Imprenditorialità in famiglia (Novella)

  • Cara Genéviève, penso che hai scelto benissimo il tuo tirocinio lì a Birmingham anche per preparare la tesi di laurea. Credo pure che sei mesi non bastino. Dovresti ingegnarti per almeno raddoppiarne la durata. Non che ti serva molto oggi lavorare lì. L’unica cosa veramente interessante ed efficace è imparare la lingua bene. Lo sai, anche in Belgio l’inglese scolastico è pur sempre un mito: bisogna poterlo acquisire con almeno un anno o due sul posto, a condizione possibilmente di lavorarci, non solo in uno stage ma realmente. Pure con un lavoro umile ma retribuito perché utile e richiesto. Nel mercato! Vale a dire inserito socialmente in una attività connessa relazionalmente. Tra un lavoro altamente “qualificato”, come quello piuttosto solitario che stai facendo per la compilazione del nuovo dizionario specializzato francese-inglese, e – per esempio – uno di barista oppure di stiratrice in una ditta fornitrice di camice pronte dopo il lavaggio, scegli quello che ti permette di parlare di più con i tuoi colleghi e con i clienti. Resisti alla tentazione del cosiddetto prestigio professionale: sei ancora in piena formazione e non già in carriera.
    Ci potremmo sentire per telefono solo domenica sera dopo le 20.
    Un abbraccio, Félicien.
  • Caro Félicien, devi sapere che non ho avuto molto da scegliere: ho preso al volo questo stage altrimenti sarei forse rimasta a Bruxelles per altri sei mesi o più. Piuttosto pensavo a te – così concreto – che hai scelto il seminario: fatico a capirlo. Con quasi tutte le mie amiche e quelle di mia sorella che ti volevano fare la corte… Anche Juliette ha cercato di spiegarmelo, conoscendoti benissmo dal liceo.

Un caro saluto, Genéviève.

  • Cara Genéviève, prima di andare a dormire (qui in seminario, dovrei già essere in silenzio e al buio) ti rispondo brevemente. Oltre al Mistero che si è rivelato nella mia esistenza e di cui ti potrò parlare al tuo ritorno qui in Belgio, la mia scelta attuale di dedicarmi anima e corpo alla, diciamo, professione di prete è stata motivata da ragioni anche strettamente per me razionali e pratiche. In modo sintetico, posso dire: a) moltissime nuove professioni saranno inventate nei prossimi dieci-quindici anni; b) molte altre sparirano nella loro fatale obsolescenza; c) alcune altre, neglette, saranno relativamente rivalutate e rimesse in auge. Tra queste ultime, c’è quella di prete: ne sono convinto. Il perché sono stato scelto da questa vocazione consiste anche – seppur molto marginalmente – dal fatto che, da un punto di vista fattuale e corrente, viviamo in un mondo che da alcuni secoli, e in particolare da una cinquantina d’anni, la reificazione, la cosificazione generale, sta rendendo piatta e insulsa tutta l’esistenza. Penso dunque di trovarmi in un “mestiere” – se così posso dire – molto necessario ed anche indispensabile. Non solo per me.
    Un abbraccio, Félicien.
  • Caro Félicien, non credo di aver veramente capito cosa intendi particolarmente per “Mistero”, alla base della tua “vocazione” personale. Conto sulle tue spiegazioni per le vacanze di Natale: torno tra un po’ più di un mese. In ogni caso, mi sembra quasi di invidiarti: poter esercitare una attività realmente necessaria e pure richiesta – i preti ormai sono rarissimi – mi sembra un sogno. Io e Joseph non pensiamo ad altro: come inventarci un lavoro nuovo e innovativo, veramente indispensabile attualmente e in futuro. Dato per scontato che vorremmo creare una nuova azienda di quelle che che tu hai messo nella prima classificazione, non sappiamo veramente cosa fare. Lui negli Stati Uniti ed io in Inghilterra, cerchiamo principalmente una idea imprenditoriale originale e strategica. Non rimasticata o fotocopia di una di quelle già esistenti, spesso inutilmente. E che magari sono già in deliquescenza se non in fallimento. Non c’è nulla che ci interessi di più. Ti telefono appena dopo cena domani sera per parlarne a viva voce.

   Un caro saluto, Genéviève.

  • Cara Genéviève, aspetto la tua telefonata verso le 20. Abbiamo quasi una oretta, fino alle nove. Posso solo anticiparti un concetto che combacia esattamente, in modo simmetrico, con la vostra idea di totale innovatività della nuova ditta. Ci penso già da parecchio. In fondo, cosa è il lavoro? E questo non solamente per gli imprenditori, ma anche per un liberamente subordinato, per ogni operaio o impiegato, oppure per un libero professionista. Già nella Genesi, il lavoro è concepito come attività umana che aggiunge valore al Creato, sia sostanzialmente che nelle sua forma espressiva: nella sua necessità e bellezza. La vostra ricerca è già dunque lavoro. Si tratta di ricercare di cosa la Creazione – sempre in attuazione – necessita veramente. La sua prima caratteristica è l’indispensabilità. Se un lavoro è inutile o parassitario, meglio non farlo: è “peccato”, se mi passi l’espressione non solo Pensa ai molti milioni di funzionari in eccedenza in Europa!
    Ora però ti devo salutare.
    Santa notte, Félicien.

