L’insensata logorrea ininterrotta e narcisa dell’uomo mediatico, piuttosto che l’attiva riflessione silenziosa e razionale dell’uomo religioso.

Si chiacchiera, si interviene, si dibatte, si commenta, si ciancia, si grida…: miliardi di parole sono pronunciate o urlate in una continuità mediatica con una intensità mai raggiunta prima. Ogni canale di televisione, di radio e di qualsiasi altra diavoleria di diffusione sono in competizione forsennata per accaparrarsi l’audience di noi spettatori o ascoltatori.
A nostra volta, noi stessi prendiamo la parola in ogni occasione e circostanza, anche nei social network, per disputare e rivalizzare oralmente con gli opnion maker titolati o supposti tali
Molto bene? Inevitabile, piuttosto! L’effetto globale di tutto questo sproloquio e sparlare è la logorrea insensata, ininterrotta e narcisistica di cui si può dubitare anche dell’effettivo e semplice ascolto (sempre sovrapposto). A volte anche la percezione dei messaggi è messa in dubbio: si rimane perplessi, increduli. Spesso si fugge la fatale problematizzazione imposta su qualsiasi cosa. Si cambia canale alla ricerca di calma, di più calma, anche di superficiale musicale, purché ci si possa sottrarre a questo vizio estremo di voler tutto porre in discussione : in modo approssimativo, va da sé. Spesso ci si ritrova così sovrainformati nel pensiero unico standardizzato. In ogni caso, se c’è di certo un effetto acquisito secondo la grande confusione caotica alla quale si è quotidianamente sottomessi, è la relativizzazione di tutto e la soggettivizzazione di ogni giudizio. Si preferisce il vuoto del non pensiero, del superficiale indifferente, dello spettacolo spettacolarizzato ad ogni costo, purché non faccia (troppo inutilement) riflettere e che permetta di uscirne con la propria soggettività falsamente individualizzata. La fabbrica iperproduttiva alla catena del nichilismo disimpegnato e frivolo si mette continuamente in moto, in ogni caso. Io, per esempio, come misura preventiva, da più divent’anni guardo la televisione senza suono. È rarissimo che alzi il volume per sentire parole che suppongo veramente interessanti. Scelgo generalmente canali sottotitolati. Oppure ascolto il canale 138 di Sky dedicato alla musica classica.

Il vero problema acuto di noi contemporanei è la ricerca del senso. È la merce più rara che la logorrea ambiente impedisce d’incontrare: anche quando questa è presente, almeno in parte, è impietosamente annegata nella banalizzazione abituale di ogni tipo di comunicazione pubblica. Mi vien fatto d’abbandonarmi ad un elogio della comunicazione scritta: essa fa almeno riflettere (è il vantaggio principale dell’azione delle Sentinelle in piedi!). La lettura parola per parola obbliga a strutturare il pensiero in modo razionale e antisensuale (generalmente si dovrebbe essere affascinati, purtroppo paradossalmente, solo dal poco sensuale insito nelle parole stampate nero su bianco).  Come in questo Blog.

Anche quando si va a messa – ci si va alla ricerca specifica del senso! – ci si imbatte spesso con competitori molto temibili, nelle omelie, dei venditori logorroici dei media propri alla società dello spettacolo e dello spettacolo della società (di cui parlavano i situazionisti francesi all’inizio degli anni ’60).
Le conferenze, le omelie, gli interventi orali, dovrebbero durare almeno la metà (a volte un buon terzo): mai più di una ventina di minuti, anche per il più talentuoso esperto di retorica oratoria (tutt’al più 30 minuti per una già lunga conférenza!). Una omelia, anche in cattedrale, dovrebbe durare solo quache minuto (dieci al massimo, come faceva papa Ratzinger nelle sue prediche magistrali). Come fare? Molto semplice: due concetti da presentare rapidamente, e non più, nella essenzialità della loro enunciazione. Non più complicato delle parabole evangeliche! Senza mettersi a parafrasare le letture della liturgia della parola: esse sono già molto chiare ed è sufficiente citarne in dieci secondi qualche parola. È la capacità laconica e di sintesi (non i panegirici sbrodoloni) che fanno la forza e la chiarezza dell’ufficiante predicatore. Spesso si assiste a omelie circolari dove i concetti diventano ripetitivi fino a confondersi in argomentazioni tanto pleonastiche quanto imbarazzanti. I fedeli non perdonano i preti prolissi che, inevitabilmente, finiscono per raccontare anche «verità eterodosse» e inessenziali. Le migliaia di pagine della Bibbia sono alla disposizione di tutti. Quanto ai conferenzieri, sappiano che dopo un quarto d’ora-venti minuti, tutti i partecipanti sono già distratti e partecipano alla sua supposta performance per… semplicemente attenderne la fine. È piuttosto il concetto di silenzio, di riflessione profonda alla ricerca del senso, che i preti e i conferenzieri devono insegnare. Essi non devono fare della pedagogia alla tortura sadica sui posteriori dolorosamente appiattiti sulle sedie dei partecipanti. Che si preparino piuttosto ad aprire una lunga parte di domande risposte con l’auditorio. E che pensino alla frequenza della prossima conferenza. Oppure alle chiese vuote per vendetta.

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