Perché Papa Francesco, senza esitazioni e dopo sei anni, insiste con la sua linea ecclesiale intermittente, ambigua e pure eterodossa, malgrado le innumerevoli critiche tra le più devastanti della storia? La sua ostinazione è degna della “missione” ricevuta dal gruppo San Gallo come mandato di protestantizzare la Chiesa cattolica

 Il gruppo “svizzero” è giunto infine a fare eleggere al pontificato il cardinale argentino, dopo aver subìto la sconfitta da parte di Benedetto XVI, sempre contro la nuova politica relativista e casuista
Uno dei protagonisti partigiani della crisi attuale della Chiesa, il cardinale Godfried Danneels, è appena morto il 14 marzo 2019 qui nel suo Paese, il Belgio. Famoso per il suo “progressismo”, forzatamente alquanto silenzioso, alla testa di un vero e proprio movimento di opposizione ben eretico a causa della sua irreligiostà casuista nella Chiesa postconciliare, Danneels è stato il fiero erede del cardinale già molto modernista e leader, il bruxellese Suenens. Questi si era distinto prendendo la guida dell’antagonismo, più protestante che ribelle, all’enciclica Humanae vitae di Papa san Paolo VI, già dalla sua promulgazione nel 1968.
A sua volta, Papa Francesco, subito dopo la sua elezione al pontificato nel 2013, ha superato con una coerenza perfetta, quasi tutte le tappe del percorso relativista. La cosa era stata prevista e preordinata dal gruppo detto di San Gallo interno alla teologia di Karl Rahner, anche neo-gesuitica, di tendenza luterana. Come ormai era abituale da parte di siffatta Compagnia di Gesù – finalizzata attualemente ad installare la riforma della sedicente “Nuova Chiesa”. Con andamento fieramente protestante (senza dirlo o proclamarlo), sostenuta in prima linea da molti prelati e da cardinali tedeschi detti “progressisti”: Kasper ad Amburgo e Marx a Monaco di Baviera. Ma molto centrali nella Chiesa diventata, con Papa Francesco, ambiguamente “cattolica”.
Nel frattempo il cardinal Danneels, diventato sempre più potente come primate del suo Belgio per più di una trentina d’anni, poi in “pensione” molto attiva internazionalmente, si era guadagnato l’epiteto peggiorativo (e troppo immeritato) ben conosciuto di “Mafia”. Aveva pure corroborato, in ogni caso, questa nomea non partecipando, per esempio, neanche al funerale sempre sacro per il quale tutto – veramente tutto! – si ferma religiosamente. In particolare, per quello dell’altro cardinale belga, ma wallone Julien Reis. Funerale che si svolgeva mentre il prelato fiammingo era in Vaticano per perfezionare e, soprattutto, assicurare l’elezione al pontificato del loro membro latino-americano, Bergoglio. A suo avviso, sarebbe stato troppo rischiosa l’assenza, anche di un solo giorno, per i suoi “importanti” colloqui preparativi romani, a fronte dell’eventualità di fallire l’elezione papale, ancora una volta per il suo gruppo riunito correntemente nel cantone della Svizzera.

La missione di protestantizzare la Chiesa alla base della coalizione molto eretica dei teologi modernisti apertamente rahneriani oltre a quelli della “teologia della liberazione” molto latina
In sovrappiù di siffatto sgarbo blasfemo a questa inaggirabile e sacra ultima celebrazione per il suo alter ego francofono, bisogna considerare che il grande movimento modernista d’opposizione da mezzo secolo al quale questo cardinale fiammingo s’era messo alla testa, era finalmente restato apparentemente in bemolle. Malgrado la sua grande diffusione reale, non troppo visibile e indistinta sul piano nominalistico culturale e ufficialmente teologico, come pure politico (a causa della secolarizzazione sempre più avanzata del mondo), la dimensione modernista e massone del movimento rischiava forse di declinare radicalmente. A causa, soprattutto della sapienza miracolosamente rigorosa almeno degli ultimi molto lunghi e geniali pontificati. E questo, grazie all’azione provvidenziale e potente, rispetto alla Tradizione degli ultimi tre papi postconciliari.
A questo proposito, la domanda indicata nel titolo di questo post è stata già indirizzata al monsignore italiano Antonio Livi, in una intervista pubblicata negli ultimi giorni. Questo teologo le ha prontamente risposto: “Ma è évidente. Papa Francesco deve compiere la sua missione. Che è quella di protestantizzare, secondo le proprie tendenze già manifestate in quanto cardinale a Buenos Aires, tutta la Chiesa cattolica: in opposizione a quella soprattutto dei suoi tre papi predecessori. Bergoglio era stato eletto per questo.
Così, malgrado le celebrazioni funerarie che hanno registrato la partecipazione massiccia perfino dei colleghi accademici, di una parte molto importante della Chiesa belga e del movimento ecclesiale Comunione e Liberazione, il prelato, rimasto il solo cardinale del Plat Pays dopo la morte di Ries, non ha partecipato alle sue ultime ed estreme esequie, compesi tutti i vescovi fiamminghi!
Bisogna sottolineare qui il valore che il vecchio e prestigioso antropologo Ries (la cui berretta cardinalizia gli era stata consegnata da Papa Ratzinger l’anno prima della sua partenza definitva verso l’Éterno, quando aveva più di 90 anni). Egli era diventato anche amico personale di don Giussani, per tredici anni al Meeting di Rimini. E la casa editrice ciellina Jaka Book aveva assicurato tutte le sue pubblicazioni religiose e scientifiche. Inoltre, va pure ancora messo in evidenza che la sua famosa definizione culturale dell’Homo religiosus (dichiarata precedente alle altre ben conosciute da tutta la disciplina e non solo) aveva fatto l’unanimità tra gli accademici. Anche di Levi Strauss, forse il più famoso, diventato amico ammirativo dell’umile prete studioso, professore all’università di Louvain e ricercatore per una vita!
Sebbene tutto questo ed altro fossero anche molto noti, non è mai stato dubbio – soprattutto per Papa Francesco – che la sua missione principale e prioritaria fosse stata altro da quella ricevuta dal gruppo San Gallo: di rendere piuttosto protestante tutta la Chiesa cattolica nel nuovo disegno falsamente ecumenico e onusiano della Nuova Chiesa.

