Perché la totalità dei miei libri, articoli e post – che siano essi economici, culturali o sociali, come pure personali –, trattano sempre intorno al cristianesimo e alla Chiesa?

Sarei forse un caso clinico? Un monomaniaco o un ossessivo clericale che concepisce l’esistenza solo all’interno della – se si può dire – più folle, irrazionale e forsennata religiosità? Oppure mi situerei, come spesso si dice, solamente nel piano detto salvifico, supertiziosamente scervellato e insensato nella storia?
La questione, anche se in realtà le domande non mi sono esplicitamente indirizzate, sembra essere spesso sottintesa alle critiche, anche benevole, che a volte ricevo. Dunque si tratta forse di una patologia di cui sarei implacabilmente vittima, una sorta di metastasi fatalmente mortale sul piano vitale che non può che continuare ad accompagnare, a rovinare costantemente la mia pur sempre normale esistenza?
Per la mentalità generalmente laicista o nichilista del nostro mondo si tratta di domande assolutamente retoriche e scontate! Ma c’è almeno un malinteso e un paradosso.
In una contemporaneità, la nostra, che afferma tranquillamente che tutto è relativo, che la verità non esiste e che i valori della tradizione sono assolutamente sorpassati e inutili, perché si dovrebbe essere interessati alla ricerca dell’assoluto, del tramandare la memoria storica e la ricerca dell’unità (che costituisce l’essenza stessa della vita)?
Il relativismo individualista e soggettivista è talmente sicuro di essere nella verità, e talmente supposto indiscutibile, che non giunge nemmeno a concepire, avvicinarsi e confrontarsi ad un’altra visione. Da cui la tranquilla ideologia del cosiddetto “pensiero unico” della nostra era. Ben altro comportamento, per esempio quello che cerca di costruire o ricostruire un legame diretto con l’architettura unitaria tra l’intimità del cuore, il corpo umano e la natura di tutta la Creazione, è impensabile per i nichilisti,ateisti e relativisti, oppure è a priori escluso e bandito.
Quale follia pleonastica perdere anche un solo istante a quaerere Dominem, vale a dire cercare il Dio (unificante e salvifico)! Quale allucinazione aberrante a correre dietro a idee astratte dette spirituali.
Sarebbe invece concreto, razionale, positivista – continuano sempre a proclamare i non credenti – ciò di cui l’uomo moderno avrebbe bisogno. E non di queste chimere più o meno prodotte dalla superstizione et dalla trascendenza… Esse sarebbero anche impalpabili e alienanti. Questi non credenti non si rendono nemmeno conto che in tal modo il loro tipo di uomo di riferimento, così disumanizzato, transumanizzato, altro non è che la caricatura dell’uomo originale, ridotto in tal modo alla sua dimensione più immanente e falsamente apparente.
Peraltro quale altra diagnosi potrebbe essere suggerita, di fronte ad una visione umana globale e profonda, da parte di questi tifosi della concezione reificante della realtà, cioè diminuita, sviata ed anche annichilita?
Per ogni ateo o agnostico contemporaneo, questa idea cosiddetta obsoleta, secondo cui Dio sarebbe pertinente e vivo nella vita degli uomini, è assolutamente monomaniaca e ossessiva. Bisogna, per questi non credenti, liberare all’occorrenza questi esseri spirituali dalla loro schiavitù culturale da paolotti di sacrestia.

Invece, quest’uomo veramente religioso che si concepisce come una semplice creatura, creata da qualcun altro che da sé stesso e che esprime naturalmente questa evidenza come una verità ontologica – vale a dire intrinseca, che non ha nemmeno bisogno di essere messa in discussione in quanto già miliardi di volte verificata nella storia –, si accorge oggi di essere sistematicamente giudicato come anormale. Da considerare come malato da curareoppure che se vada al proprio diavolo. Tutta la divisione, l’opposizione stessa e la lotta nel nostro universo detto moderno (in realtà molto modernista), consiste in siffatta rottura, più ancora che separazione dalla concezione più iniziale e sostanziale della vita e della sua esistenza reale.

La sapienza, l’equilibrio e la serenità di ogni uomo sono sempre state rappresentate e descritte, fino a diventare la natura stessa della civiltà, attraverso ciò che è stato chiamato il “senso religioso” (concetto chiave fondamentale e preliminare di don Giussani, in via di canonizzazione). La ricerca costante, anche distintiva dell’umanità e della sua coscienza civile, è costituita dalla sequela permanente della sua natura ben collegata alla totalità e globalità.
Questo ricercare è il solo veramente umano, cioè indissolubilmente legato alla sua salvezza nella perennità, alla possibilità di redenzione nella sua esistenza. Così questo impegno primario, vero inseguimento dell’alfa e dell’omega, dell’inizio e della fine di ogni cosa, viene chiamato religiosità: dal latino religare, ricollegare, cercare di rilegare il profondo di sé con il concreto ed anche l’apparentemente banale quotidiano.
Di che altro, di più essenziale e vero, potrei mai riempire il fondo dei miei post, dei miei articoli e dei miei libri? La famosa questione dello scrittore cattolico Carlo Bo, “Ma perché scrivono?”, sorge paradossalmente dall’osservazione secondo cui, la letteratura e la comunicazione contemporanea non sono generalmente fondate sul quaerere Dominem cosciente. Al contrario, esse si vantano della fragmentazione, dello sbriciolamento superficiale di ogni realtà: la verità, essendo supposta non esistente e, ancor più, non essendo essa pensata possible (!), nella relativizzazione totale e globale della vita e di ogni individuo, oltre che di ciascuna cosa, diventano ripieni di… niente.
Il nichilismo ha così completamente sommerso, apparentemente, l’esistenza sia essa pubblica che privata ed intima. Così ogni giudizio sulla cosa dovrebbe essere sempre completamente rovesciato.
Continuerò dunque a scrivere sempre alla ricerca del loro senso globale e totale.
Così come il cristianesimo e la Chiesa l’hanno sempre fatto, nella sola e suprema impresa degna di essere veramente nominata: quella di salvare l’uomo ed ogni uomo.

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