 

 

  • Cara Genéviève, il mio stage a Palo Alto finisce, te lo confermo, per Natale: finalmente ci potremo rivedere a Bruxelles. Ho bisogno di te. Ti voglio accarezzare… Devo raccontarti tutto. Vorrei che tu fossi già qui con me.
    Non solo nella Silicon Valley, ma in tutta la California c’è un fermento di attività creative da mozzafiato. Alcune, lo si vede subito o quasi, hanno il fiato corto. Sono falsamente avanzate. Come quelle che il mio boss mi ha spiegato e che sono fallite a conclusione della “bolla” del 1997-99. Sai quella detta informatica: molti falsi genialoidi dell’epoca pensavano di dominare il mondo con un computer e un telefono: erano convinti di montare attività molto redditizie con la vendita di qualsiasi prodotto o servizio via Internet. Bastava a questi entusiasti dal pensiero debole della globalizzazione – mi spiegava il mio capo – per lanciarsi in ogni start-up Anche grandi imprese caddero nella trappola. In pochissimo tempo, alcuni anni, verificarono che la globalizzazione allora in via di grande sviluppo non poteva bastare. Non era semplice vendere, per esempio, vino californiano molto buono, anche superiore a volte a quello francese: le uve della costa del Pacifico come pure quelle italiane sono migliori e, quando si fosse imparato bene a vinificare, il gioco della competizione è fatto, anche per la tradizione secolare vinicola francese! Occorre quindi oggi anche essere localizzati nei mercati target: come gustare un vino per corrispondenza prima di comprarlo? Ti puoi immaginare gli sfracelli di tutte queste nuove ditte (fantasma) fondate solo sull’ informatica…
    Tu sei ricca di famiglia, richiamami per telefono che ti spiego bene. Ho voglia di sentire la tua voce dal vivo.
    Ti amo, Joseph.
  • Parlo con Joseph? Ti abbraccio. Tanto. Anch’io non vedo l’ora di tornare a Natale a casa. Anche una settimana prima. Se poi l’anno prossimo resto qui a Birmingham, o meglio a Londra, potrai anche venire a trovarmi con l’eurostar in due ore, quasi da Liegi a Bruxelles e ritorno.
    Parlavo con Félicien per e-mail a proposito di quello di cui mi scrivevi per whatsapp. Questa sera parlo anche con lui col mio nuovo smart-phone. Mi diceva della sua “strana” vocazione, così gliel’avevo definita. Ma mi è parso sicuro, sicurissimo, di sé. È un tipo in gamba, del genere di mia sorella Juliette. Mi dà l’idea che la sua religiosità sia allo stesso tempo originale, non conformista o scontata. E molto pratica. Peraltro teme molto che il suo seminario di Namur venga chiuso a causa della “pensione” dell’arcivescovo Léonard la cui data è già scaduta. Ma la vera ragione non deve essere questa.
  • Si tratta di un seminario serissimo e molto rigoroso, nella grande Tradizione.
  • Infatti, teme che approfittino per chiuderlo, benché sia l’unico con una quarantina di seminaristi molto cristocentrici. L’arcivescovo Léonard lo ha fondato e, si dice che verrà soppresso dal nuovo primate, stile “Chiesa secolarizzata bergogliana”. Ma ormai Félicien, sarà già prete. Fai conto che mi ha detto che tutto il lavoro, di qualsiasi tipo e livello, altro non è che l’aggiunta di valore al Creato: la Creazione, per lui e per il nostro arcivescovo, continua sempre e gli uomini ne sono attivi collaboratori. In questo senso – ha detto – anche i nostri stage costituiscono già un lavoro, in quanto stiamo cercando attivamente cosa faremo realmente poi.
  • Anch’io ne sono certo. Non solo cosa faremo, ma come lo faremo insieme. Ho già più che una mezza idea. Mentre mi parlava, il mio boss, sulla bolla informatica in quanto mancante della localizzazione e solo fondata sulla globalizzazione, m’è venuta per la testa una bizzarra associazione a proposito di una parola nuova inventata proprio qui in California qualche anno fa, alla metà degli anni novanta.
  • Una parola nuova?
  • Sì , un neologismo ottenuto fusionando due termini: globalisation e localisation, in americano: glocalization, con la zeta. Un concetto semplice unificando quello di globalità, della visione globale, con quell’altro classico della eterna localizzazione, del fatto concreto che si è sempre situati da qualche parte nel mondo. E che ci si appartiene.
  • Non mi è molto chiaro…
  • Ecco, prova a pensare alla nostra madrelingua: il nostro francese. Per quanti sforzi possiamo fare, l’inglese sarà sempre una lingua acquisita e impietosamente estera, intrinsecamente per noi praticamente sempre imperfetta.
  • E allora?
