Come riconoscere sicuramente lo statalismo reale tra le dichiarazioni di « antistatalismo »? Non è veramente raro che leader politici e culturali siano accusati del cancro più grave e mortifero della nostra era. Come cercano di difendersi?

Giorgio Vittadini, dopo essere stato messo sotto accusa varie volte come statalista non solo culturale, almeno quanto Comunione e Liberazione come movimento ecclesiale cattolico di cui egli è un leader di primo piano, reagisce con un articolo pubblicato il 28 aprile scorso su Il Sussidiario. Egli ci si dichiara antistatalista motivandolo ampiamente. Ma cosa rimane del suo statalismo reale di cui io stesso ho fatto dimostrazione in altri post? C’è un metodo molto diffuso per far fronte a siffatte accuse. Si utilizza l’esemplificazione concreta per “dimostrare” il fondamento della propria difesa e, allo stesso tempo, l’astrazione degli accusatori. Essa si articola in tre punti. Innanzitutto, queste esemplificazioni sono sempre molto puntuali e specifiche: mai globali e totalizzanti (aggettivi molto giussaniani ma piuttosto dimenticati), allo scopo di mettere ben in evidenza il sedicente concreto e l’efficacia di “ciò di cui si parla”: soprattutto per discretitare i critici. In secondo luogo, non si fa mai riferimento alla generalità comprendente tutti i fattori suoi costitutivi (come ripeteva instancabilmente don Giussani) del concetto di statalismo, comprese le sue conseguenze legate alla sua esistenza sia a monte che a valle delle sue applicazioni: il concetto “teoria” è così oggettivamente denigrato o escluso fino ad identificarlo con la categoria dell’inutile (e non con il suo significato originale in greco: theoroscome “descrizione della realtà”!). In terzo luogo, si cura di introdurre nei confronti inerenti, sempre posizioni ancora più e molto estremiste sul piano dello statalismo allo scopo di presentarsi come moderati nei propri giudizi intermedi pieni di “buon senso”. Questi tre punti si presentano così, già nelle loro formulazioni, come dimostrazioni del ben fondato proprio dello statalismo che, nella sua definizione, vuol dire lo Stato superiore, ben superiore, alla Persona e alla sua Libertà intrinseca; dove la Persona, naturalmente, porta con sé un concetto di trascendenza supremo e di valore anche indiscutibile. Appare evidente che questo giochetto dialettico del “concreto” non fa altro che mettere lo statalismo nella sua posizione di obiettiva supremazia culturale rispetto ad ogni altro valore. Del resto è esattamente quanto la posizione del “pensiero unico e liquido” impone attualmente in tutto il suo semplicismo corrispondente all’orribile “migliorismo” politicistico. Da cui, la diffusione massificata, in tutti i paesi occidentali, del terrificante statalismo che reifica e trasforma tutto in nichilismo!

