Lo statalismo non solo persegue il suo presunto dominio culturale e politico sulla presenza di Dio nella storia, ma esige anche una pletora di statali fatalmente clientelisti superiore almeno al 50%, proporzionalmente, agli occupati nel settore privato.

L’esplosione nel 2007 della crisi economica mondiale ha prodotto anche una razionalizzazione gigantesca nell’occupazione dei lavoratori riducendo radicalmente i loro posti di lavoro in tutti i settori del privato. Si ricordi, nel frattempo, che la crisi economica, che si era sviluppata progressivamente e per tappe dagli anni ’70, è stata provocata dal crollo della domanda interna dei paesi soprattutto occidentali a causa dei due miliardi di non nati dalla fine degli anni ’60 (quattro volte la popolazione europea!). Contrariamente alle abituali convinzioni, è stata la denatalità la causa della crisi, quindi le sue motivazioni culturali e irreligiose fondamentalmente edonistiche…
La recessione ha colpito, per conseguenza, il mondo della produzione di beni e servizi ma il settore pubblico ha continuato tranquillamente la sua strana e sorprendente espansione in tutta Europa. Sul modello del raddoppio dei funzionari europei nel primo decennio di questo millennio, tutte le amministrazoni nazionali e locali hanno continuato a gonfiare i loro effettivi in ogni paese. Il fenomeno, evidentemente assurdo, è però la logica conseguenza di una mostruosità propria al gigantismo della degenerazione tipica della nostra epoca: lo statalismo.

In realtà, lo statalismo è sempre esistito. La tendenza a rendere l’organizzazione di questo mondo superiore alla Persona e alle sue articolazioni umane ha attraversato la storia, passando anche oltre la soluzione cristiana dello Stato laico definito nel Vangelo stesso: “Dai a Cesare quello che appartiene a Cesare e a Dio quello che appartiene a Dio”. Il laicismo, invece, ha continuato la sua lotta infinita di sterminazione di Dio e delle Sue leggi, anche naturali, fino a giungere oggi alla pretesa della completa sparizione della trascendenza, almeno nella sua dimensone pubblica. Da cui le mostruosità multiple di questa deviazione ontologica, vale a dire contro natura, che costituisce il problema maggiore e originario di tutta la nostra era. L’uomo visto come espressione esclusivamente del suo “bios” non può obbedire che alle sue leggi ben materiali e riduttive, va da sé, della sua complessità spirituale. Le sole leggi da seguire per tutti i laicisti, ormai apparentemente maggioritari, portano alla radicalizzazione estrema della lotta civile e politica contro la manipolazione umanista atea, particolarmente anticricristiana. A chi la responsabilità di tutto questo disastro? Naturalmente alle stesse masse dette popolari che hanno eletto i loro rappresentanti nichilisti nei diversi parlamenti.

L’intrinseca ed inconffessata fragilità culturale delle posizioni laiciste esige, in compensazione, una potenza strutturale che permetta alla sua forza operativa, sempre più imperativa, di funzionare come un orologio svizzero. Nel processo di secolarizzazione, i laicisti inevitabilmente nichilisti gai, devono essere inevitabilmente e radicalemente militanti oltre che “missionari” nel loro progetto demente d’installazione di una società detta liquida e postumana: essa è fondata in effetti sul pensiero unico. Per riuscirci hanno bisogno di un tipo di organizzazione sociale con una ossatura molto solida e decisionaria che solo una gran parte preventivamente e in permanenza consensuale può garantire. Insomma, è necessaria una continuità di una vera “casta” a priori d’accordo con il potere politico: da cui la loro proporzione secondo i principi eternamente necessari alla classe politica: disporre di una pletora sociale “clientelizzata” ben fedelmente. Una struttura di statali, a libro paga, non solamente abbondante e “ricca”, ma anche attivamente impegnata nel sedicente ideale sociale in ogni caso “criminalmente” prefigurato. Gli innumerevoli funzionari esistenti non fanno altro, infatti, che riprodursi infinitivamente in una moltiplicazione di funzioni la cui sola logica di crescita è tutta interna e mai relativizzata all’utilità reale della Persona, delle persone, e delle loro articolazioni sociali! Il princpio cattolico di sussidiarietà è così totalmente calpestato.

Prendiamo l’esempio della Francia (o del Belgio almeno bilingue) e dell’Italia: l’una detta “efficientista” nella sua centralizzazione e l’altra disfunzionale nella sua decentralizzazione anarchica e pure fatalmente corruttiva. I calcoli più ottimisti e per difetto indicano almeno un milione di statali eccedentari nelle dette due repubbliche europee. E questo da decenni. Nessuno ne parla. Al più, una certa stampa si lamenta (ma raramente) dei deficit annuali ben contabilmente nascosti, come sistematicamente in Francia aiutata dalla complicità abitualmente delittuosa della Germania che le permette, senza nulla dire, di superare il 3% annuale (già ingiustificato) permesso da Maastricht. O di permettere al Belgio di sorpassare allegramente più del doppio il PIL annuale in debito pubblico. Quanto all’Italia, se non ha un superamento del tasso fatidico del deficit, c’è quello del debito globale messo sul gobbone delle generazioni future (ed attuali!). Il quale non può che aumentare (si è giunti, sembra, al 135% del PIL).

Ma la cosa ancora più straordinaria (ad esempio per l’Italia) è che due grandi riferimenti ufficiali hanno fornito da più di due anni gli stessi dati catastrofici sui quali è stato fatto cadere il silenzio più assoluto. Si tratta del numero di statali eccedentari: sia Giogio Vittadini (leader pricipale di Comunione e Liberazione e professore di statistica all’Università della Bicocca a Milano), che Edward Luttwak (economista americano esperto in cose italiane) sono arrivati alle medesime conclusioni sulla cifra di ben 750.000 esuberi: il primo, in un articolo de Il Sussidiario di metà marzo 2016; e l’altro in prime time alla televisione RAI già nel 2015 a sera, riportando i risultati di una inchiesta negli Stati Uniti per validare o meno le intenzione di capitali nel Bel Paese. Mentre quest’ultimo raccomandava, evidentemente, di licenziare tutti questi falsi impieghi (essendo essi probabilmente molti più della cifra constatata), il primo raccomandava esplicitamente e chiaramente di non licenziare nessuno di tutti codesti “fanigotton” (fannulloni in dialetto lombardo): senza naturalmente fornire nessuna motivazione, peraltro! In tal modo, rassicurava subito i suoi lettori e i numerosi amici, soprattutto statalisti, che nulla cambiava in realtà con la sua dotta inchiesta statistica.
La censura dei grandi media non fa che aggiungersi all’autocensura anche dei più “intelligenti”. Certamente però molto complici, tra i sostenitori delle nostre società schiaviste. Nel modernismo statalista e non statale.

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