La tendenza spiritualista verso l’intimismo, simmetrica al politicismo ateo: perché?

Federico Picchetto scrive articoli approfonditi e significativi su « Il Sussidiario », quotidiano online di riferimento cattolico e molto vicino a Comunione e Liberazione. Ha appena pubblicato il 29 gennaio un pezzo, La solitudine del Faraone, che può essere preso seriamente come termine di paragone nel mio discorso già avanzato intorno allo spiritualismo cristiano sul mio Blog www.francamente2.com.
La ricchezza culturale di questo articolo si impernia sulla sordità del piccolo faraone che si nasconde in ciascuno di noi e che non ascolta «ciò che si leva dalla vita di chi gli ci sta vicino». L’articolo spiega che «è facile dire all’altro che cosa dovrebbe fare, è difficile fargli veramente compagnia, accoglierlo, avvertire dentro di sé l’eco di un grido che assomiglia terribilmente al nostro». Così tutto l’argomentare di Picchetto è giustamente ricondotto alla sua scaturigine, alla sua radice estrema.
Ma, ci si può chiedere, perché mettere questa classica riconduzione in opposizione antagonista con l’impegno a rendere pubblica, e non solo intima «nell’Io del singolo» cristiano, la testimonianza evangelica? Giustamente don Picchetto (mi pare che sia prete) scrive con una sapiente e non banale ricerca spirituale, morale e comportamentale della persona. Giunge anche a dire che «coloro che oggi incitano ad affrontare le sfide della storia sono quelli che fuggono dalla realtà vera, quella che abita dentro di loro…».
Ma perché mettere la storia in opposizione con il singolo e la sua eterna conversione?Perché la «realtà vera» non sarebbe altro che quella che «abita dentro», quella intima di ogni uomo?
Perché «guardare invece di fare» o «ascoltare invece di decidere» altro non sarebbero che la sola possibilità di non «perdere sé stessi»?È forse questo l’insegnamento di Gesù incarnato il quale ha fondato tutta la sua vita, fino alla morte e alla resurrezione, nella storicità totale del suo essere ebreo del suo tempo?
Perché si dovrebbe essere sottomessi a questa figura retorica e teoretica che metterebbe all’angolo i cristiani che prendono a cuore le sfide della storia in una dimensione dissennatamente solo  intimista, assente e inattiva?
Picchetto continua, poi, ad affermare che «se nella vita qualcosa non torna, il problema non è la vita, bensì l’Io che lo affronta». Solo i nichilisti e i laicisti, anche interni alla Chiesa, lo negano o lo ignorano.
Ma perché escludere o delegare la propria partecipazione, in quanto cristiani, alle sfide della storia?

Domenica 25 gennaio, mia moglie ha partecipato a Parigi alla manifestazione dei 45.000 (non son potuto andarci), che si è svolta agli Invalides in difesa della Famiglia e dei « Valori » detti non negoziabili. Spendendo 23 euro, è salita sull’autobus affittato in partenza da Bruxelles (600 kilometri in una giornata) con più di una cinquantina di cattolici, che già alle otto di mattina erano alla santa messa comune. Durante il viaggio, hanno recitato due rosari e hanno parlato, in reciproca conoscenza naturalmente, delle loro esperienze nelle iniziative ecclesiali, spesso parrocchiali. Sul percorso della manifestazione anche silenziosa, che aveva cominciato con brevi discorsi di alcuni oratori che hanno motivato il suo senso, nella folla dei partecipanti si è potuto incontrare altri gruppi con bandiere e striscioni: mia moglie ha pure trovato un gruppo di bergamaschi che, ad ogni occasione importante, vengono a Parigi. È anche così che il movimento delle Sentinelle in piedi ha potuto propagarsi dalla Francia in Italia con una intensità e un successo anche superiore. E questo nelle «Cento città» del Belpaese in difesa della Famiglia naturale e della Vita (contro aborti, eutanasie varie compresi i bambini!, GPA, LGBT e altri orrori del nichilismo relativista contemporaneo). Molti hanno distribuito volantini appositamente preparati con spiegazioni umane e religiose dell’opposizione al laicismo statalista e totalitario in corso in tutta Europa… Alcune leggi assassine hanno così potuto essere bloccate, almeno finora, sia in Francia che in Italia (oltreché in tutto il nostro Vecchio Continente).
In che cosa questa folla impressionante (nel 2014 erano solo 25.000!) sarebbero dei fuggitivi dalla realtà? Come questi manifestanti in missione pubblica nella più importante metropoli del continente, che hanno dedicato per esempio, più di 17 ore della loro domenica alla preghiera e a testimoniare la loro fede, avrebbero alienato il loro spirito?