  • Ora prova a pensare alla quasi totalità – praticamente la totalità – delle agenzie di traduzione e di attività multilingui ora situate in tutti i paesi del mondo.
  • D’accordo, lo vedo abbastanza.
  • Ebbene, come fanno queste agenzie ad assicurare ai loro rispettivi clienti che le traduzioni e gli adattamenti verso le lingue dei mercati che si propongono di conquistare siano precise, pertinenti e culturalmente adeguate?
  • Beh, basta far fare le traduzioni e i testi in copywriting da freelance situati nei mercati target: è sufficiente reperirli su Internet. Lo fanno tutti.
  • Ma chi controlla, verifica e corregge i testi fatalmente erronei di questi freelance o con strafalcioni commercialmente mortiferi? Fra l’altro siffatti freelance sono pur sempre dei possibili concorrenti.
  • Ma intanto sono generalmente onesti…
  • Purtroppo devi ipotizzare moralmente il peggio e, soprattutto, la consuetudine all’errore in buona fede. È un mestiere difficilissimo: si possono fare al limite anche una cinquantina di errori per riga. Del resto l’ISO 17100 per la traduzione di qualità certificata prevede un revisore di lingua madre titolato e identificato per ogni testo da consegnare al cliente!
  • Ah, non lo sapevo…
  • È solo con il concetto imprenditoriale di “glocalizzazione” che è possibile garantirlo: a condizione di disporre di una agenzia che garantisca la revisione interna per la sua lingua locale dopo la redazione o la relativa traduzione! Con una agenzia monolocalizzata in un solo paese si può garantire la lingua oppure le lingue realmente parlate nel paese di localizzazione: praticamente non più di due o tre, come la Svizzera o il nostro Belgio. Certamente non tutte le lingue parlate sulla Terra, come attualmente si millanta nella più tranquilla consuetudine.
  • Quindi?
  • Per cui, solo una agenzia di comunicazione multilingue che dispone di tante sedi localizzate nei paesi target di redazione o di traduzione, solo una agenzia cioè già glocalizzata, può autenticare, convalidare, lo slogan attuale delle agenzie comunemente definite “boites aux lettres” (caselle postali) senza alcun controllo eccetto la lingua parlata, o le lingue realmente parlate, nel suo paese: codeste agenzie hanno pure la sfacciataggine di autodefinirsi sistematicamente “all languages” !
  • Comincio a capire. Penso al francese e all’olandese come lingue della nostra possibile futura agenzia. Oppure al geostile fiammingo o al tedesco del nostro Cantone dell’Est, confinante con la Germania, dove si parla una perfetta lingua germanica, anche molto ortodossa e pura, perché rigorosa in quanto praticata in paese di frontiera.
  • In effetti. Ma, per esempio, per il cinese? Chi può concepire, produrre, controllare e verificare che la comunicazione scritta (e orale) possa essere veramente adeguata e pertinente rispetto alle esigenze legittime del cliente, se non una agenzia di pubblicità e/o di traduzione con controllo integrato e garantito, situata in tanti e corrispondenti paesi o mercati?
  • Per conseguenza una agenzia “glocalizzata”, come tu dici, in ogni paese! In Cina nel qualcaso.
  • Esatto, tante lingue prodotte e consegnate al cliente quante sono le filiali, le sedi glocalizzate nelle varie lingue. Così si può risolvere l’eterno problema del chi controlla il controllore: anche il revisore può sbagliarsi. Ma il lavoro almeno in tandem nell’agenzia glocalizzata risolve anche questo problema.
  • Se ho capito bene, sarebbe che noi dovremmo fondare una agenzia di questo genere, glocalizzata, in tante sedi quante sono le lingue promesse al mercato. Altrimenti, con una agenzia monolocalizzata, si potrebbe legittimamente, e onestamente, proporre solo la o le lingue del paese di residenza.
  • Certo, vedi che hai capito rapidamente! Noi potremmo solo verificare il nostro francese, oppure – con impiegati interni copywriter e traduttori fiamminghi o tedeschi – anche convalidare l’olandese e il tedesco. Questo con garanzia professionale onesta come pure con la certificazione planetaria ISO
  • E per tutte le altre lingue?
  • Ciascuna delle altre agenzie sotto la nostra futura marca, situate nei vari paesi, garantirebbero allo stesso modo per ognuna delle altre lingue colà localmente parlate e scritte.
  • L’idea, ancor più che affascinarmi, mi sembra – di primo acchito – alquanto utopistica, data la vastità della cosa. Non mi meraviglia che nessuno l’abbia realizzata veramente.
  • Pensaci a fondo, ne riparleremo, soprattutto a Natale.

