Se don Giussani fosse ancora tra noi, avrebbe giudicato « indegni di respirare e di vivere i cristiani senza identità, incapaci di progetti e senza interessi per la politica salvo quando sono chiamati alle elezioni”! Questa sua citazione è tratta dall’ultimo libro di Gianfranco Amato, leader del Popolo della Famiglia, il partito cattolico fondato un anno fa.

Il libro in questione è appena stato pubblicato in Italia da Youcanprint con il titolo un Caldo semestre e la citazione si trova a pagina 31. Non ci andava leggero monsignor Giussani quando conduceva (per tutta la sua vita) la lotta irriducibile contro l’idelogia dell’Azione cattolica. E contro l’astrazione intellettualistica e moralista di un clero tremebondo che – come amava ripetere sempre – aveva “vergogna di Gesù Cristo”. I papi san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, durante trentacinque anni, hanno considerato questo servo di Dio a modello dei loro pontificati profondamente unitari. In effetti questi papati hanno riportato – almeno dottrinalmente – la fede al centro del cristianesimo. Basterebbe la lettura di queste quasi quattro pagine consecutive nel capitolo di detto libro straordinario di cronache politico-religiose scritto da Amato contenente siffatta illuminante citazione, per completare la condanna senza possibile appello, dell’attuale eresia vincente e maggiore nella Chiesa cattolica. Si tratta del casuismo sentimentale e modernista: eresia-di-ritorno di tre secoli fa combattuta dalla Chiesa di cui il monsignor belga Schooyans, nel 2016 e soprattutto dopo l’avvento dell’ideologia sud-americana relativista e marxiana, sebbene intermittente al potere, ha lungamente denunciato, sempre prudentemente, la nuova linea petrina di Papa Francesco. Il prelato wallone ha riportato al centro dell’attualità codesta grave deviazione teologica ormai classica.

Quanto al capitolo del libro, dal titolo emblematico, I dieci mali del pastoralismo, tratta in effetti i punti profetici con i quali Stefano Fontana ha genialmente sintetizzato le viste pastorali eterodosse casuiste, introdotte in gran pompa oppure ben tollerate, dall’attuale Papa eletto grazie all’azione finalmente determinante del gruppo detto “complotto di San Gallo”. Ci si ricorderà che questa nuova linea ecclesiologica perniciosa era stata condotta da parecchio tempo dai cardinali modernisti come il famoso belga Danneels e i suoi colleghi tedeschi Kasper e Marx.
Perché Amato ha centrato il suo capitolo su Fontana? Per la semplice ragione che questi altro non è che il direttore del molto rigoroso Osservatore internazionale cardinal Van Thuan sulla Dottrina Sociale della Chiesa. Ma anche per il fatto che, in modo particolare, egli ha creato il termine “pastoralismo”. Il quale definisce perfettamente e, allo stesso tempo, giudica implacabilmente l’eresia contemporanea del casuismo. Vale a dire la teologia ribaltata resa strtturalmente ed esclusivamente conseguente dalle circostanze mondane e non dalla Verità eterna della dottrina evangelica! Peraltro, anche di fronte  al catalogo di questa deviazione profondamente anticristiana, l’arcivescovo di Trieste, Crepaldi, che è il responsabile principale della DSC, si trova a mezzo progredire del suo favoloso corso di teologia sociale tanto necessario a causa dell’attuale ignoranza praticata, non solo involontariamente, dai prelati, gli ecclesiastici e dai responsabili dei movimenti cattolici… Il corso è stato organizzato in collaborazione con l’eccellete quotidiano cattolico online La Bussola.

Ma ritorniano al pastoralismo descritto dal Fontana. Questo, di fronte alla “vergogna di Cristo” di cui reiterava spesso don Giussani, riduce la dottrina cattolica (soprattutto sociale) alla misura della minuscola fede del mondo. La linea scervellata e mortale (“indegna di [permettere] di respirare e di vivere”!) da parte del grandissimo fondatore e conduttore al massimo livello ortodosso e appassionato di Comunione Liberazione, il “suo” movimento ecclesiale attualmente alla deriva del relativismo opportunista e depressivo. La svolta, da più di una decina d’anni in corrispondenza soprattutto della morte del suo impareggiabile maestro, dispone di tutte le caratteristiche dell’irreversibilità già molto confermata. Al punto che nessuna differenza, ormai, potrebbe distinguere CL dall’Azione cattolica contro cui don Gius ha dovuto lottare instancailmente, o astuziosamente, per tutta la sua vita attiva.

Non mi soffermerò qui sui dieci punti del pastoralismo di Fontana – ormai almeno noti e sui quali ritornerò presto –, particolarmente commentato con maestria da Amato nel suo capitolo (da non perderne nemmeno una sola briciola). I dieci sintomi della malattia ormai cronica ed avanzata, analizzata dal direttore dell’Osservatorio, costituiscono la descrizione evidente della crisi apparentemente in perdizione d’identità e originaria della vera rligiosità. E della Chiesa attualmente a guida sostanzialmente catto-protestante.
Mi limito quindi solamente a ricordare la privazione più disastrosa indicata da questo decalogo in negativo: la sparizione del giudizio, ciò che don Giussani chiamava continuamente “il giudizio inaggirabile e irriducibile del cristiano”, di fronte e nell’oceano del relativismo nichilista ora trionfante!
Ma senza Verità, la grande “pretesa salvifica esclusiva” affermata alle folle e sileziosamente nella Morte e Resurrezione del Cristo, cosa rimane veramente del cristianesimo?
Gianfranco Amato, in fondo, si impone il compito di rispondere a questa domanda cruciale nell’economia generale del suo libro “molto concreto e ben incarnato”: mostrare cioè la lotta vitale, in altri termini, e specificamente memorabile dell’uomo che si abbandona storicamente alla salvezza della sua vita verticale e orizzontale. Dunque alla sua vita politica! Vale a dire, fuggire come la peste – allo stesso modo in cui l’ha appena detto a San Martino di Castrozza l’arcivesovo emerito sempre giussaniano, Negri – “la riduzione del  cristianesimo a puro sentimentalismo in ogni caso di assistenza” alla schiavitù del nichilismo nel mondo. Lo stesso e identico programma di testimonianza del partito di Amato, non a caso concepito ora inviolabile da alcuna coalizione laicista: il Popolo della Famiglia.       

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