Il raro rigore teologico dell’arcivescovo di Bruxelles denigrato durante la sua gestione pastorale non solamnete nazionale, al di fuori ed anche all’interno della sua Chiesa. Egli ha specificatamente posto la questione numero uno dell’eterna salvezza umana: l’autorità nell’esistenza!

Che ce lo si dica, ci sono soprattutto nella nostra epoca due Chiese: quella ortodossa cristocentrica della grande Tradizione; e quella cattoprotestante del modernismo che cerca la novità sempre supposta popolare. Peraltro la cosa è costantemente stata di attualità. Gesù nella sua vita pubblica ha dovuto difendersi e liberarsi anche dai propri partigiani: per esempio, gli zeloti che Lo volevano a capo della loro lotta contro il dominio dei romani in Palestina… Apparentemente nei nostri giorni molto agnostici, i cristiani detti progressisti sono generalmente dominanti sui denominati tradizionalisti che non dimenticano mai che Cristo, innazitutto, è sempre stato nel mondo e nella storia segno di contraddizione. I modernisti cattoprotestanti, invece, corrono dietro ai desideri molto diffusi nell’attualità anche a rischio del conformismo massificato, di un certo conformismo per essi confortevole. In Belgio, il paese ufficialmente più irreligioso del pianeta (si è giunti nel 2014 a legalizzare l’assassinio dei bambini con l’infame legge sull’eutanasia dei fanciulli!), queste due Chiese, se così si può dire, si sono ancora più manifestate l’una contro l’altra: il tutto secondo la guerra portata avanti dai nichilisti che scorribandano nel mondo occidentale.
A memoria d’uomo non ci si ricorda di un arcivescovo belga così contestato o ignorato come l’eminenza André-Joseph Léonard. È il successore di due cardinali in odore di cattoprogressismo acuto: prima con il bruxellese Suenens, poi con il fiammingo Danneels, si è avuto che il molto cattolico Belgio, in una cinquantina d’anni, sia stato condotto verso una Chiesa solo moralista, tiepida e ridotta a dimensioni minimali oltre che burocratiche. Léonard, prima ancora di diventare nel 2010 primate del Belgio, nominato da Benedetto XVI, già quando era solo vescovo di Namur (in Wallonia) e professore di università, era sotto mira dei media laicisti (la quasi totalità) che gli rimproveravano, in fondo, il suo rigore teologico ed ecclesiologico. Come arcivescovo di Malines-Bruxelles gli attacchi si sono pure moltiplicati. La sua azione riformatrice, infatti, si è subito fatta sentire: con la ripresa delle processioni in città, con l’opposizione dichiarata sulla legge dell’eutanasia, con il suo militantismo dottrinale contro il gender e quasi solitario contro le proposte razionalistiche e codine della maggior parte degli altri vescovi che giravano intorno all’idea di famiglia tradizionale in occasione dei due Sinodi del 2014 e 2015. E, soprattutto nel suo impegno a sviluppare i seminari che son passati da 4 a 55 seminaristi in cinque anni! Va da sé allora che i media si fossero scatenati contro il “reazionario” arcivescovo che aveva rotto con una concezione ben confermata di una Chiesa secondo le idee moderniste dell’opinione ormai laicista. E particolarmente del predecessore, il cardinale Danneels il quale, nel frattempo, si era anche messo alla testa del cosiddetto “complotto di San Gallo” che voleva imporre al Sinodo, sotto l’azione dei cardinali tedeschi Kasper e Marx, per esempio, la comunione eucaristica d’office ai divorziati risposati.