Non si comprende il tradimento dottrinale bergogliano se non si conosce l’irreligiosa “teologia”, molto sorgiva, di Karl Rahner e presa a riferimento in siffatta missione mai altrimenti richiesta
Tutte le innumerevoli critiche a Papa Francesco, rischiano di diventare ereticamente disubbidienti alla sua indiscutibile Autorità, nel semplice e banale individualismo ribelle. Esse diventano incomprensibili, se non si sapesse della loro teologia nascente contro cui prendono piede rigorosamente in pratica tutti gli attacchi critici, spesso quasi settimanali, dell’immensa tradizione del Magistero della Chiesa cattolica. Di cui un vero e proprio movimento contrario si erge da anni a difesa della dottrina contro cui il Papa fedifrago si esprime e agisce. L’ortodossia di questa vecchissima tradizione è garantita oggi soprattutto dalla DSC (Dottrina Sociale della Chiesa) visto che la sedicente riforma della “Nuova Chiesa” appartiene alla teologia fondamentalmente di tipo “pastorale” e gesuitico, quindi anche politico. Minimizzando, come al solito, molto espressamente il suo “aspetto” dottrinale che dovrebbe invece sempre prevalere, nella garanzia del Deposito della Fede. Il quale lo dovrebbe fondare solidamente per proteggerlo dal suo inevitabile soggettivismo modernista (con fatale relativismo). È successo – come si sa – che tutto il movimento postconciliare aveva (volontariamente) dimenticato la dottrina sociale che, soprattutto, san Giovanni Paolo II aveva messo all’onore, pubblicando, tra l’altro, il famoso Compendium, nel 2005 anno della sua morte, in molte le lingue. E riscrivendo pure la totalità del Catechismo, integrandoci i principi della fede relativi alla dottrina sociale, soprattutto e particolarmente dell’ultimo secolo. A partire da Papa Leone XIII: il Pontefice particolarmente passato alla storia per aver fondato – diciamo – questa disciplina nel contesto della modernità. Essa era però sempre stata centrale, peraltro senza farlo troppo apparire, in tutta la cultura cattolica che non ne sottolineava la messa in evidenza, naturalmente per l’inattualità delle relative epoche.
Per ben compiere conseguentemente il suo mandato, Papa Francesco ha anche significativamente rimosso il 1° luglio 2017 il cardinal Gehrard Müller dalla testa della Congregazione per la Dottrina della Fede. Cioè l’altro dicastèro (con quello anche della Liturgia) a fondamento della fedeltà de la Fede cattolica. Naturalmente, la necessità di eliminare questo grande prelato fedele al rigore pure ratzingeriano, come responsabile di questa sentinella teologale centralizzata, era indispensabile per la facile realizzazione della sua nuova missione, mistificata e apparentemente sgangherata!
In tal modo, il campo era stato per il Papa completamente reso libero per ogni azione dei suoi numerosissimi partigiani modernisti. Questi erano stati installati espressamente, e ancora continuano ad esserlo, al potere del Vaticano dal Pontefice stesso. Un futuro pluridecennale protestantizzato è stato così ipotecato in tutta la Chiesa. È infatti successo, con la dimenticanza della DSC sopra detta e la liberazione, sulla strada del trasformismo, del macigno Müller (il quale continua a criticare ma unicamente in modo personale, in quanto semplice cardinale), che la nuova teologia eterodossa papale si è abbastanza silenziosamente installata. Questa pratica della pseudo-riforma non era mai stata veramente reclamata esplicitamente, ma solo portata avanti di fatto e disordinatamente nella prassi. Fino alla realizzazione cumulativa nelle innumerevoli indicazioni papali, stigmatizzate non petrine ed eterodosse, avanzate ogni settimana et definite dai cattolici critici solamente come “pastoralizie”. E dottrinarie per induzione, oltreché generalmente giudicate come… stravaganti errori superficiali e veniali: non organici e strategici!

