Don Giussani non temeva di essere classificato politicamente “di destra” e di situarsi con l’”impresentabile” Berlusconi. Gli bastava essere un incondizionale della “libertà, la sola parola che viene subito dopo quella di Dio”, come amava spesso ripetere.

Perché si è entrati nel relativismo della scelta dei partiti politici considerati tra loro equivalenti o soggettivamente diversi per ragioni marginali e inessenziali?
In realtà, dopo la confessione spontanea del fallimento del comunismo nel 1989, sia a Berlino che a Mosca oppure a Beijing, anche il marxismo socialista ha terminato di trasformarsi in nichilismo relativista secondo la tendenza generalizzata dell’ideologia contemporanea secolarizzata. Il comunismo era in effetti la sola ideologia che ancora aveva resistito, dopo la grande guerra, nella conservazione della bipolarità politica sinistra-destra. Da allora, tutti i partiti si sono gettati nel modernismo assoluto: una mistura indifferenziata di statalismo relativista più o meno radicale, più o meno dirigista e più o meno superficiale e liberticida. L’impressione generale del “Tutti gli stessi” non è erronea. Tanto più che i protagonisti più puntuti di ieri diventano oggi i più moderati, ma sempre provvisoriamente nelle posizioni politiche. Le apparenti fluttuazioni sono sempre d’attualità. Il relativismo situazionista ne è la sola e orripilante legge.
Don Giussani, sempre irremovibile nella sua fede cristiana e cristocentrica, poteva solo ripetere la semplice gerarchia di valori verità: prima di tutto Dio e la sua Trinità, seguito dal primo valore umano e laico che è sempre stato e sempre resterà in vigore: la libertà.

Lo si sa: storicamente e ontologicamente, la libertà è stata e rimane il valore assoluto, il solo, che la destra ha immancabilmente privilegiato sul piano politico. La sinistra ha invece costantemente sostenuto la supremazia della giustizia che è un valore relativo e sempre subordinato a quello della libertà. In effetti la libertà contiene la giustizia e non viceversa. Le società che hanno sostenuto la libertà hanno in ogni caso raggiunto un livello di giustizia, sia individuale che sociale, ben superiore alle società che hanno attribuito alla giustizia il primo posto: vale a dire i paesi statalisti e collettivisti.
Da un punto di vista concettuale, la società è costituita di persone il cui bene fondamentale è la libertà. Anche quella minimalista e negativa di poter scegliere arbitrariamente il male (oltre beninteso il bene). Il valore della giustizia, da sola e senza la sua matrice di libertà, non può che fare fallimento. Sempre. La libertà, anche ridotta alla sua più semplice dimensione, quella di potere semplicisticamente scegliere il male, è comunque da preferire alla promessa, inevitabilmente statalista e sicuramente totalitaria, di una giustizia sociale. La prima giustizia per ogni uomo è di disporre realmente della propria libertà e di quella della sua socialità coniugata e articolata. La politica può solo nascere da questo punto centrale. E, per questo, si è sempre disposti a morire. Non per la giustizia!

Come è possibile solamente pensare di votare per partiti che, come nei nostri giorni, fanno riposare la possibile libertà “progressista”sullo Stato statalista? Che siano di sinistra o di destra, oppure di centro, tutti i partiti o quasi sono attualmente nichilisti e relativisti con una concezione più o meno evaporata della giustizia, checché se ne dica. Non è un caso se Papa Francesco ripete che la giustizia non esiste senza misericordia… E, soprattutto, come votare partiti fieramente ancora di sinistra (anche se detti postcomunisti!) che sono tutti – non meno che tutti – liberticidi? A destra, non è certo che si possano trovare partiti veramente liberali. Ma questa possibilità esiste oppure, in ogni caso, è apparentemente più vicina. Attualmente, questa possibilità in ogni caso non esiste: per la semplice ragione che tutti, o quantomeno la gran maggior parte, fanno prevalere il principio miscredente dello Stato, fatalmente più o meno statalista, in rapporto a quello inviolabile e supremo della Persona.
Per avere una idea del grado di apostasia e di relativismo, cui è giunta una larga maggioranza operativa anche della Chiesa e delle sue comunità ecclesiali, basta considerare la sedicente “libertà di scelta politica” accordata in modo scervellato ai cristiani nel loro voto!

Alla mancanza più o meno totale di analisi sul vero livello liberale dei partiti (praticamente tutti statalisti e corporatisti), per i quali i “fedeli infine liberi” possono votare, si deve aggiungere il fatto clamoroso che non solamente non esiste un partito cattolico nei nostri paesi europei storici, ma nell’universo cristiano  del nostro Vecchio Continente l’idea di costituire un partito confessionale è considerata attualmente come quasi diabolica. In Italia, all’inizio di quest’anno 2016, è stato fondato un partito chiaramente cattolico centrato sulla Famiglia: quante opposizioni si sono avute! Tutte motivate di argomenti riguardanti la metodologia soggettivista e l’opportunismo casuistico.

La più grande profondità teologica e la pertinenza complessa più sofisticata nell’ontologia, propria a quella di don Giussani, non si è sottratta alla doverosa semplificazione politica più popolare: quella della scelta del partito più liberale, autenticamente più liberale. Di destra naturalmente.
Peraltro, è ben nota la concezione politica di don Giussani che era fondata sulla famosa “distanza critica”: ogni cristiano doveva e deve sempre coltivarla in rapporto, intrinsecamente, alla visione mondana del potere.
Ma  oggi c’è di meglio: con e per un nuovo partito cattolico. Senza la consueta spocchia.
Un altro esempio di attualità? Tra il necessariamente stravagante detto sconcertante Trump e la signora Clinton, chi votare? Per Trump, naturalmente.
E non per la Clinton che è delittuosamente abortista e, in sovrappiù, statalista di sinistra.

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