La demagogia trionfalista dell’eterna sinistra: la maestria del direttore d’orchestra che «dirige» un CD musicale.

Ho guardato in diretta su Sky, dalle 3 del mattino, tutto il discorso sullo stato dell’Unione da parte di Obama. Un vero e proprio capolavoro, nel suo genere, di demagogia, di millantato credito e di tecnica consumata del potere politicista. Nel novembre scorso, il presidente americano ha nettamente perso le elezioni di medio termine consegnando così anche il Congresso ai repubblicani. Ma il suo discorso (lungo più di un’ora !) aveva l’aria astutamente retorica di un capo di Stato che aveva vinto tutto e che aveva il merito delle ultime sedicenti performance USA. Si tratta della stessa faccia tosta che aveva sbaragliato Hillary Clinton, un politico già molto esperto (moglie del presidente), alle primarie del suo partito democratico. È ben vero che l’economia americana ha bloccato la recessione che da oltre otto anni l’attanagliava e che la disoccupazione ha anche smesso di crescere, diminuendo anche significativamente. Peraltro era scritto nel cielo che, dopo tanti falsi annunci, la catastrofe si fermi…
Ma Obama non si è fatta sfuggire l’occasione di vantarsi attribuendosi indebitamente ogni pretesa virtù della sua lunga (?) strategia sapiente. E questo malgrado che i suoi diretti interlocutori in sala fossero, in gran maggiornaza, gli uomini politici che l’avevano umiliato alle ultime elezioni!
I giornalisti europei, sempre pronti a manifestarsi come partigiani accecati della sinistra – anche se americana, dunque già inimmaginabilmente liberale in rapporto al sinistrismo generalizzato del nostro Vecchio Continente – non si sono accorti che i frequenti applausi della platea avevano un significato ben diverso da quello dei nosti paesi: quelli erano piuttosto a supporto degli auguri per una ripresa solida delle fortune USA! La piccola cultura politicista dell’Europa statalista non capisce quasi nulla dello spirito patriota dei partiti americani. Sono capaci, gli americani, in assenza di competizioni elettorali, di riunirsi intorno alla loro bandiera… Anche a rischio di permettere a un presidente, ampiamente e recentemente battuto, di curarsi l’immagine di anatra zoppa.

Si potrebbe dire che questo atteggiamento autotrionfalista del presidente «liberal» nordamericano costituisca, ormai, una sorta di regola malauguratamente a livello universale. Che si noti, per esempio, un episodio quasi analogo in Francia per la recentissima manifestazione oceanica a sostegno della libertà di espressione e della libertà stessa, con una cinquantina di capi di Stato del mondo. È un altro presidente di sinistra, François Hollande, anche lui umiliato con la popolarità più bassa nella storia della Repubblica, e con elezioni perse a ripetizione, che ha approfittato di un momento di attualità popolare (ben imprevisto, del resto) per vantarsi astutamente sulla scena politica e per rifarsi una immagine migliore. Tanto peggio se l’occasione non era ancorata alle sue politiche di sinistra (in fallimento molto conclamato) ma ad una mobilitazione epocale in difesa della libertà della civiltà (peraltro introdotta nella storia dal cristianesimo !). È ben questa la vera ragione di una reazione civile paragonata a quella delle Twin Tower del 2001. Quanto a Charlie Hebdo, si trattava di un piccolo giornale sempre vicino al fallimento: mi ricordo dell’ultima chiusura, confessata una ventina di anni fa, dove il settimanale satirico era uscito con la sua ultima (provvisoria) copertina, ancora una volta anarchica e non di sinistra: «Andate a farvi inculare» stampato su tutta la pagina, indirizzata ai lettori (che non c’erano però più).

Ma da dove provengono queste tecniche di manipolazione dell’opinione pubblica e questa demagogia? Bisogna subito dire che esse sono sempre esistite nella polis, la città, nella storia dell’uomo. La Bibbia stessa o i grandi autori greci e romani (come per esempio, Tucidite o Tacito) ce le hanno raccontate abbondantemente. Il mondo contemporaneo, con la sua caratteristica di «società della comunicazione», ha anche accentuato questi fattori che degradano ciò che si è sempre chiamata la politica della conquista e della gestione del potere.
Per l’essenziale, la demagogia e la manipolazione eterna dell’opininione pubblica si fondano sull’ignoranza et la credulità acritica degli uomini semplici, le masse dette popolari. Ma ciò che è proprio della nostra modernità è, particolarmente, lo statalismo. Vale a dire l’ideologia che permette di sopravvalutare, ed in modo anche enorme, l’importanza dello Stato. In questo senso, le classi sociali e le oligrachie che gestiscono il potere, cioè i politici in primo luogo, sono anche «obbligati» a sovradimensionare (se non ci si oppone!) sempre più lo statalismo e le sue strutture fatalmente parassitari e pleonastici, per giustificare la loro potenza di fronte alla società realmente produttiva.
E questo sia dal punto di vista economico che culturale e spirituale. Insomma, gli uomini politici finiscono quasi sempre – quando non lo facessero dall’inizio – per gesticolare sapientemente facendo finta di essere grandi maestri che «dirigono», come quelli che fingono d’intrerpretare con una bacchetta fittiva la musica di un CD: prodotto e registrato dal popolo dei lavoratori veramente silenziosi e alacri nelle loro opere.

Bisogna in ogni caso segnalare l’abituale chiusura del discorso demagogico e pieno anche di annunci impossibili da realizzare (sorattutto da parte di sé stesso, Obama, e dalla sua politica fatalmente massimalista e contraddittoria!). Come sempre, e contrariamente alle abitudini del laicismo radicalmente assurdo europeo, prima degli applausi finali, il lungo speech si è comunque chiuso con i ringraziamenti e l’invocazione della benedizione di Dio!

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