Malgrado la lotta e le resistenze al modernismo per più di quarant’anni dei tre pontefici post-Concilio, la ricorrente e riassuntiva eresia nella Chiesa, con il pontificato di Papa Francesco, ha per ora quasi stravinto. Ma perché anche il dimissionario Papa tedesco e il Papa santo polacco si sono rivelati piuttosto debolini in materia sebbene il loro potere petrino assoluto? Anche l’altissimo prestigio del loro molto ammirato don Giussani è stato alquanto intaccato…

Col 2020, con cui auguro ai miei quattro lettori (followers) una permanente Epifania ecclesiale, entro nel terzo anno di frequenza nella Fraternità san Pio X, qui a Bruxelles dove vivo
La liturgia tridentina di detta Fraternità è prevalentemente in latino e ci è subito apparsa in famiglia in tutta la sua sacralità intatta. Molto prima, nel 1952, i miei genitori si sono accasati sul Lago di Varese, emigrati dalla città abruzzese di Lanciano, sede del primo miracolo eucaristico all’inizio dell’ottavo secolo. E si erano messi con me, primogenito ancora bambino (otto anni), per imparare i primi rudimenti del latino allo scopo di prepararmi a fare il chierichetto nella chiesa parrocchiale: per integrarci nella nostra nuova socialità all’estremo nord italiano. Tutta la famiglia doveva allora collaborare alla completa e complessa opera d’integrazione immigratoria!
Il rito del Concilio di Trento era ancora quello tradizionale anche se ambrosiano. Ho fatto anche la Cresima impartita dal cardinal Schuster, arcivescovo di Milano, a Calcinate del Pesce, il paesino sul lago. Ora, a Bruxelles nella mia fondata e personale famiglia in questi ultimi decenni belgi, siamo stati molto nauseati per la nota irreligiosità presente nelle Sante Messe ormai diventate, negli ultimi anni, sovente o abitualmente perfino paganeggianti. Soprattutto se si considera la nota eterodossia radicalizzata e molto generale nel nostro attuale piccolo regno nordico, di ulteriore seconda emigrazione adulta. Paese tipico europeo, giunto al livello secolarizzatissimo, iperprogressista ed anche spesso chiassoso per il suo gnosticismo scandaloso e diventato generale modello planetario! Il mio primo figlio appena sposato aveva incontrato questa Fraternità fatalmente molto controversa nei media ghiotti di polemismo da decenni. Fraternità composta da cosiddetti tradizionalisti (i cattolici, a rigore, non possono essere altro!). La profonda genialità teologica di Papa Ratzinger li aveva però da non molto reintegrati nella Chiesa cattolica (nel 2009). Dopo la scomunica latae sentetiae (automaticamente)a causa della nomina di quattro vescovi da parte del loro molto vecchio fondatore cardinale Lefebvre, nel 1988 sotto il Papato di san Giovanni Paolo II.
Già dal primo contatto, sia alla Messa che all’Adorazione settimanale o ai Vespri, ci eravamo così rigorosamente riconciliati con la religiosità liturgica da cui ci consideravamo prima mutilati.
Avevamo acquisita, mia moglie ed io, una concezione cultuale, dai primi anni ’60 a Milano, molto religiosamente rigorosa e tradizionale. Quando partecipavamo alle almeno due messe settimanali, dette «giessine e gielline», volute e interpretate dal genio ecclesiale dell’allora ancora abbastanza giovane don Giussani, provvidenziale creatore dei due movimenti : Gioventù studentesca e Giovani lavoratori fedeli alla pratica conunitaria e quotidiana della liturgia delle Ore : noi allora giovanissimi, avevamo incontrato il cuore pulsante e vivo del cristianesimo veramente cristologico.

