La più misconosciuta e grave causa della crisi economica: la denatalità

Che si provi ad immaginare una Europa con almeno duecento milioni di persone in più.
Da una cinquantina d’anni, infatti, almeno tanti sono i non nati a causa della denatalità media del nostro Vecchio continente: i tassi di natalità sono crollati al livello di 1 virgola qualche decimale. Allorquando, per la semplice e pura riproduzione della popolazione esistente, bisognerebbe almeno avere un tasso di 2,1 o più.
Gli esperti demografi, una volta tanto, sono perfettamente d’accordo su questo semplice calcolo matematico, comprensibile anche intuitivamente.

Con tanti nati in più, la crisi economica sarebbe ovviamente impensabile. Un intero continente sarebbe, senza neanche troppo spingere sull’acceleratore immaginativo, laboriosamente intento a costruire molti più frigoriferi, case e appartamenti, strade e macchine, fino a servizi e nuove imprese al servizio di un semplice e naturale sviluppo civile e culturale.
Perfino l’immigrazione extracomunitaria, malgrado la sua alta prolificità ma insufficiente rispetto ai bisogni, sarebbe numericamente molto inferiore o, comunque, assorbita dalla più grande civiltà sorgiva che ha sempre caratterizzato l’Europa.
Gli stessi americani e i popoli dell’ex-terzo mondo, che ci sono stati eredi e continuano ad esserlo, sono stralunati nel vedere l’inarrivabile livello di nichilismo anche laicista che ci ha paralizzati nelle ultime due generazioni.
La denatalità europea, che pare non abbia intenzione di arrestarsi, è stata adottata – se così si può paradossalmente dire – da tutto l’Occidente: ormai anche il Giappone e, per altre ragioni totalitarie e politicistiche in Cina (la famosa linea naturalmente fallimentare del figlio unico dal 1978).
La tragedia delle culle vuote, delle centinaia di milioni di culle vuote, sta dando i suoi sinistri frutti nella crisi economica (assolutamente non finanziaria!) che sta attanagliando i nostri paesi soprattutto occidentali.

Che i giovani siano per metà disoccupati e per molti altri la precarietà del loro lavoro sia una squallida evidenza, altro non è che la conseguenza di questo gigantesco crollo della domanda internazionale interna per mancanza di bocche da sfamare e di destini inesistenti da realizzare nella ricchezza materiale e spirituale.
A questa evidenza colossale (non vista!), abitualmente si risponde in modo scervellato e arrogantemente ignorante che siamo già in troppi sulla terra. Si ripete anche qui la scemenza cosmica con cui i maltusiani, già due secoli fa, dicevano che c’erano eccessive e esorbitanti popolazioni sul pianeta: ce n’erano circa un quinto dei sette miliardi e mezzo attuali!
Allorquando l’uomo con i suoi calcoletti e le sue spocchiose analisi sommarie s’intromette nello svolgimento della natura umana, nella sua ontologica naturalità, non possono che derivarne catastrofi.

«Ma, la vita è cara, carissima. Come si fa a fare figli se non si può poi mantenerli?», dicono in molti.
Mai la situazione economica delle popolazioni occidentali dette, non a caso, opulente è stata così florida.
Certo, se si danno per scontati e acquisiti i falsi e falsificanti livelli di consumo, di iperconsumismo degradatamente edonista del nostro tempo, non si potrà nemmeno «mantenere» il solo figlio unico attualmente in auge!
Ed è qui che si capisce che la crisi economica ha radici culturali e antropologiche. È la crisi dell’uomo che si scosta dalla tradizone spirituale per dichiararsi autosufficiente e autonomo. Ed è anche da qui che incomincia a dettare dalla sua pochezza, dalla sua miseria progettuale cieca, le regole generali della vita.
Così, ai debiti statalisti per godere di un livello di vita al di sopra dei propri mezzi, egli aggiunge la devastazione di regole di vita (di morte, abitualmente) proprie alla natalità: la denatalità.

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