Anche i molto giovani morti nell’attentato islamista di Manchester ora lo sanno: l’irrimediabile del male può essere solo veramente perdonato dall’amore infinito di Dio. Ma il male resta totalmente! È per questo che la penitenza prende tutto il suo senso contro un certo spiritualismo intimista disincarnato.

La categoria dell’irrimediabile esiste sempre. Essa è originata dall’intangibile libertà humana: dal suo irriducibile libero arbitrio. L’uomo è fatto all’immagine di Dio ma può ad ogni momento negarlo.
Egli può diventare – anche e soprattutto nei fatti – all’immagine del Suo contrario, Satana. Questa grandiosa e drammatica possibilità è alla base del mistero globale dell’uomo. Nei nostri giorni gli umani cercano di dimenticarlo e la cosa vale per tutti gli uomini, pure quelli che hanno deciso – naturalmente – di non diventare terroristi. Il peccato è però operativo a partire dal momento che ci si allontana anche di poco dall’immagine a modello vocazionale della Trinità. Gli uomini cercano di non crederci più o dall’escluderlo dal loro orizzonte. Ed è in questa colossale amnesia che è contenuto il tentativo transumanista di sfuggire a siffatto destino in ogni caso ineliminabile e implacabile. Il “trucco” globale, pseudoreligioso e passe-partout, in grado di aggirare tutta la cosa, è di far coincidere la dimenticanza con il perdono divino oppure con la sua sparizione: la rimozione generale del male.

Anche nella Chiesa questa tendenza a tutto mettere nel dimenticatoio, a tutto respingere nel nulla, è molto praticata: essa si chiama “spiritualismo intimista”. Si tratta della più diffusa deviazione eretica contemporanea. Il trucco è molto semplice: basta ridurre sufficentemente il discorso evangelico e ricoprire quanto tolto “compensando” con un eccesso di verbosità apparentemente molto “spirituale” e “intimista”. Metodo questo quasi astuto e classicamente ben sperimentato all’incirca in tutte le eresie. Il tradimento del discorso cristocentrico diviene così facile e si manifesta anche di riflesso sul piano pubblico e politico. Esso appare, malgrado il credo di tutti i fedeli falsamente ipermisericordiosi e autoassolutori da marcapiede, che cercano di riportare ogni comportamento cristiano esclusivamente al privato e all’intimo. Tutta la vita evangelica di Gesù è stato invece e prima di tutto pubblico. E il Suo messaggio estrememente semplice, fino all’utilizzo delle elementari parabole! Il discorso spiritualista e intimista, all’opposto, diviene fatalmente pseudointellettuale e psicologista. E lo si sa, anche il messaggio più spirituale e più intimo del Cristo – che ce lo si ricordi – non ha mai sfiorato, né da vicino né da lontano, lo spitualismo e l’intimismo ora tanto alla moda.

Questi due paragrafi qui sopra, che vi chiedo di definire con molta benevolenza “storici e dottrinari”, non sono proprio inutilmente astratti o pleonastici, ma riguardano precisamente e concretamente tutte le polemiche che, anche a partire dall’attentato islamista di Manchester, ha ancora sviluppato la disputa teologica ed ecclesiologica tipica e d’attualità nel nostro tempo. Questa ha avuto come protagonista l’arcivescovo Luigi Negri, vecchio fedele collaboratore di don Giussani, dalla sua prima giovinezza (quando era appena al liceo), e almeno due autori di articoli che hanno cercato di stroncarlo e ingiuriarlo! Essi hanno fatto apparire due articolesse apparsi ad hoc su Il Sussidiario, il quotidiano online tradizionale di Comunione e Liberazione. Bisogna subito considerare che monsignor Negri è stato forse il più prestigioso leader di questo movimento mondiale durante molti decenni, almeno fino al tempo in cui esso è rimasto sotto il carisma del suo fondatore don Giussani (morto nel 2005). Questi due autori, denominati Leonardi e Vites, seguendo letteralmente molto da vicino lo schema e i contenuti che ho cercato di descrivere molto sinteticamente, si sono dati a critiche acerbe, superficiali e soprattutto impertinenti rispetto alle parole della breve lettera pastorale dell’arcivescovo Negri. Come perfetti abbrutiti apparentemente colti, essi mostrano invece di non saper nemmeno veramente leggere e comprendere la grande sapienza magistrale del prelato, del loro in realtà ex-grande prelato! Il quale, dopo aver stigmatizzato la feroce morte di tutti i giovani partecipanti al concerto pop inglese dell’attentato, tra l’altro afferma: “ Miei figli, siete morti così, quasi senza ragioni, come siete vissuti…”. Dopo egli situa il baricentro del suo messaggio – come ogni vescovo dovrebbe sempre fare – al cuore del problema escatologico ed educativo: “Miei figli della società che non riconosce il male…”!
Di fronte a siffatta saggezza suprema, i due articolisti si sono dilettati in una verbosità logorreica di tipo ormai “canonico”, nel genere da me descritto qui sopra nel paragrafo precedente. Con in supplemento un tono e offese inaudite proprie di una ignoranza prepolitica e, soprattutto, prereligiosa, se è possibile di così dire. E nella tendenza di un totalitarismo arrogante e pieno d’invettive gratuite proprie dei nichilisti occidentali tanto odiati – tra l’altro – dai terroristi assassini islamisti.