La frequenza liturgica presso la Pio X mi ha molto familiarizzato con le pratiche e le posizioni non solo lefebvriane, ma anche con il raro generale movimento cattolico cristocentrico
L’appartenenza storica al movimento giussaniano (dal 1962), poi denominato dall’inizio anni ’70 Comunione e Liberazione, vale a dire all’esperienza ecclesiologica, forse la più radicale e rappresentativa della storia nella Chiesa, nella seconda metà del ventesimo secolo, ci aveva riumanizzati da già massificati nella gnosi che eravamo. Ma quell’esperienza che aveva strabiliato anche i tre papi post-conciliari (Montini, Vojtyla e Ratzinger), aveva abbastanza obnubilato in un certo autoreferenzialismo di fierezza d’appartenenza! Questo difetto tipicamente elitario e non solamente cattolico tradizionalista, ancora è rinvenibile ancora oggi nel movimento ciellino detto di don Giussani soprattutto dopo la sua morte nel 2005. Questo sacerdote, ormai storico pastore conduttore supremo, è ritenuto il cattolico educatore più religioso del ventesimo secolo, in via di canonizzazione. In un certo senso, avevo dimenticato anch’io che un movimento cattolico e giovanile è sempre destinato, fondamentalmente, ad inserire i suoi fedeli membri nella universale vita della Chiesa identitaria. Sotto pena di diventare inevitabilmente infantile o senile, oppure infantilmente senile. Alcuni dubbi su una certa tendenza ambiguamente eterodossa di questo movimento originariamente milanese, mi erano  parsi incipienti fin dagli anni 2007-08. Allorquando ci eravamo alquanto allontanati anche dalla militanza attiva dalla comunità CL di Bruxelles. Avevo allora constatato quello che consideravo pure il «tradimento spiritualista», superficializzante e modernista, della direzione del delfino spagnolo – scelto da don Giussani stesso! – monsignor Carron.
Questo sostanziale scadimento di religiosità ecclesiale incarnata stava diventando endemicamente molto evidente, nell’inquadramento di tutto il movimento ciellino. Nella dozzina di anni seguenti, si è accentuata sempre più una grossa emorragia continua, anche ai nostri giorni, di vecchi militanti storici in fuga, memori dell’ormai persa profonda religiosità ben costituita culturalmente nel mezzo secolo precedente. Anche se poco compensata dall’arrivo, molto limitato in entrata di nuove reclute appartenenti alle generazioni di giovani del terzo millennio. I quali hanno praticamente parecchio completato il cambio del personale sociologico e culturale dell’ormai irriconoscibile nuovo movimento: don Giussani era restato politicamente ben a destra (che altro ?), anche e perfino con Berlusconi!
Il movimento CL ha assunto rapidamente una configurazione totalmente diversa e religiosamente quasi opposta a quella che aveva segnato il suo clamoroso impatto culturale e politico di successo nella testimonianza attiva e pubblica nel novecento, anche sul piano internazionale.
Fino all’allineamento subordinato alle posizioni sinistrorse declinanti e « progressiste », persino eterodosse di Papa Francesco. Come è noto in modo intermittente, ma sostanzialmente permanente, nell’ultimo suo relativismo pontificale dottrinario molto casuista.

Già prima di Papa Ratzinger, il modernismo più gnostico si stava impadronendo subdolamente della cattolicità fino a provocare pure le sorprendenti dimissioni del suo pontefice tutt’ora attivamente bene in vita. Anche «pastoralmente», dopo sette anni dalla sua grande rinuncia
Malgrado l’altissimo prestigio mondiale, dovuto all’immenso rigore teologico e filosofico dello stesso Ratzinger, la sua posizione storicamente cruciale e irrituale si trova sempre più sotto attacco.
Questa sostiene che il Concilio Vaticano II si sia svolto «nella continuità dogmatica ed ecclesiale» e non – come sostengono accuratamente molti pertinenti settori laici e del clero – «in una di fatto tragica rottura col Magistero storico ed ecclesiale». A dire il vero, si trova anche un’altra sua piccola  dichiarazione diversa e opposta sullo stesso Concilio rispetto al suo primo librone conciliare…
In realtà, tutta la storiografia sull’ultima gigantesca assise romana ha dimostrato sempre più che il cosiddetto «aggiornamento pastorale e non dogmatico », voluto da Papa san Giovanni XXIII all’inizio degli anni ’60, è diventato rapidamente dai contenuti programmatici di una più che incipiente apostasia spiritualista di tutta la Chiesa. Subordinata alla mentalità gnostica e massone del mondo.
In effetti, già l’ipoteca dell’accordo vergognoso di Metz, con protagonista il cardinale francese Tisserand anche russofono e incaricato di assicurare al Soviet supremo dell’Unione sovietica di allora che, durante l’imminente Concilio, non si sarebbe nemmeno accennato al comunismo. Né lo si sarebbe posto, in quanto largamente previsto, come problema nichilista centrale del ventesimo secolo: non a caso il pontefice immediatamente precedente, Pio XII, aveva scomunicato il comunismo!
