Se lo devi spiegare per renderlo appena intelligibile, non è arte. L’arte è sempre intrinsecamente comprensibile senza parafrasi o commenti (soprattutto dell’autore). È la sua grandiosa e indiscutibile bellezza a parlare all’uomo senza le cartucce didascaliche o intellettualistiche dell’istigazione interpretativa di tipo dirigistico.

 

Le nove muse dell’arte sono mute: volontariamente e fieramente reticenti, esse non possono essere nemmeno allusive alla propria bellezza. Questa si avvale solo ed esclusivamente dell’evidenza, va da sé diretta e lampante. L’arte è intrisecamente e legittimamente superba oltre che autosufficiente: ma sistematicamente silenziosa su sé stessa. Chiedere infatti ad un artista il perché della sua arte è sacrilego. È un peccato contro il suo stesso finalismo ontologico, contro natura si potrebbe dire. L’autore può parlare naturalmente di tutto salvo, con pertinenza, della propria opera. La sua arte è nella sua piena ed esaustiva apparenza, oppure non è. Nulla può cercar di riscattarla o di promuoverla da parte dell’autore medesimo. È esemplificativo della barbarie culturale del nostro tempo interrogare, intervistare oppure citare solamente un artista sulla bellezza della propria scultura, della sua musica, della sua pittura… Purtroppo si fa spesso: ah, l’esca della fama mediatica indotta in tentazione dall’intervistatore ignorante o indolente che spessissimo pensa, non senza accidia, sia compito dell’artista presentare criticamente le sue opere! Questi casca nella consueta tagliola abdicando – come minimo – alla propria alquanto sacra e muta missione. Per improvvisarsi così, innaturalmente, come un qualsivoglia pedagogo autopromozionale.

 

È quanto è successo con il tradizionale e emblematico “Volantone di Natale”, ormai di gloriosa  bellezza espressiva (estetica e di contenuto), edito ogni anno da Comunione e Liberazione a Milano in tutte le principali lingue. Per la prima volta – si spera l’ultima! – l’illustrazione dell’affiche natalizia, con le due citazioni diventate classiche (una del Papa e l’altra di don Giussani, fondatore del famoso movimento ecclesiale da decenni a livello mondiale), è stato scelto uno dei disegni didattici di Kandisky, al tratto con inchiostro di china.
Non di un quadro molto abitualmente colorato, ma si tratta di un disegno composto di cinque diversi archetti tutti più o meno intersecantesi e un grosso punto: al prevedibile dubbio sul rapporto intelligibile con il Mistero della Natività, il giornalista Giuseppe Frangi si è sentito in dovere di pubblicare sul retro del Volantone edito anche sull’ultimo numero di Tracce (il mensile del movimento di CL), una consistente nota dove si apprende che dai sei semplicissimi  tratti dovrebbe scaturire “una vibrazione del cuore”!
Allo scopo di motivare la curiosa e molto oscura correlazione tra il disegnino schematico e il supposto ipersensibile (alquanto, in questo caso, veggente) cuore umano, egli nota, citando in sovrappiù l’autore, il pur grande Kandisky, il quale “…aveva scritto anche un saggio di teoria artistica intitolato ‘Punto, linea e superficie’. Questo disegno è la perfetta esemplificazione – continua il Frangi in piena e molto fantasiosa estrapolazione – del suo intento: rendere in modo chiaro [!?] e puro [sic!] una dinamica pienamente reale e umana. Questa dinamica è l’attrazione esercitata sulla linea (la nostra vita) da un un punto (l’altro, l’ospite inatteso)… E forse le curve che accompagnano la traiettoria potrebbero essere proprio lette come la rappresentazione di questa vibrazione…”.
I miei punti di interrogazione o di esclamazione, da semplice lettore sopra inseriti, sarebbero inevitabilmente e pertinentemente numerosi rispetto a queste sue affermazioni inutilmente o pleonasticamente riportate in giust’apposizione. No, Kandisky non è diventato legittimamente famoso per questa sua quasi teoria schematizzata di comunicazione da lui insegnata molto soggettivamente alla Bauhaus!
Tutti coloro che non si sono sentiti “vibrare il cuore” alla vista, invero per nulla folgorante, del suo schemino dimostrativo (?), non devono dubitare delle loro reazioni emotive e sentimentali. Si rassicurino, si tratta di didattica teoretica piuttosto legata al saggio e non all’arte (sebbene nella sua fase astratta, ma non solo!), dell’artista moscovita.