Non più tardi di un mese fa, mia moglie ed io siamo tornati da un pellegrinaggio in Israele e Palestina, molto richiesto dal vescovo Fouad, resposabile della Chiesa nel Medio Oriente, naturalmente preoccupato del loro isolamento a causa delle guerre, dell’avanzata dell’estremismo e dalla fuga dei cristiani terrorizzati perché perseguitati. Così siamo stati a Gerusalemme, Betlemme e Nazaret, sulle tracce di Cristo, con la presenza determinante del cardinale di Milano Angelo Scola e circa 300 pellegrini della diocesi ambrosiana. Abbiamo così anche meditato sul fatto che Gesù, ben conoscendo che la Sua decisione di rendersi per Pasqua al Tempio della capitale l’avrebbe certamente portato sulla Croce, non esitò ad affrontare il Suo destino evidentemente ben pubblico e storico. In quanto ebreo, non si era sottratto all’entrata in Gerusalemme optando, ad esempio, per un sempre opportuno giretto a nord, verso il lago di Tiberiade… Il suo obbligo religioso e sociale come testimone supremo della libertà umana e divina era in gioco!
Non si è mai potuto e non si potrà mai separare o dividere il corpo dallo spirito, come ha sempre insegnato anche don Giussani: certo, con «distanza critica», come aveva puntualizzato già negli anni ’70, ma mai e poi mai con «separazione acritica» (anche se molto colta). Tutta la vita e l’incarnazione cristocentrica della Trinità non hanno fatto che affermare questa realtà, questa madre di tutte le realtà, così negate con pietistico vilipendio dagli eterni spiritualisti riduttivisti.
Non è certamente a caso se il pur stimato Picchetto è già stato pubblicamente e severamente rimbrottato, qualche mese fa, dal vescovo di Ferrara, Luigi Negri, grande e fedele del futuro Beato don Giussani (l’avevo brevemente conosciuto nel ‘63-’64 quando era già responsabile della cultura di GS a Milano, ben prima della nascita di Comunione e Liberazione). Il nostro probabile sacerdote si era, in effetti, appena lanciato conformisticamente contro le Crociate in un altro articolo, provocando la sacra collera di uno dei più giussaniani fra i pastori del popolo di Dio. Il nostro prete ha però avuto il merito di chiedere scusa e di farsi perdonare immediatamente di fronte alle ammonizioni del vescovo tra i più anti-spiritualisti. Dopo il perdono il riscatto? Purtroppo, ancora in questo suo ultimo articolo, a difesa dell’intimismo sterile che ha caratterizzato almeno l’ultimo quarto di secolo cattolico non solo in Italia, s’è lasciato scappare un aggettivo emblematico, proprio della cultura politicista e laicista in posizione gravemente  sinistroide, che dopo il fallimento confessato del comunismo (da Berlino a Mosca nonché in Cina), non dovrebbe mai più essere pronunciato da un vero cattolico che ama la realtà: questa parola, se non coniata almeno utilizzata ancora oggi dalla sinistra politicista, è quella di «capitalista»!
Salvo le schiere di spiritualisti e dei nostalgici atei neocomunisti, tutti sanno che non esiste più nessuna dottrina, nemmeno solo teoretica, a negare il cosiddetto e mai esistito naturale «capitalismo» imprenditoriale, se non nominalisticamente (o quasi). Quante volte si deve dimostrare che il fattore di gran lunga più importante (soprattutto oggi!) nell’economia mondiale è quello umano e imprenditoriale? Ecco cosa produce simmetricamente lo spirtualismo.

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