E questo questo accordo praticamente segreto era in cambio del… permesso di far espatriare temporaneamente i rappresentanti ortodossi per la loro semplice partecipazione al Vaticano II!
Il quale si svolse così sotto il segno predominante di un inaccettabile e molto eretico, oltre che già storicamente condannato modernismo di fatto, come al solito di norma silenzioso e reticente.
In realtà, l’altrettanta letale ideologia con cotanti duecento milioni di morti sulla coscienza del nazi-fascismo, dopo la sua sconfitta catastrofica della seconda guerra mondiale, era sostanzialmente sparita, salvo qualche frangia sparuta e strutturalmente marginale nella generale insignificanza democratica europea. Il silenzio sul materialismo marxista e comunista, invece molto efficace e al massimo grado, era già baldanzosamente loquace non solo nei molti cardinali dal cipiglio aggressivo. Come ad esempio quello del primate cardinale belga Suenens e degli « esperti » alla moda gnostica, simile al già molto eretico del neo-gesuita tedesco Karl Rahner!
Ora questa mio commento di semplificazione apparentemente grossolano sullo svolgimento e sull’esito del Concilio dai prodromi già disastrosi, non era nemmeno concepibile nel clima culturale  compromesso della grandiosa assise dalle immancabili e celebrate «magnifiche sorti e progressive», all’epoca della metà degli anni ’60, poteva essere allora chiaramente assunto, e nemmeno troppo avanzato, solo da rarissimi profeti. Quelli dalla religiosità autentica e molto coraggiosa come il cardinal Lefebvre, fondatore nel 1970, dell’ancora oggi attualissima Fraternità san Pio X. Sembrava già lontana la prudenza di Papa Pio XII che aveva rifiutato di indire detto Cocilio nemmeno una  decina di anni prima.

Un eccezionale e coltissimo spirito come don Giussani rimase però abbastanza estraneo al movimento modernista in espansione, tutto preso allo sviluppo religioso del suo movimento
La religiosità radicale del prete brianzolo era proveniente dall’humus rigorosamente cattolico, tipicamente popolare e lombardo della sua modesta famiglia a Desio; e grazie alla sua formazione eccelsa nel seminario forse più rigoroso e valente al mondo degli anni ’40 (quello di Venegono situato tra Milano e Varese, ben prima che cadesse nelle mani del modernista, progressista e spiritualista cardinal arcivescovo Martini). Questa religiosità tenne il nostro compianto prete Giussani ambrosiano abbastanza intento e di fatto distaccato dalle vicende conciliari (quand’anche non violentemente osteggiato e stravolto nel suo movimento sostanzialmente di giovani)… Il suo, diciamo così, «naturale» senso religioso innato e radicato per grazia di Dio, educazione familiare, sociale e culturale era talmente eccezionale da conservarlo come una sorta di «anacoreta socialmente attivissimo» nel panorama formativo della educazione. Delle generazioni soprattutto giovanili dagli anni ’50. Perdipiù, all’inizio si trattava di giovani di una metropoli come la Milano europeissima e in pieno sviluppo moderno sul piano anche scientifico e naturalmente tecnologico. La qualcosa sarà poi pagata a caro prezzo nel ’68-‘69 dove il suo già gigantesco movimento – o almeno quello poi ridotto ai suoi minimi resti sessantottini – dovette essere totalmente rifondato e ridenominato in Comunione e Liberazione su basi molto più culturalizzate, più dottrinarie e meno spontaneiste o movimentiste : dunque più religiose.
