Lo « Stabat Mater » di Pergolesi a Bruxelles e la grande musica classica nella formazione dello spirito all’ascolto del cuore biblico. Il libro di don Giussani, “Spirto Gentil”, sul vero rapporto con la musica dell’uomo detto moderno.

Con i giovani di Comunione e Liberazione di Bruxelles, la scorsa settimana, sono andato in famiglia alla grande sala per concerti, il Bozar, per assistere allo Stabat Mater di Pergolesi, definito da don Giussani “Il grande amen di tutta la musica”. In Quaresima, in sovrappiù, non c’è rappresentazione musicale più adeguata: i visi dei giovani all’uscita erano naturalmente piuttosto trasfigurati. La radio fiamminga, nel quadro del Klarafestival, è riuscita, anche in questa occasione, a riempire il teatro più grande e prestigioso del Belgio. Nel libro “Spirto Gentil”, del fondatore di CL, alla pagina 340 si trova scritto: “La notte del mondo c’è quando nessuno pensa, quando in nessuno brilla la luce che illumina dal profondo del cuore fino all’ultimo orizzonte degli occhi”. Questa riflessione gli era stata suggerita ascoltando Rachmaninov, forse il “più grande nella sua dimensione drammatica, come liturgia che celebra il Destino…”, non esita a dire. L’entusiasmo di Giussani per questo musicista russo andava oltre anche alla grande ammirazione per Beethoven o Chopin, “molto scaltri, troppo resi scaltri dalla cultura occidentale”. Mentre “la musica di Rachmaninov scaturisce direttamente dal popolo e dalla sua cultura integralmente religiosa, globale e naturalmente condivisa”. Soprattutto nei suoi “Vespri”. Da cui la passione del nostro grandissimo educatore milanese, ben conosciuta, per i canti popolari russi. Questo libro di quasi 650 pagine, di cui il titolo riprende le prime due parole di una famosa aria dell’opera di Donizetti, La Favorita (che suo padre socialista cantava a casa negli anni 30), mostra e illustra la parte forse nascosta della sua educazione verso l’assoluto conseguita da questo grandissimo prete (in via di canonizzazione) fin da quando era bambino: la musica, la grande musica detta classica, quella che “esprime ciò che sono, e ciò che è quello seduto di fianco a me oppure l’amica di fronte”… La massificazione anche della canzonetta popolare moderna, o dei “concerti” dei gruppi rock-disco-punk sempre comtemporanei, ha strappato tutti i giovani o quasi da questa dimensione profondamente silenziosa. La vera musica non è altro, prima di tutto, che silenzio nello spirito, in quello che nella Bibbia era chiamato cuore.

 Malgrado don Giussani ne parlasse e scrivesse spesso, con la sua cultura veramente moderna in quanto eterna, sterminata e critica al massimo livello, anche i giovani di CL sono piuttosto refrattari alla musica classica e la conoscono in modo insufficiente. E questo, anche malgrado che il movimento di CL non perda alcuna occasione per promuoverla. Nella mia generazione (1944, a 18 anni ho conosciuto don Giussani), già si era in piena massificazione della musica detta di “tappezzeria” che si sentiva di continuo nei primi supermercati, nelle stazioni  e negli ascensori: si trattava, si diceva, della “musica urlata” con anche i cantanti “urlatori”. Pure i miei figli che ora hanno più di 30 anni non “consumano”, come ripetono, generalmente la musica classica. Preferiscono di fatto i gruppi che impazzano nei festival con amplificatori giganti!
Bisogna però riconoscere che ho avuto abbastanza fortuna in quanto mio nonno era direttore di orchestra e di banda e mio padre era timpanista (suonava tutte le percussioni) nei corpi musicali (anche della prestigiosa provincia di Milano). Era particolarmente richiesto anche in Svizzera come grande specialista a cavallo degli anni ’50-’60… E questo mentre la musica detta moderna “automaticamente di riempimento dello spazio auditivo” stava rimpiazzando l’ascolto volontario e puntuale. Soprattutto in Italia del sud, i corpi badistici e le orchestre, tutti di buona e di grandi qualità, erano – prima dell’era della televisione – i mezzi e le modalità con cui Wagner, Beethoven e Verdi venivano popolarizzati. In tutta la mia infanzia, almeno una volta alla settimana il pomeriggio, partecipavo alle prove della grande banda milanese, ben accuattato dietro “il mio caro papà”, grande professionista di tamburi, riconosciuto da quando aveva dodici anni.
A casa (ero di una famiglia abbastanza povera e di cultura non più che popolare dell’epoca) non si è mai ascoltato volontariamente ed espressamente, neanche alla televisione, musica detta “leggera”. Ero piuttosto fiero di conoscere prima dei miei vent’anni Dvorak, Mahler o il Laudario medievale di Cortona, oppure taluni quartetti di Schubert… Ma per me era tutto… naturale senza affettazione intellettualistica di tipo elitario: ne facevo piuttosto una questione d’indifferenziazione opinionistica di tipo banalmente equivalente: a me il classico, ai miei amici il rock! Parecchio dopo, la differenziazione è diventata cosciente e pure ricercata. Affermavo con sicurezza che il mio ascolto pressocché involontario della musica massificata, spaparanzata dappertutto e in ogni momento, era già sovrabbondante nella mia passività quotidiana…

Verso i trent’anni, dunque alquanto tardi, ho potuto cominciare a rendermi conto dell’importanza della musica leggera neo-popolare come veicolo della cultura nichilista e superficialmente edonista.
Ascoltavo il “terzo programma” della radio italiana, anche la notte. Sapevo che don Giussani, dopo una lunga giornata a Milano, al suo ritorno al seminario in treno in quel di Venegono, dopo le dieci di sera, trovava le energie di incontrarsi col suo professore Corti che gli suonava deliziosamente al pianoforte una sonata… Per me, poi, era anche il periodo in cui, alla radio, si era definito la fine della “ grande bobina” che distribuiva notte e giorno musica classica praticamente senza troppe parole o commenti. Mi ricordo di una mia collera, agli inizi degli anni ’70, allorquando è stato annunciato che si sarebbe confezionata una radio sedicente culturale, dunque piena di bla bla detto intelligente e di attualità. Era l’occasione di passare alla radio vaticana dove il classico era ancora dominante. E alle cassette registrate: ne ho ancora centinaia tutte impolverate.  Ho anche tolto la voce alla televisione, limitandomi alle immagini che potevo decidere di guardare e, a volte, di ascoltarne i notiziari… Poi sono arrivate le cartucce contenenti sei CD che preparavo in ordine. E la televisione Sky con i canali tematici e il famoso canale 138 tutto dedicato alla grande musica.
Più avanzo negli anni e più posso constatare che, anche se le mie scelte per la musica non sono state il frutto di una strategia specificatamente preordinata, non ho perso quasi nulla del patrimonio popolare anche generalmente considerato prezioso.  La cosa la dice lunga sul valore culturale della vita massificata. Già la mia ottusità personale è più che sufficiente per abbrutire le mie giornate. Non devo assolutamente rimpiangere d’aver troppo perso Silvie Vartan o Elton John nei quattro-cinque decenni scorsi. Sono piuttosto fiero, invece, di aver offerto ai clienti e collaboratori della mia impresa, per esempio, le 32 sonate di Beethoven in CD sponsorizzati (anche se con un successo abbastanza tiepido). L’educazione, lo si sa, è portare a saper ascoltare les parole del cuore. Dunque all’ascolto della grande musica.

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