 

Le grandi cattedrali del mondo – per esempio – hanno illustrato e fissato nella memoria a generazioni intere, anche di analfabeti, con le loro architetture, affreschi, vetrate, quadri… (che sono giunti fino ai nostri giorni come capolavori assoluti), i giganteschi eventi ed episodi della storia umana sotto la luce meravigliosa dell’intervento trinitario per la salvezza di tutto il Creato. E questo senza l’aggiunta di alcuna spiegazione e autodidascalia pseudo-saccente e indottrinatoria: in modo semplicemente diretto e immancabilmente comprensibile.
Certo, ad opera d’arte vera, si può aggiungere l’esegesi e l’inquadramento storico del vero critico d’arte o del teologo. Sempre: la cultura che si trasforma in civiltà, indispensabilmente, lo esige!
Ma mai il commento può sostituirsi alla bisogna dell’opera…
Se poi si considera che l’Italia è stata classificata dall’Unesco come il paese che detiene più di un terzo del patrimonio artistico al mondo, l’utilizzo dello schemino funzionale, freddo e pedagogicamente nemmeno enunciativo, realizzato col curvilineo senza reintingere la penna, si ha già sotto gli occhi  l’assurdo dell’intrapresa anticulturale e antistorica perpetrata da CL nella centrale comunicazione natalizia di quest’anno.

 

Se poi si doveva scegliere un’annata per utilizzare questo artificio comunque arzigogolato e intellettualistico, di certo bisognava non farlo nel santo Natale 2015. È questa l’epoca in cui il laicismo miscredente (compreso l’autolaicismo codardo di una parte considerevole del clero!) attacca in modo inaudito la Tradizione ecclesiale dell’inconmensurabile civiltà cristiana: per esempio, l’éliminazione invocata dei presepi (e dei segni religiosi) dal cosiddetto spazio pubblico.
Invece, la parola d’ordine della Chiesa viva e militante è (e deve essere) quella, ancor più salvifica per il nostro mondo stravolto e apparentemente perduto, di moltiplicare i presepi e le arti figurative nonché popolari in piazza, oltreché tra casa familiare e sagrestia!
Altro che citare la molto circostanziale (siamo qui alla distanza di un secolo!) e ora controproducente frase  del Kandisky insegnante, non del pittore (!), fondata sul paradosso teorico, del resto molto soggettivo, singolare e acrobatico, ripreso almeno importunamente dal Frangi: “È come un pezzo di ghiaccio entro cui brucia una fiamma”…
Mentre la basilica principale della Chiesa cattolica, San Pietro a Roma, viene profanata dalle proiezioni di scimmiette e coccodrilli in omaggio all’inutile ideologia climatico-neopagana oggi in auge (malgrado anche la sua sempre più chiara antiscientificità), il Volantone natalizio di quest’anno avrebbe dovuto essere illustrato figurativamente, molto figurativamente, magari da un semplice presepe creato dalla magia infantile, come pure dei più anziani.                                                                                Oppure da una delle opere d’arte disponibili nella biblioteca oceanica della nostra memoria divina.

 

Allora perché questo ennesimo, diciamo così, “errore” di posizionamento e di comunicazione da parte di CL?
L’”autoreferenzialità” di cui parlava Papa Francesco all’incontro del 9 marzo scorso con gli almeno 80.000 ciellini radunati in piazza san Pietro, continua ad imperversare nel movimento divenuto sempre più spiritualista, intimista e pacchianamente autocelebrativo. E clamorosamente avulso (non dialogico) dal contesto contemporaneo. Cioè dall’incarnazione storica del suo pur sempre tradizionale e importante movimento ecclesiale.

 

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