Non parlo qui della vera e propria persecuzione ecclesiale arcaica per cui, nel 1965, Giussani fu anche decapitato dal suo movimento laico. E speditamente spedito a « continuare i suoi studi sul protestantesimo negli Usa » dai responsabili della sua diocesi milanese (con alla testa il falso tradizionalista arcivescovo a Milano Colombo). Nel frattempo, apparve chiaro in tutto il mondo cattolico il pericolo corso ed in corso con la deriva già modernisteggiante del  post-concilio promosso da Papa Roncalli: da cui «la rottura pratica e teologica» in questione e, sempre più, d’attualità ancora oggi. Il Papa bergamasco, ora proclamato santo e noto come il «Papa buono», nel frattempo, era stato sostituito, all’inizio dell’evento dopo la sua morte, dal molto progressivamente pentito modernista Papa Paolo VI. Il quale giunse a pubblicare nel 1968 la storica e rigorosissima enciclica cristiana Humanae vitae, mai di fatto accettata veramente, sia dalla quasi totalità dei cattolici laici che dalla maggioranza del clero già alquanto in odore di modernismo galoppante. In realtà è con questa enciclica che si spacca clamorosamente la cattolicità, anche esplicitamente in piena crisi, tra i cosiddetti «tradizionalisti» fedeli al Deposto della Fede e i sempre più maggioritari «progressisti» piuttosto e sempre tragicamente gnostici. Tra questi possiamo persino annoverare, solo però   inizialmente, lo stesso Papa Paolo VI che ricevette, anche per ringraziarlo personalmente (!), il gesuita già molto eterodosso Rahner a «copertura» della generale deriva di fatto ateista, per il suo famigerato e creduto «profondo contributo teologico». Il quale aveva influenzato  «teleologicamente», forse in modo irrimediabile e per molto tempo, già tutto il cattolicesimo.
Anche l’allora cardinale Ratzinger che, dopo aver anche collaborato, anche lui, come esperto del Concilio con lo stesso connazionale fedifrago Rahner, si distaccò nettamente dalla in seguito incriminata linea eterodossa, separandosene personalmente e dottrinalmente in modo molto critico. Tanto era il grado di diffusione della mentalità già gnostica e del suo modernismo non solo rahneriano nella Chiesa cattolica!

Convinto che il Vaticano II fosse in continuità col Magistero della Chiesa, ho dovuto ricredermi,  come ho dovuto ammettere che il metodo dell’«esperienza giussaniana» è quasi infondato
Prima della Scuola di comunità c’era il Raggio a cui la seconda versione aveva apportato il concetto correttivo di «scuola» anche nella sua definizione, cioè di insegnamento con tanto di docente e discenti, quindi di teologica ignoranza e insegnamento dogmatico (sulla scia della teologia Scolastica!)… L’autocoscienza espressa dalla narrazione dell’«esperienza» diretta non era di per sé per nulla una garanzia di verità dottrinale. La quale implica che la semplice descrizione esperienziale ed esistenziale sia fondata almeno sulla percezione ontologica della Verità nella realtà : per cattiva consuetudine e, in sovrappiù, per distorsione tipica gnostica, la comunicazione della Scuola di comunità di CL continua a realizzarsi  generalmente e abitualmente ancora oggi, senza probanti e solidi riferimenti dottrinali della Verità divina, teologica e teleologica dell’agire proprio all‘Essere. Così, la comunicazione di un movimento e in un movimento, perdipiù anche fondamentalmente e continuamente educativo, finisce per caricarsi (salvo rare eccezioni) di tutte le componenti massificate della reale ed invadente cultura psicologista, individualista e fatalmente nichilista del mondo. Solo una religiosità profonda e ben già metabolizzata permette di scambiarsi «esperienze» autenticamente razionali e cristiane. È quanto succedeva quasi abitualmente sotto la conduzione anche dei «raggi» tenuti e «sintetizzati» dal nostro prete cattolico come il più religioso del ventesimo secolo! Morto nel 2005 il quale, anche la Scuola di comunità diventa così molto soggettivista, spiritualista e relativista sotto la spinta incessante di un progressivo nichilismo sempre più in voga nel mondo. Quindi in modo ignaro su ogni persona! Non si può, in generale concepire l’idea di un movimento soprattutto educativo e laico, senza partire da una solida base di riferimento culturale di tipo dottrinario e dogmatico. Don Giussani, all’occasione e periodicamente, giungeva a separarsi anche collericamente dalle derive eterodosse, dal basso della percezione personalistica, d’interventi non calibrati alla rigorosità del giudizio ontologico ed evangelico: «Della vostra compagnia – diceva anche perentoriamente e non troppo raramente – me ne infischio!». E per compagnia intendeva lo «stare insieme complice» nella falsificazione della gnosi, tipica della socialità irreligiosa e pure massificata. Nell’errore ideologico mondano per antonomasia. Quando non si è veramente religiosi, l’esperienza e la sua comunicazione non possono essere oggi che gnostiche.