Le conseguenze ecclesiologiche di mezzo secolo di autolaicismo volontario e di deriva teologico-psicologistica hanno così portato la maggior parte del popolo di Dio in Belgio, sia nella parte maggioritaria fiamminga che in quella francofona, verso una concezione cattoprotestante (o se si vuole cattocomunista) fondamentalmente localistico-parrocchiale, intimista e autonomista piuttosto indipendentista. Le influenze protestanti dell’adiacente Germania si sono così infiltrate in modo quasi inavvertito nelle comunità cristiane belghe, come altrove nel resto europeo. Bisogna ben dire che tutto questo allontanamento dal Mistero dell’avvento dell’Essere, per mezzo dell’azione salvifica della Chiesa e del suo Corpo Mistico, è proprio di tutte le società contemporanee che stanno divenendo sempre più relativiste e superficiali nella miscredenza secondo le regole del “pensiero unico” e del “politically correct”. Si può quindi immaginare come una pastorale ecclesiale piena di fervore  creaturale, che affermava senza reticenze la verità cristiana come unica e sola, possa aver indotto le opposizioni anche più volgari di un regime maggioritariamente socialista o socialisteggiante (statalista) che afferma il dominio dello Stato sulla Persona. È ben conosciuto, per esempio, l’atteggiamento di Léonard che s’è messo a pregare, in raccoglimento, durante una contestazione scervellata delle Femen che si erano scatenate intorno a lui (in conferenza) all’Università di Bruxelles in un sorta di danza sacrilega a seni nudi. Ancora più grave, si può ricordare l’indifferenza in cui cadeva l’invito dell’arcivescovo ai fedeli delle parrocchie per partecipare attivamente alle sue iniziative comunitarie della città intera… Spesso i parrocchiani non ne erano nemmeno al corrente in quanto i vari curati, praticamente disubbidienti, non si curavano neppure di comunicare ai loro parrocchiani le volontà del loro grande pastore. Quanto agli altri vescovi del paese, non è nemmeno il caso di porsi la question per sapere se fossero molto obbedienti, ancor più che coordinati, al loro primate. Si sa, essi lo erano rimasti piuttosto al cardinale “pensionato” Danneels che continuava a seguire, anche pubblicamente, una linea pastorale opposta più che differente.

Alla messa di ringraziamento in cattedrale a Bruxelles, dopo le dovute dimissioni dei suoi 75 anni, il tempio era strapieno: più fedeli in piedi che seduti. Léonard era visibilmente emozionato e fiero di richiamare il suo bilancio molto ricco nell’omelia. Mia moglie ed io che apparteniamo alla Fraternità di Comunione e Liberazione (ma di 71 anni), siamo anche stati intervistati, separatamente, da due televisioni nazionali sulle motivazioni della nostra presenza alla cerimonia di commiato alla comune generale guida spirituale.
Ma nel nostro cuore eravamo tristi: nessun responsabile o amico della comunità belga di CL era presente alla cerimonia solenne. Ritornavamo da un soggiorno in Italia  e non sapevamo che i ciellini locali erano tutti alla festa di una giovane appena consacrata alla verginità e accolta tra i Memores Domini. Emblematico!
L’episodio non poteva essere più rappresentativo dell’accusa che papa Francesco aveva rivolto agli 80.000 e più di CL all’incontro in piazza San Pietro, appena di qualche mese prima (il 7 marzo): “Siete autoreferenziali!”, aveva sibilato. Così, dopo una trentina d’anni di presenza della comunità belga di CL, nessuno nel numeroso gruppo bruxellese era informato dell’Eucarestia di ringraziamento al vescovo supremo que durante cinque anni aveva illustrato incomparabilmente ciò che voleva dire essere cattolico. Più che una scusa un’aggravante! La dimensione amichevole della piccola festa aveva totalmente eclissato la grande manifestazione ecclesiale e sociale (non era la prima volta!) dell’ultimo ritrovo, anche liturgico, tra il popolo di Dio belga e il suo prestigioso pastore spirituale. Penoso.