 

 

 

Genéviève, prima di telefonare la sera a Félicien, suo curioso amico seminarista, era tutta eccitata dall’idea illuminante ricevuta dal fidanzato Joseph, malgrado i numerosi dubbi. Subito si era messa in moto per cercarne le obiezioni e le pecche. Così si chiedeva come fare non solo per le diverse lingue ma pure per i geostili: il brasiliano piuttosto che il portoghese; il croato piuttosto che i serbo; lo spagnolo iberico piuttosto che l’argentino… Oppure, come verificava ogni giorno nel suo lavoro di compilazione del dizionario traduttivo francese-inglese, con il geostile americano rispetto a quello inglese.
E poi come trovare i partner in tutto il mondo? E quanto costerebbe la realizzazione di tutto ‘sto progetto così smisurato! E come potrebbero, lei e Joseph, raccogliere le energie per far fronte a cotanta realizzazione?
Dopo qualche riflessione, era già giunta a concludere che si trattasse di una chimera. Ma subito dopo, la bellezza e la razionalità del progetto tanto logico, la ri-seducevano nuovamente. Fino a riconsiderare il tutto in altalena positiva o pessimista fin alla più pura negatività: cosa ne sapeva lei dei servizi linguistici e del marketing pubblicitario? Stava facendo ben altro: preparando una tesi di laurea in letteratura russa sul ”Contributo del formalista Vladimir Propp nella narratologia delle fiabe”!
Epperò, dopo molti giorni di disamina e di ricerche anche disordinate, questa della glocalizzazione della comunicazione multilingue era l’unica che aveva resistito, almeno nella logica formale, alla prima serie di critiche che era abituata ad attribuire ad ogni ipotesi. Vedeva anche, in un settore apparentemente abbastanza primitivo e inadeguato alla sua teleologia di sviluppo, un apporto certo di innovazione concreta e necessaria.
Ma quanto lavoro di progettazione, costruzione, finizione e, soprattutto, di tipo marketing!
Per non parlare dei molti e radicali problemi economici in investimento a rischio. Aveva qualche nozione delle cosiddette “Memorie di traduzione” di cui aveva utilizzato inizialmente il funzionamento all’università, ma solo sul piano pedagogico. Certo Joseph doveva saperne molto di più in quanto laureato in interpretariato (e traduzione) per l’inglese, nederlandese e spagnolo verso il francese.
Lei però aveva studiato anche il tedesco e il russo oltre all’olandese imparato soprattutto da suo padre Jan che aveva, già prima, portato anche sua sorella Juliette ad un livello molto alto di padronanza della prima lingua parlata in Belgio.
L’idea che la sua coppia con Joseph possedesse sei lingue abbastanza o molto sciolte in bocca, tra cui le tre parlate in Belgio sia da parte di lei che di lui, la incoraggiava alquanto. Ma la dimensione prevalente nella cosa rimaneva piuttosto in un bilancio nebbioso pieno di dubbi.

 

 

 

