Il Nobel letterario a Modiano: quasi uno sconosciuto ma, nel nichilismo minimalista, la giuria svedese non sa fare altro.

Dopo la sorpresa di tutti, veramente tutti, i critici letterari internazionali, anche lo stesso francese Patrick Modiano (di remote origini italiane ebree) si è dichiarato « bizzarramente » premiato dal Nobel di quest’anno.
Nel piccolo universo, quello della letteratura, in cui ogni anno decine di migliaia (!) di romanzieri e poeti occidentali pubblicano la loro narrativa più o meno poetica, anche molto inventiva ma spesso massificatamente minimalista e culturalmente spappolata, gli accademici svedesi non possono – grosso modo – che pescare la loro annuale brillante sardina nell’oceano ideologico del nichilismo contemporaneo colto. Così si comprende anche lo stesso Nobel di letteratura attribuito al grande attore italiano, ma non molto letterato e mediocremente commediografo, Dario Fo: bisognava che lo dicessi.
Oltre alla difficoltà oggettiva di dover scegliere tra le molte migliaia di autori generalmente parecchio omologati fra di loro ideologicamente, il problema centrale della giuria centenaria (finanziata dall’inventore dell’esplosivo) divenuta massimamente prestigiosa e progressivamente sempre meno qualificata, rimane costantemente quello del criterio letterario. Ma anche storico e contenutistico delle attribuzioni dei loro annuali premi (quasi sempre ambiti al più alto grado mondiale : anche per ragioni economiche).

 Fra l’altro, il Nobel di letteratura ripresenta ogni anno la necessità di dover risolvere un doppio problema, del resto classico, poco presente nelle altre discipline scientifiche e tecniche : quello di definire cosa sia l’eccellenza specifica della scrittura, nella continuità di un autore vivente ; e, in secondo luogo ma molto importante, quello di premiare il valore culturale che la letteratura – e il letterato in questione – intrinsecamente svolge nella vita contemporanea e nella sua storia.
Abitualmente e da questo punto di vista, l’attuale critica internazionale dichiara che la stessa vera criticanon esiste più, a dispetto, e forse a causa degli innumerevoli censori sul mercato. Non a caso l’americano Harold Bloom, forse il più grande critico letterario della nostra contemporaneità, aveva dedicato praticamente tutta la sua opera alla definizione e alla documentazione meticolosa per sostanziare il concetto dirimente di « canone ». E questo per poter annovevare una opera in ciò che si possa giudicare un classico della letteratura nella grande arte.

 Avevo letto un solo libro di Modiano, per cui non mi azzarderei ad alcun giudizio complessivo.
Lo scrittore, apparentemente umile se non modesto, era stato presentato più volte da Bernard Pivot negli anni 80-90 nelle sue grandi serie televisive culturali, molto seguite non solo in Francia, come la sua prima Apostrophes. Il grande pubblico aveva cominciato a conoscere l’allora giovane autore che, come me, volle leggerlo : il suo Remise de peine mi aveva lasciato, come si dice nel mondo francofono, « sur ma faim ». Un libro abbastanza leggero, ben scritto, di facile approccio, narrativo di vicende piuttosto intime (malgrado il soggetto) e certamente non dirompente e poco globale. Un giudizio malevolo direbbe anche alquanto minimalista. Ma le ragioni con cui gli è stato inopinatamente attribuito il Nobel sembrano altre, molto più storiche, ma anche più abitualmente politicistiche, de sinistra ma baltica, ancora antifasciste, relative al valore della denuncia descrittiva e transfigurata della orribile persecuzione agli ebrei…
Nobilissimo motivo, in ogni caso.

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