Due sessi, quello dell’eterno femminino materno e l’altro della virilità paterna e universale: l’ontologia naturale dell’uomo e della donna al cuore del rapporto col potere, via la celebrazione della vita. Il femminismo e il gender nella degenerazione.

Ho spesso la tentazione di attribuire alla donna una superiorità naturale, ontologica, non solamente culturale in rapporto all’uomo d’oggi. E ogni volta debbo fare ricorso alla sapienza di Dio, alla saggezza della Sua Creazione che non avrebbe mai dotato uno dei due generi, il maschile e il femminile, di un possibile dominio originario sull’altro. È così che resisto a questa tentazone di considerare la più perfetta delle donne in supremazia relazionale col migliore degli uomini. Dunque è la teologia, la mia stessa fede, a riportarmi al ragionevole malgrado questa evidenza mi appaia attualmente solo contro il mio genere. In effetti, tutto mi suggerisce un dominio dell’eterno femminino sull’uomo apparentemente potente ma fenomenologicamente, ai nostri giorni e in fondo, molto annientato. Sono sposato e posso costatarlo da vicino, in famiglia, anche con i miei figli: ne ho due, un maschio (sposato) e una femmina, la minore (ancora celibe). Il maggiore è credente e praticante, l’altra agnostica ma sorprendentemente “religiosa”, culturalmente cosciente della sua creaturalità naturale. Ritrovo continuamente questa polarizzazione che mi sorprende sempre anche con mia moglie (lei però molto credente). Sono obbligato a constatare pure a livello sociale come i maschi corrano appresso alle femmine per cercare di impossessarsene più ancora che cercare di veramente comprenderle. E questo anche quando sembrano usufruire di un ruolo ritagliato a propria misura, in piena potenza e, apparentemente, secondo la loro intrinseca forma spirituale.

Sicurezza spontanea, dunque, della donna e, altrettanto in generale, fragilità dell’uomo définito oggi dall’”Io debole”. Paradossalmente, ritrovo lo stesso fenomeno notando la molto deludente altezza vitale delle femministe militanti che scimmiottano banalmente, da decenni, gli atteggiamenti e i comportamenti anche massificati degli… uomini. Il loro impegno sembra essere dimensionato al profilo piuttosto politicistico, reattivo e standardizzato – non veramente vocazionale – dei maschi di “successo”. Tutto il profondo fallimento del femminismo mondiale dell’ultimo mezzo secolo stagna all’interno del limite riduzionista di questa falsa dimensione unisex, assolutamente degenerata. Bisogna però considerare che ultimamente grandi femministe storiche – come le americane Camille Paglia e Gloria Steinem – si sono radicalmente smarcate da questa ideologica vulgata molto lobotomizzata.

Il femminismo ha almeno aiutato a ridicolizzare e a rendere obsoleto un certo maschilismo, a dire il vero già morente e anche culturalmente defunto. Ma solo la constatazione approfondita delle sue deviazioni scontate ed praticate epidermicamente avranno potuto aprire orizzonti inerenti all’ulteriore scoperta veramente ontologica della natura maschile e femminile nell’umano. Sempre che ce ne fosse bisogno. Così anche nella linea di questo femminismo erroneo e riduttivamente politicista, si è visto giungere al galoppo l’ideologia intellettualista e folle della sessantina e più (!) di tipologie di generi che il movimento LGBT propone e impone nella nostra piena attualità internazionale (in luogo semplicemente, dei due generi classici realmente veri e perpetui). Il concreto problema della ricerca antropologica resta così quello della natura autentica e sempre ben separata tra l’uomo e la donna. E questo malgrado che i due profili psicologici (femminile e virile) siano compresenti e operativi in ogni essere umano. Il grave fenomeno detto dell’uomo oggi assente deve essere pertinentemente visto in rapporto a quello simmetrico e relazionale della donna moderna ben femminile e di natura ben diversa, opposta ma complementare, a quella maschile.
Dove poter trovare – meglio ritrovare! – l’origine autenticamente sorgiva di questi due generi (e non più di due!) della sessualità umana apparentemente avversi? Ma nel cattolicesimo, e nella sua tradizione millenaria di Verità, naturalmente!