  • Caro Félicien, eccomiti. Ti ricordo che qui sono ancora le sette. Ho appena parlato, con la differenza dei molti fusi orari (là è ancora nattina), con Joseph che è ancora per poco a Palo Alto, per terminare il suo stage già prima di Natale. Così ci potremo vedere. Ma la cosa importante è che mi ha messo a conoscenza di tutto un progetto che assolutamente devi conoscere e a cui vorrei tu fossi associato, almeno intellettualmente e moralmente.
  • Un progetto?
  • Sì di lavoro, anzi di imprenditorialità. Ma ne parleremo durante le vacanze di Natale: stiamo coltivandone, per ora, i nostri molti dubbi.
  • Rientro anch’io in famiglia, ci vedremo senz’altro. Potremmo per l’appunto anche parlare degli imprenditori e della loro funzione centrale nella storia. Come avrai compreso, l’idea mia di imprenditorialità non è solo economica. A dire il vero, vedo la storia come un gran Lego da costruzioni in cui convergono e confliggono molte progettualità più o meno religiose. O, come sta succedendo da quasi tre secoli, progressivamente, in un gigantesco progetto demente e ormai esplicitamente cosciente di irreligiosità. Dio è stato dichiarato morto e in via di espulsione dal nostro mondo, dal mondo di tutti gli uomini e dalla civiltà.
  • Mi par di capire che siano pure queste le premesse e le motivazioni della tua vocazione. Ma quali sono i suoi rapporti con l’evento del “Mistero” di cui mi dicevi?
  • Per me non esistono due realtà fra loro separate, una spirituale, trascendente e intima, ed un’altra detta tangibile, cosiddetta concreta, visibile e storica. L’incarnazione di Gesù fino alla croce e alla Sua resurrezione ha colmato questa apparente discontinuità che solo la diabolica vanità dell’uomo, detto moderno e autonomo, vuole caparbiamente affermare. Egli vuole sostituirsi a Dio dimentico della sua evidente creaturalità. Dunque del suo Creatore che lo ama immensamente più di quanto lui stesso si odia e si “celebra”, anche nella sua utopica e vuota impotenza: l’apparente potenza scientifica e tecnologica illude, ormai, solo gli sciocchi. Che però sono tanti. Così la nostra contemporaneità, o almeno la sua maggioranza scientista, sembra aver smesso di “Quaerere Deum”, il Cercare Dio dei monaci medievali. I quali, così facendo, crearono la civiltà occidentale. Anzi si giunge ora laicisticamente a volerlo scacciare dalla società e dalla storia per, al più, relegarlo nell’intimo e nelle sagrestie.
  • Eppure si parla sempre di Medio Evo oscurantista!
  • Altro che oscurantista. Non solo nei monasteri si è salvata tutta la civiltà antica nello sfacelo di distruzione dell’impero romano, ma si è preparato, anche tecnologicamente, lo splendore del Rinascimento. Altrimenti tutta la profusione e la bellezza del Rinascimento europeo dovrebbe essere concepito come un coniglio che esce dal cilindro (senza avercelo messo preventivamente dentro)!
  • È passato anche nel linguaggio comune che il medioevo è buio…
  • Ignoranza, solo ignoranza ideologica di oltretutto obsoleta sinistra (prevalentemente) che è riuscita in quasi due secoli a manipolare la storia e le coscienze.
  • E la tua vocazione?
  • Il Mistero della mia vocazione, come quella di ogni uomo, si situa proprio nell’intersezione del verticale con l’orizzontale dei due legni su cui è stato inchiodato Cristo. Quello che va verso la profondità del Cielo e quello che rischia continuamente di cosificarsi nella superficie senz’anima di una modernità concretamente utile ma spesso senza senso. Le due realtà sono distinte ma non separate: inchiodate!
  • Queste due dimensioni non solo vengono ora continuamente separate, ma quella non immediatamente visibile, la verticale come dici tu, è pure continuamente soppressa. Almeno come tentativo perenne.
  • È vero, ma ad impedire questo riduzionismo assurdo ancor più che mostruoso ci pensa – almeno in parte – il lavoro: c’è un chiodo, un bullone, dato e costituito dall’inevitabile lavoro umano, quello stesso che vi anima, ci amima, da Palo Alto a Birmingham e a Bruxelles, che ricongiunge tutto fino a riproporre il senso e respingere comunque l’alienazione sempre incipiente. E il santo e quotidiano lavoro è il principio unificante più universale che esista. Cerca di ricostruire e di capire come la mia vocazione, apparentemente lontana, sia così intrinsecamente legata e simile alla vostra. Anzi identica nella sua essenza.
    A proposito di santo e quotidiano lavoro, avevo dimenticato di dirti che ho incontrato, la settimana scorsa, Juliette, tua sorella maggiore, ad una riunione cittadina di insegnanti dove mi ha presentato, alla fine, il suo fidanzato che era passato a prenderla in macchina. Un italiano: si chiama Luca, come l’evangelista, ed è grafico, anzi un web designer come ci ha tenuto a precisarmi in una grossa “boîte”, una ditta di siti web. Ma mi ha detto che vuole mettersi in proprio. Lo conosci?
  • Non ancora personalmente, ma Juliette me l’ha già un po’ descritto.

 

 

 

