La «distanza critica» giussaniana di fronte alla politica, sola soluzione non spiritualista e non materialista.

Ci sono due parole che il genio religioso di don Giussani (in via di beatificazione) ha utilizzato per definire il rapporto, eterno e molto cruciale, tra l’uomo e la politica: «distanza critica».
Si era negli anni ’70 in una lunga intervista accordata a Robi Ronza, e inserita in un libro recentemente ripubblicato (Il movimento di Comunione e Liberazione, Jaka Book, Milano, 1976, 1987 e 2014). L’idea giussaniana partiva dal fatto che l’uomo cerca sempre il suo benessere e la sua salvezza sia nella superficie della Terra che nel profondo, oltre che alto, dei Cieli. La politica appartiene alla Terra, la religione anche, ma essa ben abita pure il Cielo. Questa ricerca dell’uomo è sempre innata, totalizzante e infinita. L’ontologia della sua esistenza, cioè la verità intrinseca che la caratterizza nella sua globalità, situa ogni essere umano – che lo voglia o no e grazie alla sua irriducibile libertà – di fronte alla scelta di queste due realtà ineliminabili. Così Gesù, astutamente interrogato per porLo in trappola su questo problema inaggirabile, aveva risposto con la metafora indimenticabile della moneta. Da cui il Suo «Dà a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio»… Ma i due fattori non sono mai veramente separabili: il verticale e l’orizzontale dell’esistenza non finiscono mai d’incrociarsi evangelicamente.
Ma come si pone l’uomo di fronte al problema della politica?

Abitualmente si incontrano tre atteggiamenti con i quali l’uomo concepisce e vive questo rapporto, in particolare nei confronti di queste sue due facce. In mille modi e in più di mezzo secolo, Luigi Giussani l’ha spiegato e ripetuto con tenacia e riconosciuta sapienza cristocentrica.

In primo luogo si constata la posizione più diffusa, generalmente ateista o laicista, detta politicista che cerca di assolutizzare la politica rendendola idolatrìa. In che modo? Concependola molto riduttivamente, razionalisticamente (non razionalmente!) e solo materiale. Questa visione fa sì che tutta la vita è forzata e diminuita nella sua reificazione: ridotta alla sua cosità. Tutto il problema umano – secondo questa visione degradata e rimpicciolita che si pretende pure dominante – non sarebbe che la ricerca nelle sue cose, nelle sue attività fattuali, nella ricchezza materiale: per mezzo anche e soprattutto della politica.
In secondo luogo si constata una posizione simmetrica, sostanzialmente di rifiuto della dimensione orizzontale del reale, di fuga (apparente) dal denaro e dal successo, quella detta «spiritualista». Essa è molto diffusa anche all’interno della Chiesa. Questa posizione, fatalmente antipolitica, concentra tutta la salvezza dell’uomo alla sola ricerca del rapporto trascendente, intimista, tra sé e l’Eterno, ma privo dell’incarnazione nella vita orizzontale concreta. Il Cielo sostituisce così la Terra al di fuori della sua socialità politica e specificatamente culturale. Gli uomini spiritualisti (è da sottolineare che anche le Carmelitane, nella loro clausura pure di sola preghiera, possono evitare lo spiritualismo) vivono in modo subordinato e in una sorta di apnea vitale continua: ai margini espliciti del mondo. E soprattutto privi della loro dimensione pubblica: in un modo anche volontariamente e masochisticamente laicista.
E in terzo luogo si trova l’atteggiamento veramente cristiano indicato, vissuto e realizzato da Gesù stesso nella sua missione terrena di Morte e Resurrezione. Vale a dire nella sua esistenza evangelica fondata sull’amore totale nella ricerca della verità, nella vita e sulla via, esemplificate nel grande Mistero Trinitario, protagonista determinante nella storia. Non è un caso che i cristiani siano perseguitati nel mondo e oggetto di odio nelle nostre sociétà relativiste…

Allora, dove si situa la «distanza critica» evocata da monsignor Luigi Giussani in questo triplo posizionamento che si presenta sotto gli occhi di tutti? Vediamo.

Distanza. Di fronte alla prima posizione, quella detta politicista e riduttiva che reifica tutta l’esistenza all’interno di scelte che la politica materialista si propone sempre di assolutizzare (non importa che essa sia di sinistra o di destra), don Giussani ricorda che bisogna, naturalmente, tenere una distanza. Attenzione, non una separazione, una distanza. La moneta ha due facce che però costituiscono un solo pezzo!
Dio ha mandato sulla Terra suo Figlio per mostrare, giust’appunto, agli uomini che il suo regno comincia qui: anche per mezzo della politica che si carica, in ogni caso, del bene comune. Paolo VI, papa santo, parlava di questa politica come della forma estrema della Carità.
La distanza, misurabile e misurata, è la prima caratteristica di una politica cristiana che sa che la salvezza del mondo non si identifica solamente con le sue azioni fattuali. Più precisamente, queste azioni non sono solo apposte vicino a un’altra divina che le segue o le precede: è invece la natura delle azioni stesse, di queste scelte umane, che contiene il potere di salvezza. Si tratta qui di ciò che si son chiamati i «Valori non negoziabili» in politica.
Malgrado l’impegno autentico e totale nelle relazioni interpersonali o politiche, i cristiani veri conservano sempre questa distanza, almeno interiormente. Essa permette una libertà e una leggerezza sconosciute ai politici politicisti molto spesso intolleranti e totalitari. Lo si è visto nei confronti delle Sentinelle o del convegno di Milano sulla Famiglia (non sull’omofobia tanto polemizzata!). Ma vediamo anche nell’aggettivo del nome distanza, il pensiero di don Giussani.

Critica. Questa seconda parola, in effetti, consente ai cristiani (in questa apparente dualità di doppia appartenenza al regno dei Cieli e a quello della Terra), di essere critici, dunque non solo a conoscenza e ben implicati, ma soprattutto giudiziosi. Essi sono intelligentemente coscienti che tutta la stessa politica deve essere informata e formata ai principi del religare, propri alla religione. Così l’azione dei cristiani non sarà mai affogata nel fatale, spesso inevitabile, fanatismo dogmatico politicistico. La loro creaturalità continuamente coltivata e l’appartenenza cosciente al regno celeste li preservano almeno dall’intolleranza. Ogni loro azione deve essere così conforme e integrata al Piano globale e divino del Creatore. Il cristianesimo ha annunciato la salvezza eterna che comincia, per ogni uomo, nella riconoscenza di essere una creatura di Dio. E che è anche riconoscente che le sue attività, i suoi pensieri e pure i suoi desideri prendono senso solo all’interno di una cooperazione eterna, esplicita e trascendente.
In tal modo, la politica, come attività preposta alla presa e alla gestione del potere, deve scaturire dalla fede vissuta come cultura esistenziale che investe tutti gli aspetti della civiltà. La piaga dello psicologismo e dell’individualismo contemporanei, parecchio imperanti, è così strutturalmente sbaragliata.

Altrimenti gli uomini sono condannati all’inevitabile abominio del nichilismo: che esso sia riduttivo e materialista; oppure che sia idolatra e sempre alienato, cioè spiritualista.
Luigi Giussani ha vissuto tutta la sua vita con questi principi salvifici e ci ha insegnato a viverli nella Chiesa. Nella totale responsabilità personale.

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