Cosa avviene dunque dei critici di siffatto “pastoralismo” eterodosso, papale e non petrino, di Papa Francesco da parte degli attuali cristiani rivoltati al modernismo di questo clero detto cattolico?
La condizione di relativa ignoranza, generata passivamente et attivamente da questo pontificato relativista e, prima, dal suo movimento di sostegno fin dal post-Concilio in modo abbastanza sotterraneo, è tale che gli attuali veri cattolici critici, sebbene residuali, non sono mai stati così radicalmente divisi e politicamente marginali in tutta Europa (e non solo). Si tratta della constatazione desolante, che si aggiunge a quella relativa alla diminuzione apparentemente mortale dei cristiani che svuotano le chiese almeno tanto quanto le loro culle di famiglia. La crisi antropologica si salda qui con quella religiosa (la stessa!) e quella economica in modo inseparabile.
Le sue cause non sono facilmente distinguibili dai conseguenti effetti. Si constata così una incapacità di analisi globale e totalizzante che costituiva la sapienza e la saggezza – il sale della Terra! – dei cristiani di una volta. Ma il sale, la cultura cattolica eterna, non è diventata scipita. Ciò che non ha più sapore è il processo di secolarizzazione nichilista post-cristiano provocato anche dall’allontanamento volontario, sul piano sociale, almeno dal Magistero tradizionale della DSC.
La Dottrina Sociale della Chiesa è diventata, come ho detto, straniera alle nozioni correnti degli stessi fedeli cattolici, anche tra i praticanti assidui ai Sacramenti. Essa afferma che non bisogna nemmeno andare a votare nei casi in cui un partito di ispirazione rigorosamente cristiana non sia presente nella competizione elettorale: si capisce così l’ondispensabilità urgente del voto anche unicamente identitario proprio della DSC!
Invece i cattolici europei coltivano, ai nostri giorni, la loro insignificanza politica nell’assurda diaspora, sempre subordinata e servile, da più di una trentina d’anni, ai partiti piccolo-borghesi: più o meno laicisti e anticristiani, di cui i mercati elettorali abbondano. E questo sia a sinistra, che al centro e, beninteso, a destra dello scacchiere politico. Da cui la necessità estrema, prioritaria e inaggirabile di ristabilire la rigorosa identità cristiana di riferimento. Lo scopo cosiddetto utilitaristico, a causa delle cose o cosette religose realizzate in siffatto modo, sono incommensurabili con la testimonianza e il grandioso Piano di Dio e dei cristiani, anche solo sul piano critico!

La strategia tipicamente detta del glocalismo, riassunta dalla fusione di due parole “globaleelocale”, riconciliante la molto falsa opposizione che devasta l’attuale politica mondiale
È molto indicativo che il dicastero della dottrina sociale situato a Trieste, sotto la presidenza dell’immenso teologo e pastore arcivescovo, Giampaolo Crepaldi (e sotto la direzione del grandissimo polemista cattolico laico, Stefano Fontana) descriva la situazione molto grave del cattolicesimo internazionale. Soprattutto in Italia dove, alla sua tradizionale posizione emblematica e di riferimento mondiale, un partito rigorosamente laico e scrupolosamente “cattolico”, rispettoso pertinentemente dei precetti di detto dicastero, è stato fondato da appena tre anni.
Questo partito denominato Popolo della Famiglia, è infelicemente ignorato o quasi dal clero centrale e dai cattolici anche tra i più critici: maggioritariamente dimentichi (pure loro) del proprio Magistero specifico ufficiale della DSC. Così tutti questi cattolici impegnati si ritengono praticamente “costretti” a disobbedire alla direttive pastorali di Papa Francesco. Il quale aveva dato l’indicazione, all’inizio del suo pontificato – in un momento delle sue lucidità tradizionali – che era compito della laicicità decidere la propria condotta politica. Ma, siccome ha poi, come al solito, anche dato l’indicazione contraria, tutti questi cattolici finiscono per non obbedire nemmeno alle prescrizioni dei loro vescovi. I quali si sono generalmente schierati sulle posizioni del potere burocratico europeo, statalista e mondialista. E naturalmente anti-populista (sinonimo non proprio riconosciuto, ai nostri giorni, di “anti-popolare”). Dunque, il caos ecclesiale…
L’idea che ci possa essere una linea cattolica naturalmente glocalista, vale a dire globale et necessariamente (inaggirabilmente!) sempre locale allo stesso tempo, stranamente sfugge ormai alla sedicente strategia di siffatta Ecclesia centrale, ridotta peccaminosamente a chi ha perso il suo patrimonio sapienzale della tradizione che gli è propria. E che è alla base di questa idea di glocalismo inventata (solo però sul piano marketing) dai californiani negli anni ’90: grazie alla derivazione globale e rigorosamente cattolica del concetto stesso, pure ontologico, della sua inevitabile ed evangelica universalità.
L’”Opzione Benedetto” – di cui ho parlato in post precedenti e su cui ritornerò – sembra riassumere sul piano della religiosità questa linea sia ecclesiale che politica, per un glocalismo veramente coerente e profonfamente cattolico. Preghiamo!

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