Intanto Joseph aveva già spedito a Genéviève quattro link di forum e di siti centrati sulla “glocalization” tra cui anche uno in francese. Nel giro di pochissimi anni, nel 2000, si era rapidamente giunti su Internet alla milionesima occorrenza di questa nuova parola nelle sette lingue principali. Da una un termine californiano si era passati, in molti campi industriali e commerciali, alle traduzioni del concetto diventato così rapidamente universale, anche se ancora “confidenzialmente”. Ma già mondiale. Genéviève aveva perfino anche un po’ trascurato il suo lavoro sulla compilazione del dizionario specializzato per seguire quasi convulsivamente le nuove applicazioni pratiche del neologismo diventato già molto emblematico, sul piano culturale. Tanto era l’entusiasmo suo sul concetto, quasi già primo avanprogetto. Aveva  telefonato varie volte al fidanzato sulla cosa riversandogli tutti i dubbi e le obiezioni che aveva trovato più o meno giustificabili. Soprattutto quelli economici. Anche perché la sua famiglia era molto agiata, ma non veramente ricca. Dal Congo, lo Zaire attuale dove Juliette era anche nata, avevano dovuto partire in fretta con pochissimo, nella furia detta anticolonialista e reattiva anche di altri paesi africani. Epperò, nell’animosità politica e ideologica, era rimasta in famiglia uno spiccato spirito imprenditoriale di tipo sorgivo che aveva trasformato indelebilmente tutta la cultura non solo economica di ogni suo componente. Anche per Juliette che era diventata insegnante, classicamente funzionaria statale. Ma che aveva preservato un atteggiamento imprenditoriale nell’esistenza, visti soprattutto gli standard sindacaleggianti e subordinati del suo privilegiatissimo settore. Senza quindi degradare nella generalizzata tecnocrazia burocratizzata dell’insegnamento, non solo belga e tipicamente francofono.
Di cosa avevano parlato al telefono Genéviève e Joseph? Principlamente di tre temi: del sistema più diffuso e più economico al mondo globalizzato per il partenariato commerciale, il franchising; del programma informatico dedicato alla registrazione dei testi e delle sue traduzioni per conservarne l’omogeneità delle terminologie tecniche e specifiche; e, infine, dell’ego notoriamente smisurato dei traduttori e revisori per cui ognuno si considera solipsisticamente unico valido distruttore della perizia degli altri colleghi, inevitabilmente ritenuti quasi sistematicamente incapaci professionalmente.
Tre ordini di problemi professionali che avevano aggravato il quadro critico della glocalizzazione e, allo stesso tempo, ne avevano prospettato nuove soluzioni assolutamente inedite nella storia dell’organizzazione industriale. Genéviève ne era sia entusiasta che perlessa se non proprio piuttosto depressa. Ad esempio, era stata incoraggiata dall’idea del franchising internazionale, difficilmente realizzabile, che permetteva però di diventare multinazionale anche per una piccola impresa che non disponesse di enormi capitali di partenza: era il loro caso!
E poi l’organizzazione in franchising presentava una corrispondenza formidabile con la struttura multicentralizzata propria delle varie lingue con la ripartizione equa e spontanea delle responsabilità economiche…
Dal punto di vista delle cosiddette Memorie di traduzione, c’era da risolvere il grosso problema della centralizzazione di dette memorie in modo da attribuire potere al franchisor rispetto ai franchisee e, allo stesso tempo, di distribuirlo in rapporto all’importanza delle diverse lingue e – soprattutto – rispetto al lavoro effettivamente svolto da ogni sede glocalizzata…
Quanto al problema, infine, del solipsismo naturalmente individualistico dei traduttori e dei revisori, le soluzioni prospettate sembravano molto insufficienti. La sola soluzione professionale globale e definitiva era, per l’appunto, quella finale dell’agenzia glocalizzata per la lingua e il suo geostile specifico. Solo l’economia e l’intrinseca gerarchia economica della stessa sede glocale può risolvere, in effetti, definitivamente il problema cruciale dell’individualismo antiprofessionale. Quello che, prevedendo l’intervento finale chirurgico sul testo, permette di sedare l’aggressività patologica dei linguisti nei confronti dei loro colleghi… Problema comunque aperto, da approfondire insieme a quello delle Memorie.
– Vedi Joseph, questa settimana dopo Natale, oltre che introdurci all’anno nuovo, mi ricorda l’evento essenziale per tutta la storia degli uomini e per la loro attualità: la nascita e l’avvento del Salvatore. L’avvenimento incommensurabilmente più importante per tutta l’eternità umana.
Quest’anno però ho potuto scoprire direttamente una cosa per cui sono sono rimasto quasi folgorato a causa della sua immediatezza cognitiva. Mi ha ricordato la mia ottusità, la scarsità dell’intelligenza anche di tutti i nostri contemporanei. Ve ne racconto, a te e a Genéviève, solo l’essenziale in trenta secondi. Sono stato invitato quest’estate da un gruppo di cattolici ad una vacanzina a Norcia, nel centro Italia, nel borgo medievale dove è nato san Benedetto, uno dei patroni d’Europa, forse il più importante con san Francesco (anche lui di Assisi, un paese vicino, appena qualche kilometro e qualche secolo dopo). Ebbene, ho scoperto che la sua famosa “Regula”, quella che è stata alla base di tutto il movimento monacale che ha fondato e rifondato la civiltà occidentale, la nostra matrice culturale dell’Occidente, impone ancora oggi la sospensione dal lavoro al monaco che abbia commesso una trasgressione.

