Ricchezza materiale e spirituale nella libertà amorosa. La cattolicità dei piccoli imprenditori.

Tre novelle

Mai subordinati,
laboriosamente liberi.

(11 ottobre 2016)

Imprenditorialità in famiglia.

(7 novembre 2016)

False estetiche

e testimonianza

imprenditoriale.

(24 febbraio 2017)

La circonferenza relazionale della cattolicità imprenditoriale.
I tre racconti pubblicati su questo blog, tra ottobre 2016 e febbraio 2017, sono qui raccolti in una triade sotto il titolo “Ricchezza materiale e spirituale nella libertà amorosa”.
Ne scaturisce un libretto di tre storie verosimili ma molto immaginarie, tra loro legate anche con protagonisti comuni. Il piccolo imprenditore, il prototipo cioè del creatore universale di ricchezza più diffuso al mondo, è costantemente implicato in queste emblematiche cinque parole della sua cattolicità: due sostantivi e tre aggettivi costitutivi della circonferenza relazionale ed esistenziale nel percorso della sua salvezza.

Innanzitutto la parola “libertà”: il piccolo imprenditore è senza alcun dubbio l’uomo relativamente più libero in quanto non inscritto su nessun libro paga. Egli si costruisce, si… paga letteralmente, la propria libertà giorno dopo giorno col proprio sacrosanto e insostituibile lavoro. Oggi tutta la sua imparagonabile fatica, vale a dire il suo moderno sfruttamento statalista e il suo costante rischio sempre totale, sono ripagati dal contenuto di questa prima parola che è solo seconda a quella di Dio (affermava continuamente e per tutta la sua vita, il servo  dell’Eterno don Giussani).

La seconda parola è l’aggettivo divino “amoroso”: il piccolo imprenditore è generalmente frutto dell’amore globale e infinito di Dio. La qual cosa, evidentemente, lo totalizza ma non gli appartiene: è lui stesso che appartiene implacabilmente allo smisurato ed imprevedibile Mistero che lo realizza nella continuità, in modo anche diretto. Egli è all’insegna e all’origine della grandezza di ogni lavoratore, pure se molto modesto o contrattualmente subordinato. Amoroso, quindi, perché creaturale, cosciente, anche socialmente culturalmente e esplicitamente in opposizione con la mentalità del mondo.

La terza parola è l’altro sostantivo, “ricchezza”: è sempre lui, il piccolo imprenditore, che è posto   all’origine della Creazione almeno quanto l’uomo più comune, il dipendente e subordinato nella produzione. L’utilità e la bellezza che lo trascendono permettono alla vita di essere prodotta sebbene questi supremi valori non risultino mai di sua esclusiva proprietà. Perfino nella sua più alta creatività, infatti, egli non fa che collaborare – anche se con dosi minime o parzialmente, con grande o minuscolo talento personale – alla Creazione continua: alla Sua meravigliosa e imperscrutabile profusione.

La quarta e la quinta parola sono gli altri due aggettivi, “materiale” e “ spirituale”: come per il denaro, è dal loro utilizzo, dal loro impiego, che dipende la loro sorte benefica. Fino all’abisso anche dell’idolatria, alla consueta e sempre possibile eresia del mondo incredulo. Il bene materiale e spirituale, vale a dire l’utilità con la sua intrinseca bellezza, sono stati innaturalmente separati e messi anche in sintonia al peccato originale (in generale) e alla cultura nichilista (in particolare oggi). Infatti essi sono situati al cuore del rischio della collaborazione attiva dell’uomo con il suo sacrosanto e alacre lavoro, per l’aggiunta di valore al Creato e ai piani di Dio. La Creazione, infatti, continua eternamente con lo stretto partenariato tra la Trinità e l’uomo che aderisce così alle leggi della Natura e del suo eterno Creatore. A loro volta, queste leggi esigono la prevalenza dello spirituale sul materiale contro l’idea nichilista, statalista e secolarizzata per cui la vita non ha e non può avere senso se non quello apparentemente fattuale.

