L’inesistente « diritto al lavoro » tanto reclamato produce disoccupazione e ideologia lobotomizzata.

 Il diritto al lavoro non esiste e non può esistere. Esiste invece il dovere ontologico e gratuito di lavorare tutta la vita, fino all’ultimo respiro (io continuo a lavorare a più di 70 anni, grazie a Dio che mi dà salute).
Così sono sempre colpito dalle falsificazioni, soprattutto da parte dei sindacati, che non fanno che ripetere e far reclamare, anche violentemente, a milioni di manifestanti che il lavoro è un diritto.
Niente di più falso. Affinché un diritto sia veramente stabilito, bisogna che qualcuno abbia l’incarico di assicurarlo. Ma non esiste nessuna categoria di uomini che sia giuridicamente e legittimamente obbligata a produrne le attività. A chi si richiede dunque questo diritto? A nessuno, naturalmente.
A meno che non si voglia sottintendere, o anche esplicitamente pretendere, che sia lo Stato (statalista) a creare il lavoro. Vale a dire a diventare ciò che gli uomini, personalmente, evitano di fare: diventare imprenditori!
Il fallimento confessato del comunismo (lo Stato imprenditore è sempre comunismo!) a Berlino come a Mosca o in Cina, da almeno più di una ventina d’anni, ha mostrato l’utopia di questa visione.
Tuttavia l’origine del nuovo statalismo (peraltro in fallimento anch’esso), dell’interventismo degli Stati, prende piede da questa aberrazione. Siccome gli uomini hanno tendenza a rifiutare di prendere rischi – intraprendere significa rischiare – attribuiscono molto spesso questo carico allo Stato. Oppure anche a cittadini (i padroni) che non sono assolatamente obbligati a farlo. In ogni caso – ripetono – la creazione del lavoro non è di loro competenza: come se fossero subordinati per natura. E come se ne avessero imperativamente il sedicente diritto.

Ma allora a chi va la libertà e l’onore – certamente non l’obbligo – di creare lavoro? Come tutte le grandi cose della vita, la creazione, l’imprenditorialità del lavoro nasce dalla sempre libera e gratuita vocazione personale. Gratuita all’origine ma non nei suoi effetti in quanto, gli imprenditori lo sanno, l’impresa costa in rischi, in fatica , in intelligenza diligente, in cultura coltivata, in professionalità, in ricerche economiche nelle quali investire, in prudenza calcolata nelle scelte dei collaboratori, in capacità intuitive dei bisogni dei mercati, in attitudini, in predisposizioni migliorate e abilità manageriali, in ingegnosità tecniche e logiche (tecnologiche), in tenacità…
In breve, il fallimento esiste e, nella nostra epoca, è anche molto corrente.
Il lavoro, dunque, un diritto?
Si comincia così a vedere tutta la stupidità, la demagogia e l’irresponsabilità di questa affermazione completamente lobotomizzata, malgrado sia molto diffusa, reclamata e quotidiana.
Ci sono, invece, due parole che non si sentono mai (o quasi): carisma e reciprocità.
Il carisma definisce tutte le qualità e le specificità proprie alla gratuità vocazionale degli imprenditori ai quali ho appena fatto allusione. Si può chiedersi, allora, il numero senza dubbi molto elevato di scardinamenti, di degradazioni, di impedimenti nel compimento della carriera imprenditoriale che questa ideologia del diritto al lavoro (provocata dall’«inflazione scervellata del diritto a qualsiasi cosa») crea nella continuità. E questo in tutti i paesi europei che sono stati, tuttavia, i creatori della civiltà grazie alla sua cultura cristiana.

Il secondo termine ormai sconosciuto è quello della reciprocità. L’idea mortifera della lotta di classe, ancora alla base, malgrado tutto, del rivendicazionismo infinito dei lavoratori subordinati, non riconosce la gratuità della vocazione (il lavoro altro non è, per loro, che la forza da vendere…) alla quale ogni uomo deve rispondere. Per conseguenza, al posto di essere sempre riconoscenti, almeno nella giusta reciprocità, nei confronti degli imprenditori creatori di impiego, si continua a produrre un vero odio contro chi si ritiene inevitabilmente come una «classe di sfruttatori da impoverire e di irriducibili nemici». Al posto di prenderli come modelli di laboriosità da seguire.

Laisser un commentaire