Era questa pure l’obiezione che l’arcivescovo di Milano Montini prima, e come Papa Paolo VI nella stessa persona poi, ripeteva ogni qualvolta incontrava praticamente il grande educatore ambrosiano riferendosi alla natura del suo movimento di cui immancabilmente ripeteva razionalmente e in modo pure pragmatico: «Non capisco bene quello che fate e su quali basi teoretiche, ma continua pure nel tuo cammino perché ne vedo i frutti». La chiave della questione era non già il metodo cognitivo ed espressivo alquanto teologicamente infondato, nella sua applicazione. Anzi, esso  rischiava molto di diventare una scaturigine del clima culturale dell’epoca piuttosto eterodosso. Giganteggiava piuttosto quello carismatico ed esemplificativo della grandissima personalità umile (giustamente non modesta !) e autenticamente religiosa del prete educatore ambrosiano che affermava e richiamava continuamente la globalità universale salvifica della Chiesa. L’opinionismo individualista e dissennatamente demente, con il suo inevitabile ribellismo di fatto e non dichiarato al Creatore, si impadroniva fatalmente, col passare del tempo, in larghissima parte anche del suo movimento ben cattolico. Attualmente Comunione e Liberazione non fa che reiterare fino all’inverosimile – in una contradittoria e quasi impossibile unità parecchio papalina (e non petrina) col Papa Francesco – le « esperienze cristiane singolari e personalistiche » in un mondo attaccato radicalmente sul piano  culturale, globalmente e politicamente ! In un modo come non mai dalla gnosi.

Il modernismo propugnato dall’attuale pontificato è per questo eretico in quanto « dal basso » e intermittente. Basta la sua continua ricorrenza e commistione per renderlo sempre erroneo
Anche Papa san Giovanni Paolo II non fu prorpio indenne, come tipico figlio del suo tempo oggettivamente e soggettivamente, da per lui comunque lontane influenze quasi moderniste. Soprattutto nella persistenza della dimenticanza nella condanna comminata alla Fraternità san Pio X. Solamente l’acquisita evidenza di Papa Ratzinger seppe provvidenzialmente discernere sul caso. Come Paolo VI, dopo essere stato affascinato dalle seduzioni intellettualiste e narcisiste dell’inizialmente vago modernismo ranheriano, le sue preoccupazioni e reali predominanti erano quelle dell’oppressione non solo ideologica sovietica sul pianeta e in special modo, naturalmente, in Polonia. Egli stravedeva fastidiosamente, anche se giustamente, per ogni forma di «ribellione» alla sacra sottomissione critica all’Autorità per lui petrina e papale. Così anche Papa Vojtyla, completamente polarizzato dalla sua grandiosa missione a combattere e debellare l’occidentale e negletta eresia comunista, non solo nella Chiesa cattolica, finì spesso per sottovalutare il relativismo modernista e forse sopravvalutò la sua personale reazione sacrosanta, contro la già molto   ideologicamente e falsificata posizione lefebvriana. Non è noto se questo Papa « santo subito » conoscesse veramente lo stenografato, poi reso molto noto, dell’incontro tra Paolo VI e il cardinal alla testa della Pio X. Ma leggendolo ora appare chiaramente una forzatura estremista di dialettismo fatalmente litigioso. Da parte soprattutto di Papa Montini, ormai divenuto solitario e alla fine abbandonato in maniera per lui amareggiata dalla maggior parte del suo clero visibile o contrario irreligiosamente alla sua sublime enciclica Humanae vitae. Nei confronti dei pure formalmente sottomessi in modo teologico, e molto ragionevoli «tradizionalisti» comunque ortodossi nella tradizione.
Eppoi, il grandissimo papa polacco dovette fra l’altro combattere strenuamente per la condanna esplicita dell’eresia della cosiddetta «teologia della liberazione», nella sua versione sud-americana. Che ancora è molto nefasta ai nostri giorni, in quanto sostenuta politisticamente dai bergogliani. In effetti, questa eresia si presenta oggi sotto una duplice maschera: quella del «modernismo come sintesi di tutte le eterodossie della storia» (secondo la famosa definizione dell’enciclica Pascendi di san Pio X, nel 1907); e quella dell’intermittenza e continuamente reiterata propria di Papa Francesco, con posizioni anche a volte rigorose cattolico-tradizionaliste. Ma molti teologi dicono fondatamente che è giust’appunto siffatta « calcolata » commistione ad indicarne il tragico e permanente errore globale finalmente relativista e globalmente eretico.
Ci è di conforto la certezza che lo Spirito Santo veglia, comunque e sempre, a ché l’errore mai prevarrà sulla Salvezza della Chiesa.

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