  • Cioè non lo fanno lavorare malgrado la regola d’oro “Ora et Labora”?
  • Esatto, Genéviève. Il peccato commesso viene considerato paralizzante e indegno per poter lavorare!
    Di solito, si pensa oggi al lavoro come una attività intrinsecamente tediosa, punitiva, persino degradante o umiliante nella sua naturale faticosità. Da cui il rifiuto endemico del lavoro fino alla scelta della falsa e alienante ludicità.
    San Benedetto, invece, considerava il lavoro allo stesso livello supremo della bellezza della preghiera. La sua perfezione tendenziale, per ogni mansione produttiva anche modesta, quindi per tutti i tipi di lavoro, non poteva essere avvicinata in uno stato di disordine e di indisciplina personale. Di peccato, dunque.
  • Ma come si è giunti – intervenne Joseph – a rovesciare questa visione nobile del lavoro fino all’attuale suo rifiuto larvato, proclamato implicitamente ed anche esplicitamente, nella nostra civiltà sedicente ludica da parte delle classi politiche e dai sindacati?
  • Tutti i grandi lavoratori, i massimi operai della nostra epoca, divenuti ormai culturalmente rari, lo fanno senza troppo spiegarselo. Spesso la cosa viene definita caratteriale e non ontologica. Mi spiego, la si riferisce alle “strane” caratteristiche innate e personali di alcuni. E non ad una generale e sacra caratteristica generale dell’umano. È per questo che sono particolarmente attirato dalla vostra ricerca, così giovani e già coniugati, anche se non ancora sacramentalmente, alla creazione della vostra impresa.
  • Ma cosa fa che questi “alcuni” – si inserì Genéviève –, penso anche a me stessa, sono stati toccati da questa passione e non altri. Anzi, non la maggior parte?
  • Beh, c’è la questione dei talenti personali, rispose Joseph…
  • Non solo per i talenti. Il monaco benedettino statunitense che ci spiegava alcuni aspetti della loro regola a fondamento della nostra civiltà, non solo occidentale ma universale, sottolineava il fatto che tutto nella vita avviene per grazia. La constatazione e l’accettazione di questa Grazia, gratuita naturalmente, genera una cultura religiosa che “religa”, che cioè riunisce e lega il disegno divino ai temperamenti personali, alle vocazioni individuali che liberamente aderiscono alla loro creaturalità. Mi sembra che ne descrivesse anche il processo opposto: dalla religiosità, dal senso eligioso alla alacrità.
  • E tutti quelli che non riconoscono la creaturalità e quindi l’esistenza del Creatore di tutta la vita e di tutte le cose?
  • Hai descritto, Genéviève, l’insorgere del peccato sociale e storico oggi tanto diffuso.
  • In effetti, mi pare che è il fatto di rifiutare la propria creaturalità, credendosi illimitati e falsamente padroni del proprio destino per arbitrio positivo, quello che rende tragicamente e paradossalmente subordinati se non anche schiavi, schiavi moderni e volontari.
    A Palo Alto, in California, ce n’erano a bizzeffe. Tra i lavoratori adulti e soprattutto tra noi giovani, la maggior parte sembrava credere duro come ferro che con la nostra libertà possiamo definire e decidere tutto e su tutti. È una questione di vera e reale libertà!
  • Infatti non a caso Gesù è volontariamente morto, in accordo con il volere di Dio Padre, sulla croce prima di risuscitare: per la libertà, la nostra libertà. Giust’appunto. Capite allora il fondamento della mia “strana” vocazione sacerdotale, almeno nei suoi contorni periferici?
  • Non proprio completamente, interloquì ancora Genéviève.
  • Cos’ha fatto che voi due vi amiate? Che malgrado tutto stiate appropriandovi di una progettualità imprenditoriale e che stiate combattendo contro tutte le esigenze e gli ostacoli nella concretizzazione riuscita della vostra ditta? C’è, evidentemente, un che di mistero che evidentemente vi attanaglia. È il Mistero della vita per tutti indistintamente, a cui si può obbedire constatandolo; oppure ci si può ribellare, anche implicitamente.

Si salutarono dopo la Messa del giorno di santo Stefano al caffé non lontano dalla cattedrale di san Michel e santa Gudule. Si erano anche detti con chi avrebbero passato il Capodanno e le varie visite che in quel periodo – come dappertutto – ci si scambia tra famiglie e amici.

 

 

 

Era Juliette a voler incontrare rapidamente Genéviève col suo giovane fidanzato Joseph allo scopo, soprattutto, di presentar loro Luca, il suo futuro sposo italiano. Juliette era già entrata nell’età in cui le ragazze iniziano a diventare misteriose sulla loro reale età. Più che trentaduenne, era felicissima di essersi legata da qualche mese con Luca il quale stava giungendo – a sua volta – alla quarantina: ormai già uomo fatto e “vissuto” col solo rammarico più ricorrente di non essere riuscito a costruirsi la sua impresa personale di  web design e di publishing. Reduci entrambi da esperienze sentimentali sostanzialmente fallimentari, si erano incontrati su una base amorosa però molto più razionale e meno spensieramente superficiale e sentimentaloide rispetto ai loro passati. Soprattutto Juliette era entusiasta della sua conquista “italiana” in Luca. Anche la sua migliore amica, la marchigiana conosciuta ormai da otto o nove anni in tirocinio a Bruxelles, Franca, aveva molto gradito la conoscenza di Luca, due mesi prima a Bruxelles benché fosse veneto trevisano di origine. Avevano subito legato anche per la loro comune passione per il buon vino rosso e per il fatto che, il giovane italiano, si era strappato alla sua condizione “incestuosa” uniculturale divenendo anche poliglotta.

