
Nella nostra società sazia e disperatamente smarrita, dove il Pensiero unico ha ridotto ogni cosa alla supremazia e al trionfo dello Stato statalista su ogni altra istanza umana, queste urla, che risuonano come dei proclami estremi, non sono poi così sorprendenti. La nostra è l’era dello Stato statalista, del Pensiero unico del Polically correct. Questo piccolo cocktail, formato da due ideologie dette, abusivamente, “neutre”, è diventato ormai da mezzo secolo il veleno mortale dell’umanità. Tutta la cultura contemporanea – dalla scuola ai media, dalla concezione economica a quella politica, dai principi morali di comportamento a quelli della sessualità e delle comunità – è sotto i “postumi” di questa bevanda di cui si fa, generalmente, un utilizzo smodato e tranquillamente tossico. Questi due ingredienti, mischiati in dosi massive e distribuiti gratuitamente facilmente in self service ovunque nel mondo (che ne è persino ghiotto), hanno raggiunto un livello stabile di assuefazione. La dipendenza a questa sorta di droga ha appiattito ogni pensiero al punto di diventare indiscutibilmente unica, scontata e metodologicamente acquisita.

Ma l’ingrediente ancora più letale del cocktail è lo statalismo. Che non è altro che il residuo contemporaneo dell’ideologia totalitaria del nazi-fascismo e del comunismo: all’occorrenza, la struttura dello Stato è sempre tragicamente dominante sulla società civile e sull’individuo, oggi inevitabilmente e fatalmente individualista che si sostituisce alla Persona, irriducibile, unica e per l’appunto insostituibile.
La devastazione ideologica dello Stato statalista e del Pensiero unico, sul nostro mondo detto moderno (in realtà modernista!), si può riassumere nel relativismo e nel nichilismo che stanno centrifugando e stravolgendo la cultura dell’uomo davvero civile. Tale cultura è contrastata e schiacciata – anche legislativamente – nella sua ontologia, vale a dire nella sua struttura e nelle sue connotazioni naturali intrinseche: fino a modificarne l’antropologia identitaria.
Si capisce dunque la radicalità degli uomini di spirito, figli della libertà eterna, nelle loro urla quando reclamano il diritto primario di educare e di insegnare. Soprattutto ai propri figli.
“La parola libertà – aggiungeva don Giussani – è preceduta solo dalla parola di Dio!”  E tutto il Pensiero unico contemporaneo non fa che rinnegarne sia l’una che l’altra.

Attribuire allo Stato il monopolio dell’educazione, sia teoricamente che praticamente con i suoi finanziamenti sottratti alle scuole private, costituisce la perversione più distruttiva nell’opera di annientamento e di sterminio della cultura vivente proveniente dalla Tradizione. L’educazione è un affare essenzialmente legato alla Persona e alle sue istituzioni naturali: quindi alla famiglia e ai suoi valori culturali e religiosi.
Allo Stato, sempre anonimo e inevitabilmente burocratico, può essere solo confidato il compito, accessorio e temporario, di assumere parzialmente tale funzione, a condizione che la società civile (sempre prioritaria, con la famiglia al primo posto) non sia ancora in misura di occuparsene. Questo principio di sussidiarietà è attualmente quasi del tutto ribaltato in diversi Paesi europei: il Pensiero unico e il Politically correct praticano una lotta continua, anche sul piano economico (!), contro l’iniziativa privata delle famiglie di assumersi la funzione inalienabile dell’educazione: persino i militanti LGBT ne hanno attualmente la priorità!
Le formazioni specialistiche come quelle generali (culturali) devono sempre restare sotto l’occhio globale e vigile della società civile. E la necessaria tecnocrazia deve rendere conto alle culture della società e non solipsisticamente a se stessa. Anche il mondo del lavoro lo esige!
Lo Stato, per non essere statalista, dovrebbe limitarsi a organizzare quello che in più Paesi viene definito come la distribuzione ai cittadini dei “voucher”, vale a dire i ticket economici che comprendono i costi (medi) dell’insegnamento. In questo modo, ogni famiglia può decidere liberamente il tipo di scuola, scelto secondo la sua concezione culturale e/o religiosa…
Ecco la buona concezione della Scuola pubblica, non statalista, che – naturalmente – deve conformarsi agli obiettivi dell’insegnamento che garantiscono il minimo comune denominatore dell’istruzione… E questo, nella virtuosa competizione generale, dove il merito e la qualità sono automaticamente coltivati.
D’altronde, l’esperienza insegna che tale soluzione è anche la più economica. Molto più economica! Tutto ciò che è statalista non finirà mai – lo sappiamo – di essere costosissimo e nello spreco più disastroso.
Va da sé allora, che non bisogna concepire il discorso sull’istruzione e sull’educazione a partire dal monopolio dello Stato – che non dispone di alcuna voce in merito, se non marginalmente e di natura sussidiaria – ma a partire dalla normalità vitale della società civile, della Persona e, soprattutto, dell’istituzione Famiglia.

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