La vasta ricchezza documentata nella cultura della civiltà cristiana e del magistero della Chiesa attende perentoriamente – come sempre – di essere ulteriormente approfondita. Per esempio, il giovane filosofo cristiano francese Hadjadj ci si è costantemente applicato, questi ultimi anni. Soprattutto nella relazione, nelle relazioni multiple naturalmente, della e nella Famiglia. Questa grandiosa ricchezza esistenziale è diventata un immenso patrimonio di profondità, verità e bellezza nella tradizione anche e soprattutto della Chiesa. Dove la consacrazione verginale delle donne ha riempito la storia dello spirito, e dei conventi, nei secoli. Il monachesimo ne è il movimento religioso e culturale nel quale è inscritta questa suprema esperienza esistenziale anche della femminilità. Ciononostante, c’è una tendenza cattoprotestante che vuole peccaminosamente rendere la donna uguale e non solamente pari in dignità all’uomo. Soprattutto nella sua “carriera ecclesiastica”: si tratta dell’idea eretica propria del casuismo secondo cui è la cultura detta storica, e non l’ontologia naturale e intrinseca dell’essere con il suo genere specifico, a dover determinare la funzionalità della vita e delle sue opzioni pure canoniche!

È invece la giusta e completa comprensione immediata di tutta questa esperienza storica che permette di avanzare nella soluzione dei problemi dei rapporti tra i due sessi nella modernità. L’idea molto diffusa, purtroppo, secondo cui bisogna allontanarsi e pure rifiutare la tradizione per poi tutto inventare a partire da zero, ab nihilo, non permette di uscire dall’improvvisazione riduttrice delle falsificazioni più appiattite.
Innanzitutto, bisogna risolvere il nodo capitale del rapporto eterno con il potere detto materiale. Allo stesso modo di quanto accaduto da più di un secolo, è questo lo scoglio sul quale si schiantano le esperienze sedicenti culturali del femminismo, dai suoi inizi. Occorre ritornare – sempre instancabilmente – sullo statalismo, vale a dire la stravolta soluzione storica del vero dilemma tra il potere fattuale dello Stato e quello spirituale di Dio e delle Sue leggi naturali. Chi deve esercitare il dominio sulla vita e a favore della vita stessa?
Fino a quando si continua a privilegiare il potere statalista – come si fa soprattutto da più di due secoli di pensiero ateo – non si potrà far fronte a nessuna dimensione della virilità o della femminilità!
Se non si riconosce la loro creaturalità trascendente per poi continuare a negarla in modo anche forsennato e laicista, non si potrà nemmeno avvicinarsi a queste due dimensioni eminentemente umane.
In seguito, si dovrà ricercare l’approfodimento della nozione di femminilità e di mascolinità all’interno della loro relazione reciproca. È ben noto che il cammino della soluzione dell’uno può scaturire solo dalla stessa ricerca centrata sull’altra e sul loro rapporto globale. Ogni avanzamento nella soluzione dei problemi della virilità non può esimersi della comprensione ontologica della natura intima e simmetrica della femminilità.

Soprattutto sul piano dei loro fenomeni espressivi! I ruoli naturali e culturali dell’uomo e della donna – del marito e della moglie e pure del prete e della religiosa consacrata – possono essere capiti e assunti solo a partire dal rapporto complementare ma radicalmente diverso nella loro natura originale e preordinata: già a partire dalla loro concezione e dalla  nascita.
Tutto il contrario, questo, di ciò che si cerca di concepire e di vivere da parte del  modernismo acefalo che ha portato alla dottrina scervellata del gender. Anche e incredibilmente nei ranghi della Chiesa.

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