Passiamo quindi a esemplificare ciò che Vittadini presenta abusivamente come visione antistatalista. Innanzitutto, il tema di cui si occupa è molto particolare o quantomeno decontestualizzato: le elezioni a Milano e i suoi candidati; così, per quelli di sinistra, egli considera in quest’ultimo suo articolo : “essi devono decidere se restare ancorati a schemi ideologici o se riconoscere la capacità di rispondere ai bisogni, che è presente nella società”. È forse diventato antistatalista? Niente affatto! I suoi ciellini del partito centrista sono sempre nel governo laicista di sinistra. Et, come vedremo nel seguente terzo punto, egli non ha mai smentito la concezione ben statalista secondo cui, dopo aver fatto la dimostrazione statistica che in Italia ci sono almeno 750.000 statali di troppo, si è precipitato a rassicurare tutti gli statalisti – nello stesso articolo – che non è assolutamente questione di eliminarli! In secondo luogo, egli afferma: “È un fatto che il regime statalista in vigore nel nostro Paese da decenni ha prodotto deficit nei bilanci, scarsa efficienza, qualità nei servizi molto bassa e insopportabili zone di parassitismo nelle rendite”. È così diventato antistatalista? Niente affatto!  Il suo appoggio politico è sempre polarizzato a sinistra o al centro-sinistra collettivista che gli promette e gli accorda sempre più misere sovvenzioni molto “concrete” ai suoi spesso rivendicati corpi intermedi cui tiene come alla pupilla dei suoi occhi. E questo, in luogo di agire allo scopo di eliminarli per almeno una cinquantina d’anni senza nemmeno rifletterci un istante. La conseguenza immediatamente più grave dello statalismo, si sa, è il debito pubblico che costa il triplo di una manovra di bilancio all’anno, vale a dire – per l’Italia – quasi 90 miliardi sbalorditivi di interessi da pagare cash! Per non parlare del piano morale e religioso che ha permesso di mettere sul gobbone degli attuali e futuri giovani il vergognoso costo dell’edonismo straccione di due generazioni, a partire dagli anni ’60. In terzo luogo, egli si guarda bene dal definire e mettere in guardia ciò che statalismo vuol veramente dire: a causa della paura, naturalmente, di esserci associato malgrado il suo apparente moderatimo! Tutta la cultura dei movimenti ecclesiali è in gioco in questa lacuna di analisi che il nichilismo superficiale, primitivo e irrazionale della nostra epoca ingenera nel pensiero e nel comportamento delle masse dette moderne… Ne dipende il rapporto con il pensiero, con il theoros, con il cuore della trascendenza, dunque della religiosità.

Ma il punto ancora più profondo dello statalismo consiste nell’applicazione corrente abbastanza definita, stabilita e indiscussa che riguarda lo Stato stesso in rapporto alla società civile e a sé stessa. Vediamo ciò che afferma Vittadini: “Il Comune deve governare [ma queste stesse parole possono essere utilizzate per lo Stato] e non deve gestire necessariamente in prima persona i servizi…”. E ancora: “… dove i cittadini possono anche scegliere grazie a strumenti come i voucher…”. Qui il vecchio esperto in sussidiarietà riprende i suoi spiriti e afferma cose sacrosante. Ma si conoscono perfettamente le pratiche perverse da decenni ben incrostrate nelle abitudini di CL. Ecco in realtà cosa succede: una volta che i politici sostenuti da CL hanno vinto le elezioni (cosa abbastanza facile grazie alla potenza elettorale del movimento e della sua popolarità), la gestione degli affari statali (regionali, provinciali e comunali) è praticamente presa in carico da società private costituite principalmente da membri del movimento che, con la loro proverbiale efficenza, permettono la realizzazione rapida ed economica, la più rapida ed economica in rapporto alla molto bassa produttività degli statali e delle lobbies presenti sul mercato politico (anche di sinistra). La capacità funzionale di questo metodo ha sempre assicurato, da decenni, una efficacia relativa senza possibilità di paragoni: bisogna riconoscerlo. È per questa ragione che Vittadini aveva scritto, nel marzo scorso, il famoso articolo dove il calcolo della gigantesca eccedenza di funzionari pubblici e inutili (oltre che eccedentari e dannosi) in rapporto agli standard della regione Lombardia dove il partito cattolico era al potere, senza escludere che possano essere licenziati! Dove sta allora il problema? Molto semplicemente esso consiste nel fatto che codeste società private, costituite allo scopo di far funzionare perfettamente e rapidamente gli affari pubblici, sono in realtà degli assurdi doppioni clientelari delle masse di statali inutili ed eccedentari di cui nessuno chiede il licenziamento. Ecco spiegato il piccolo mistero dell’apparente incomprensibile contraddizione di Vittadini! Rimpiazzare nel loro lavoro i funzionari strutturalmente fannulloni, chiamati fanigotton in dialetto lombardo, è immorale e pure irreligioso. Così, si possono leggere sulla stampa dichiarazioni d’incriminati dalla Magistratura a causa di “remunerazioni” del 3% e più sui budgets pubblici per far funzionare gli affari di competenza degli statali parassitari… Ecco la forma che lo statalismo può prendere nell’inconfessabile complicità fatalmente delinquenziale, anche se difficilmente  incriminabile. Ma da un punto di vista morale e politico, il severo e immericordioso giudizio di statalismo  è immediato!

 

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