DSC, Famiglia e Tradizione come guida e carburante dell’imprenditorialità.
Questi concetti, tutti scaturiti dall’ontologia e dalla DSC (Dottrina Sociale della Chiesa), sono alla base – vogliono piuttosto essere alla base – dei tre racconti in questione e ne costituiscono la teleologia, la finalità essenziale. Essi vogliono mostrare, contrariamente a tutta la letteratura detta moderna, ben generalmente centrata nel pensiero unico relativistico, come la felicità umana altro non è che la ricerca della sua perenne creaturalità salvifica. La quale è negata, assolutamente e totalitariamente contro l’evidenza, dalla cultura atea ormai pretenziosamente molto dominante.
La celeste umanizzazione della produzione di ricchezza con il lavoro santificante e innovativo inizia cosí, da un lato, con la trasformazione della propria fede cattolica in cultura della vita; e dall’altro lato, ponendo la sessualità e la conseguente famiglia a fondamento centrale pure di tutta l’imprenditorialità: da quella del piccolo imprenditore a quella anche del grande capitale.
Il tutto, ben all’interno della grande Tradizione magisteriale della Chiesa (il Depositum fidei) oggi sottoposta, nel tentativo scellerato di rincorrere la follia acefala del mondo secolarizzato, agli strappi continui cattoprotestanti e onusiani del razionalismo illuminista. Anche da parte di alti prelati responsabili del cattolicesimo!
E questo, attraverso la ripresa di vecchie eresie (come il casuismo) o con nuove derive teologiche (come l’alternanza quasi settimanale verso lo sterile spiritualismo fatalmente subordinato dello statalismo moderno). Eresie e apostasie, queste, sempre più riduttiviste e devastatrici.

La dissennata letteratura contemporanea da strappare al razionalismo materialista e agnostico.   
La poesia, la narrativa romanzesca e novellistica – dopo essersi smarrite nel relativismo soggettivista e positivista – devono ritrovare anch’esse la loro sorgente vitale nella testimonianza cristiana del rapporto col completo reale: indipendentemente dalle molteplici e più o meno loro talentuose forme espressive.
In effetti, la letteratura detta moderna, anche seguendo il modello intimista e conforme alla piaggeria politicistica di certa Chiesa sedicente riformista, evita come la peste di parlare d’imprenditorialità operativa. Ogni narrazione si svolge “nello spettacolo della società e nella società dello spettacolo”, secondo la formula dei situazionisti francesi dell’inizio anni ’60. La ragione è molto semplice: per trattare il tema della produzione sempre nuova di ricchezza, occorre disporre di una analisi autonoma della crisi. Di una analisi originale e sganciata dalla totale scemenza scellerata, soprattutto dell’attuale potere e dell’establishment con i suoi media prezzolati e propagandisti giorno e notte. La cui ideologia antireligiosa e malthusiana impedisce letteralmente loro di capire, per esempio, che è dalla tragedia della denatalità, da due generazioni, che  dipende il crollo mondiale della domanda interna nei vari paesi, soprattutto occidentali o comunque sviluppati. Da cui la gigantesca penuria della produzione…
Ma se si vuole correre appresso all’acefalia del mondo, non si può essere evangelici e cristocentrici! Solo il rispetto scrupoloso e pubblico della legge naturale e di quella di Dio permette lo sviluppo armonioso della cultura e dell’economia!
Come quindi rendere possibile l’incontro salvifico con Gesù che è anche morto in croce ben pubblicamente e per mano del potere incredulo, se non si combatte attivamente nella quotidianità – soprattutto sul piano pubblico e politico – l’immenso e totalitario statalismo sistematicamente irreligioso e laicista?
Come poi sottrarsi ad una economia fallimentare propria del falso edonismo, perdipiù straccione, se non con una dimensione alacre tipica del sempre libero e piccolo imprenditore?

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