“Se non c’è obbedienza all’autorità ecclesiatica, non c’è Chiesa”: cito a memoria una frase (frequente) del vescovo di Ferrara, Luigi Negri, scaturito da più di 50 anni di militanza anche molto dirigente in CL: uno dei più fedeli al pensiero e alla persona di don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, definito il più grande educatore al mondo del ventesimo secolo e in via di canonizzazione.
Soprattutto allorquando un’autorità si pone chiaramente (è il caso di Léonard), il popolo di Dio deve sottoporsi senza riserve e criticamente: per la sua felicità e la sua salvezza. Si tratta della vera forza disarmata, invincibile del semplice e umile fedele che santifica e conferisce senso alla sua esistenza: come l’aveva fatto San Francesco, patrono d’Europa, di fronte al suo papa Innocenzo III il quale non ha potuto far altro che cedere alla sua obbedienza totale riferita all’impeto dello Spirito Santo.
Nei nostri giorni la parola obbedienza è la più odiata. Invece si prona la “virtù” dell’individualismo ribelle. L’obbedienza cosciente e critica costituisce la legge ontologica dell’esistenza almeno da quando si è affermata nella superiorità indiscutibile, incomparabile e incommensurabile del monoteismo sul politeismo e l’agnosticismo paganeggiante. Che sia l’autorità che deve sempre porsi, oppure il fedele che deve sottoporsi, tutti sono destinati ad obbedire all’ordine divino e gerarchico che la verità e l’armonia dell’esistenza esigono. Mentre la parola d’ordine dell’autorità è la famosa  formula “non possumus”, vale a dire l’obbedienza ancora più rigorosa (se si può dire) alle leggi originarie di Dio e della Tradizione, il semplice fedele, obbedendogli col cuore e tutta la sua intelligenza, si rende pari nella santità al suo superiore. Fino a ricordargli, come fece San Franceso (con i suoi fraticelli) al suo papa non veramente molto predisposto (con il suo clero alquanto irreligioso in Vaticano) alla cultura della santità. L’autorità che si pone nella Verità e nella misericordia, anche fino al martirio e, essenzialmente indifferente alle azioni della sedicente opinione pubblica, appartiene all’aristocrazia dello Spirito nella storia. E, come lo diceva il filosofo tedesco anche non credente Nietzsche in un suo famoro aforisma, “è quando ci si lascia che i veri sentimenti di relazione si rivelano”: da cui l’importanza radicale delle cerimonie d’addio e dei funerali…

A rischio di scrivere il post più lungo, sono obbligato a parlare almeno brevemente dell’apparente diarchia nella linea (l’episodio di Bruxelles per CL lo rende necessario) delle autorità nella Chiesa. Questa è organizzata territorialmente sul pianeta per diocesi e per movimenti oppure ordini e fraternità. L’autorità di quest’ultimi concepita in modo autonomo – non separata e indipendente, come dappertutto nella civiltà cristiana delle responsabilità – , non può che  sottoporsi all’autorità delle diocesi, sotto il potere dei suoi vescovi e primati ecclesiastici.
Le differenti autorità, naturalmente, sono allineate secondo la linea verticale che discende implacabilmente dal Papa. È per questo che non c’è, à rigore, nella Chiesa diarchia ambigua, doppio potere potenzialmente antagonista. La qual cosa permette di superare ogni possibile conflitto tra le autorità verticalmente gerarchizzate. Ciò che lo permette è la parola “servizio”.
Tutte le strutture autonome, quindi intimamente e idealmente convergenti, sono comunque subordinate alla stessa autorità sorgente e si indirizzano alla sua Totalità nell’Unità: alfa e omega. È dunque il movimento laico, oppure l’ordine religioso, che appartengono alla Chiesa e ne sono al servizio, vale a dire al loro vescovo il quale, naturalmente, si porta garante – reciprocamente – della loro autonomia in perfetta intesa con i loro carismi teologici, temperamentali e funzionali.
Il servizio non può essere, in ultima analisi, che subordinato. Se possibile, il più intelligentemente coordinato.
Un movimento è dunque strumento di educazione alla Chiesa, alla sua imperitura finalità salvifica, nella misura della sua sottomissione costante e attiva al Papa e ai suoi vescovi territoriali, oppure incaricati di responsabilità centrale ma in servizio diocesano. Per esempio, il fatto che il presidente della CEI (Conferenza Episcopale Italiana) si è pronunciato esplicitamente a favore della Manifestazione nazionale a Roma del Comitato Difendiamo i nostri figli (per il 30 gennaio 2016) costituisce, a rigore, un obbligo per ogni movimento a parteciparci (se in perfetta unità ecclesiale!). Senza alcuna ambiguità o riserva, nella linea della grande Manifestazione del 20 giugno 2015. Quella che ha, in ogni caso provocato l’arresto delle approvazioni delle leggi scellerate prima delle vacanze estive e rimesso in discussione la loro concezione laicista e contro natura.

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