La diocesi di Milano all’avanguardia nella cultura del lavoro: tre serate di catechesi per i giovani sul «compimento della Creazione».

Non ne sono per niente sorpreso: una metropoli commerciale e industriale da sempre e con una tradizione cattolica (ambrosiana!) senza paragoni non poteva essere da meno. Non a caso don Giussani aveva motivato – all’inzio degli anni ’80 – che mai avrebbe trasferito a Roma, capitale burocratica e molto parassitaria, la sede centrale e storica di Comunione e Liberazione. E questo, malgrado che san Giovanni Paolo II avesse chiesto a tutti i movimenti ecclesiali di avvicinarsi alla “città eterna” della cattolicità. E malgrado anche all’incomparabile obbedienza (e amicizia personale) del prete milanese all’Autorità petrina.
In effetti, non solo la CdO (Compagnia delle Opere, con le sue più di 20.000 imprese affiliate all’epoca e poi giunte a 35.000) fondata dal prete stesso in via di beatificazione e che dispone di una trentina d’anni di esperienza, ma anche l’Azione Cattolica ambrosiana ha appena programmato tre catechesi, in gennaio e febbraio 2015, per i giovani centrate sul lavoro cristiano.
Rarissimamente, troppo raramente, le diocesi si occupano di lavoro da un punto di vista teoretico e religioso. Al punto che Giampaolo Crepaldi, numero uno della Dottrina Sociale della Chiesa e arcivescovo di Trieste, nel 2014 aveva scagliato i suoi fulmini (per esempio in un articolo pubblicato su Tempi, il settimanale cattolico  milanese) contro l’ignoranza su questi temi da parte dell’AC. Questa tripla iniziativa nella metropoli motrice dell’economia italiana, non potrà che fargli piacere.
La prima catechesi è stata tenuta dal valente docente di Filosofia della Comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano, Silvano Petrosino, con il significativo titolo “Attraverso il lavoro l’uomo porta a compimento se stesso e la propria vocazione”.
Lavorando e vivendo da molti decenni a Bruxelles, non ho potuto partecipare alle tre serate. E, malgrado non abbia trovato su Internet i rendiconto delle due ultime iniziative, ho potuto apprezzare la molto alta impostazione culturale e religiosa del docente milanese nella sua prima catechesi.

La mia passione per la cultura salvifica del lavoro non è proprio recente e poco giustificata. I miei libri pubblicati, anche online, e i numerosi articoli mostrano le molte ragioni che situano per me il lavoro al centro sia dell’universalità umana, che della condivisione del destino cosciente nella vocazione cooperativa tra l’uomo e l’eterno Creatore. Non si lavora ovviamente solo per necessità, per i bisogni fattuali dell’esistenza, ma per aggiungere valore alla bellezza del Creato che abbiamo trovato nel mondo, appena guardandolo già da bambini. L’idea, fondalmentalmente, della gratuità del lavoro va sempre al di là della sua remunerazione o profitto. Non è da molto tempo – solo da un po’ più di due secoli – che l’orribile e disperata idea del lavoro alienante è stata fatta entrare nelle mentalità dei lavoratori. L’ideolgia della devastante lotta di classe si è fatta largo con il diffondersi del nichilismo esistenziale fondato sul materialismo becero e riduttivo. La stessa ideologia del lavoro subordinato e deresponsabilizzato ha poi completato l’orrore. Lì il cristianesimo ha trovato, e troverebbe sempre più, pane per i suoi denti: proprio nel campo inevitabile e inaggirabile per ogni uomo ed ogni cultura su tutta la Terra. Nella predicazione evangelica, Gesù non ha mancato di ricordare e sottolineare l’umile e proficuo partenariato tra l’uomo e Dio nel compiersi eterno del destino mondano attraverso il lavoro. Già nell’Antico Testamento, Dio aveva posto il sigillo della Sua Alleanza nel destino laboriosamente attivo, collaborativo e fiducioso del Suo popolo. Nella più perfetta libertà trinitaria per l’uomo. E non sarà certo l’arcivescovo Crepaldi a smentirmi.

Silvano Petrosino, nella sua catechesi, ha ritracciato le tappe originarie del percorso salvifico umano rispetto alle sue attività lavorative che riguardano anche tutti i compiti vocazionali e di ricerca propri dell’esistenza. Innanzitutto, ha risituato l’uomo nella sua sorgiva creaturalità ben cosciente: “Non si decide di venire alla vita – egli ha ricordato – ma non si può vivere da uomini senza deciderlo”. Quindi ne ha rapidamente rilevato la teleologia vocazionale: come “ il lavoro ha a che fare col diventare uomo”. Per poi giungere al contenuto essenziale del lavoro che coincide col “portare a compimento” la creazione divina “che è perfetta ma incompiuta”. Donde lo spazio, tutto lo spazio, per l’estrinsecarsi dell’indispensabile libertà dell’uomo…
In mancanza degli altri due contenuti delle restanti catchesi, ho cercato di ricostruire tutte le finalità della trilogia dai titoli e dalle modalità delle loro realizzazioni annunciate. Non potrei quindi confermare pienamente tutto il mio entusiasmo per la catechesi di Petrosino anche per le altre due serate. Soprattutto che nessun indizio disponibile può indicare la presenza dell’essenziale e inaggirabile contenuto allorquando si parla di lavoro: quello dell’imprenditorialità. La quale, sia d’azienda oppure di attività individuali (artigianali), è sempre la sola che può creare attività, ricchezza e impiego per ognuno nella sua funzione vocazionale. E, soprattutto, è la sola e attuale che, con la sua cultura umile, sempre attiva e intraprendente (per definizione), lotta silenziosamente ed efficacemente contro tutte le orribili storture nichiliste e inumane della nostra era.

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