Le inutili calamite per riempire le chiese. Quando la sordità degli uomini all’ascolto del cuore è molto profonda.

Con la rarità dei fedeli nelle chiese – ormai si è a meno del 10% delle popolazioni –, la preoccupazione prima di molti preti e grandi pastori è di riempire al massimo le loro ormai inutilmente vaste e belle navate piene di statue di santi. Molto bene!
Ma spesso sono disposti a far capovolgere il senso del piano salvifico di Dio per poter accogliere molti «cristiani» culturalmente all’estreme periferie, quando non in opposizione esplicita ed anche vantata con la dottrina divina e la sua santa Tradizione.
Un ricordo tra i più forti di ciò che il cristianesimo significa mi riporta ai miei 11-12 anni. Ero un chierichetto di un giovane prete a Mombello, in una piccola chiesa a qualche metro dell’ormai chiuso grande ospedale psichiatrico. Così presto il mattino, alle 6 e 30, ero già pronto a servire la prima messa. Poi mi rendevo a scuola (media) sempre in bicicletta, di Cesano Maderno. Ma la cosa memorabile era che il prete, bello come un giovane attore, non guardava nemmeno chi potesse alzarsi per seguire la «sua messa»: spesso eravamo i soli nella chiesa. Molto deciso e concentrato, don Italo celebrava una sempre breve Eucarestia nell’essenzialità della sua liturgia molto riassunta e senza predica. Il suo era un atto sacro e vocazionale (anche obbligato, del resto) che ho avuto modo di ricordare ultimamente. In effetti, un prete fiammingo della scuola cattolica di fronte alla quale abito, ha dichiarato a mia moglie che «la messa quotidiana era stata soppressa da molto tempo: non ci veniva più nessuno…».

 Oggi si è indotti piuttosto a pensare ad un cristianesimo, si potrebbe dire democratico, nel quale il servizio alle sue pecorelle è concepito come utile o sterile (vano) a partire dalla sua fruizione.
Da là fino a sconvolgere la dottrina millenaria cattolica, il passo è breve. A dire il vero esso è già stato fatto. «Facciamone il tema di un Sinodo e cerchiamo che si decida ciò che il popolo si aspetta da molto tempo…», aveva appena dichiarato il vescovo della capitale delle Fiandre, Anversa, in una lettera spedita direttamente a papa Francesco. Non al suo primate del Belgio e confratello, l’arcivescovo di Bruxelles Léonard, già celebre per essere un «tradizionalista» inveterato: nominato dal rigoroso papa Ratzinger!
A cosa corrisponde questo atteggiamento compiacente con i desideri dei «fedeli» sempre più irreligiosi e laicisti? Non si tratta di riempire solo le chiese, già quasi abbandonate, nella loro molto conclamata inutilità da un popolo falsamente autosoddisfatto nella sua reificazione nichilista e relativista.
Molti dei sedicenti pastori d’anime pensano di conservare il residuale prestigio della Chiesa con la compiacenza alle inclinazioni fatalmente diaboliche ed eretiche delle masse diseducate dal dal nichilismo e dalle televisioni. Queste non fanno altro che affermare, per centinaia di giornate e di nottate di trasmissioni al mese, che l’uomo non ha bisogno e non ha necessità di soddisfarsi que attraverso il suo libero arbitrio. Anche iperindividualista e, va da sé, disperatamente insensato.

 Ecco come spiegare anche il disastro apparente della divisione radicale scaturita all’ultimo Sinodo all’interno della Chiesa. Dopo essere corsi dietro ai poveri (che spesso non sono più poveri di spirito), i pastori – anche tra i più importanti della Chiesa – corrono dietro ai vizi stravolgenti e diabolici di questo mondo obiettivamente sconvolto dall’idea che l’uomo non ha bisogno di essere salvato.
Oppure di essere «salvato» da una insensata e squallida salvezza a sua misura…
Domenica scorsa, a proposito del molto chiacchierato argomento dei divorziati risposati, ho visto un uomo sulla quarantina che si è «comunicato» alla distribuzione delle ostie con le braccia incrociate: il prete l’ha così solamente benedetto, secondo il rito della comunione spirituale. Non c’è necessità di altro da inventare nella «misericordia della pastorale futurista»!
Mentre oggi tutto, veramente tutto, dice e descrive la dannazione di un universo senza speranza, molti uomini pensano che la celebrazione, anche quotidiana, dell’Eucarestia sia una follia inutile nel generale tempo perso. Si tratta, invece, dell’ascolto (nella liturgia sacramentale!) del linguaggio celeste del cuore che si è molto perso. Bisogna, inevitabilmente, ripartire da là.

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