Dunque, spiritualismo disincarnato e intimismo psicologista: ecco le armi, potenti per il loro conformismo massificato e per la totale adeguazione al pensiero unico (!), utilizzato – in fine – dai due articoli altrimenti inqualificabili. Queste due deviazioni culturali permettono, in effetti, di passare sotto silenzio che il male irrimediabile – e non si tratta di una costatazione banale – esiste realmente: solo lo Spirito Santo puó trasfigurarlo. Questa esistenza è molto operativa non solamente, va da sé, presso gli islamisti barbari e crudeli (mentre gli islamici detti “musulmani moderati”, si accontentano generalmente, forse per ora, di osservare passivamente e ambiguamente al balcone), ma anche e soprattutto per la grandissima maggioranza  degli adulti europei, sempre irresponsabili. Sono questi adulti i colpevoli e i complici, che ce lo si dica, specifici del concerto. Non per “giustificare i terroristi”, come pure e soprattutto i due autori in questione hanno cercato d’insinuare e di far comprendere. I due giornalisti, come ogni membro del loro movimento attuale, sono colpevoli in quanto educatori falliti di tutta la giovinezza che costituiscono i loro figli e nipoti. Ma sono colpevoli anche in quanto cittadini dirigenti e molto cattivi garanti di una società occidentale che ha tradito i suoi principi di civiltà. La quale ha nel cristianesimo i suoi fondamenti millenari ora non riconosciuti ufficialmente.
È di questo, e non di altro, che l’arcivescovo Negri aveva scritto.

Nessuna analisi, neanche operativa, del male intrinseco del mondo contro il quale gli abietti isalmisti continuano ossessivamente e ottusamente a insanguinare all’impazzata, è avanzata da questi moralisti impauriti: essi dispongono solo della loro cultura pietistica, falsamente ingenua e beota da neo-bigotti.
La loro ideologia di appartenenza ai cattolici acritici, già a priori… salvati da una certa e molto supposta misericordia divina (veramente farisaica!), fa sì che questi due giornalisti possano considerarsi dispensati totalmente da ogni loro analisi del male universale e quotidiano, soprattutto per le sue conseguenze. Questo male sta devastando la cultura e particolamente i cuori dei giovani sprovvisti et sottoposti, senza nessun riferimento di Verità, ai valori, meglio ai non valori decurtati di senso in questo mondo in perdizione. Di cui il concerto a cui assistevano a migliaia era un esempio molto ricco in pedagogia malata e perniciosa. Invece, a causa della politica sostenuta – per esempio – dalla nostra indegna coppia di critici, la maggior parte dei cattolici non sanno nemmeno contraddire gli alacri propagandisti del nichlismo gaio, argomentando che, in fondo, niente è poi così grave… In tal modo, tutto va bene signora la Marchesa. La Chiesa e i suoi movimenti ecclesiali hanno da molto tempo finito di educare i suoi fedeli a formulare, sempre e primariamente, un giudizio cattolico, preciso e unico, su ogni elemento o frazione di realtà.

Finalmente, questi critici di sedicente periferia evitano come la peste ogni dicorso pubblico e obiettivo. Essi abbondano invece in considerazioni multiple di fede intimista e intellettualista.
Come se il Cristo, sul Monte degli Ulivi con i suoi primi apostoli, prima di salire alle grandi feste religiose e tradizionali di Gerusalemme, avesse deciso di partire opportunisticamente a meditare e pregare piuttosto nel deserto e non a testimoniare pubblicamente dichiarando chiaramente alle moltitudini e ai suoi torturatori la Verità eterna, tanto sistematicamente negata. È dunque nell’évidenza della grande città, pubblicamente, dove il potere si dispiega (sia quello romano che del sinedrio), che la Sua vita doveva (e deve sempre) incontrare la Sua suprema testimonianza. Dunque la Sua passione morte sulla croce (e la Sua resurrezione promessa dallaTrinità): ben si conosce quale sia stata la Sua scelta.

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