  • Mio padre mi ha portato a Bruxelles in famiglia che avevo quattordici anni: era diventato qui funzionario CEE. Non avendo nessuna passione per gli studi, mi iscrissi dopo due anni (periodo in cui imparai a parlare francese e un po’ di fiammingo quasi da principiante brusseleir) alla scuola di grafica alla Cambre. E, tre anni dopo iniziai a lavorare già su McIntosh, su schermo – come si diceva ai tempi – “senza colla e forbici”. Se i colleghi anziani avevano mestiere, ero modernamente più veloce…
  • Interessante, molto interessante. Genéviève ed io abbiamo il progetto di montare una impresa di comunicazione multilingue di tipo “glocalizzato”: se la cosa potrà interessarti te ne parleremo.
  • Certo che mi interessa. M’è stato più facile imparare bene il francese e i rudimenti dell’olandese per inserirmi socialmente: giocavo anche in una squadretta di calcio aziendale come punta di attacco che partecipava al campionato dell’ABBSA (i dilettanti). C’erano francofoni ma pure fiamminghi e bilingui bruxellesi (i brusseleir): i nostri dialoghi – soprattutto alla terza metà tempo di birra – erano almeno in tre ligue, con l’inglese. Ora sono vecchi ricordi. Ormai tutti mi considerano belga, dopo che ne ho anche il passaporto, ora che si è fatto l’accordo tra Belgio e Italia sulla doppia nazionalità. Avrò cambiato almeno una mezza dozzina di “boîtes”, d’imprese grafiche o pubblicitarie. Ma da qualche anno ho cercato di partire con una una nuova mia ditta, in società. Non ci sono ancora riuscito: è difficile trovare oggi, con la crisi che non finisce mai, soci molto determinati. Vorrebbero, ma non possono, dicono senza mai convincermi veramente. Io non mollo, ci riuscirò, ne sono certo.
  • La crisi economica di cui parli – intervenne Joseph – durerà ancora moltissimo. Non è una vera crisi, si tratta di una gigantesca depressione causata dal fatto che da mezzo secolo non si fanno più abbastanza bambini. Neanche la metà di quanto si dovrebbe naturalmente generare. Circa due miliardi di non nati negli ultimi cinquant’anni. E la mostruosità continua. Così, per mancanza di domanda detta interna, c’è una colossale penuria: si è voluto ribellarsi, per edonismo, alle leggi naturali dello sviluppo e a quelle di Dio? Ora e domani se ne pagano le disastrose conseguenze: naturalmente.
  • E allora cosa facciamo? Rispose Luca.
  • La maggior parte dei nostri consimili si deprime e, in maniera scervellata, continua imperterrita in modo fatalista. Chi come noi vuol comunque sperare e creare qualcosa di autonomo ha solo la possibilità di capire veramente cosa è successo e continua a succedere. E, da un punto di vista pratico, ha solo la possibilità di battere la concorrenza attuale e futura nel campo scelto, con l’innovazione e la fede.
  • Sì ma cosa è successo? Chiese Juliette.
  • È successo che l’uomo moderno ha concluso il suo percorso iniziato da alcuni secoli, diciamo con l’illuminismo, per ribellarsi a Dio e alle leggi naturali. Per cui non c’è altra strada che quella di ridiventare, sempre progredendo, delle creature e “Quaerere Deum”, ricercare Dio. Da lì si potrà ancora sperare tutti in un futuro apparentemente pieno ma colpevolmente sfuggito.
  • E preservare così, col nostro lavoro e la nostra visione, il seme della speranza, aggiunse Genéviève.
  • Non sono certissimo che sia come dite voi, Joseph e Genéviève, ma la vostra posizione corrisponde in ogni caso alla mia volontà. Del resto, non ho alcuna obiezione al vostro discorso sulle ragioni malthusiane della crisi. A dire il vero, non ci ho mai pensato veramente e a fondo. Peraltro nessuno fa un discorso serio sulla denatalità in rapporto alla crisi, quasi ne abbiano il terrore. Purtroppo tutti affermano da anni una ripresa che realmente e puntualmente non c’è. Anche gli esperti che hanno annunciato inutilmente molte riprese e ripresine economiche sono diventati piuttosto pessimisti.
  • Certo che ci sono mille altre motivazioni più o meno valide o false, ma tutte marginali, conseguenziali e pure irrilevanti rispetto a quella strutturale della denatalità, della mancanza molto pratica di “clienti” inevitabilmente inesistenti, disse con molta convinzione Joseph rivolto a Luca e a Juliette. I quali, evidentemente, e come generalmente in tutti i paesi occidentali, erano alquanto a digiuno di questa tematica primaria.
  • Ho letto e son venuto a conoscenza in agenzia della svolta di molti scienziati anglosassoni a riguardo delle assurde teorie antinaturali di Malthus. Come per esempio la sua idea che la Terra non poteva nutrire la popolazione della sua epoca, quando questa era solo un quinto di quella attuale… Oggi, fra l’altro, l’umanità ha già prodotto una volta e mezza la necessità di nutrizione della popolazione mondiale: il solo problema che c’è ancora è quello della sua ripartizione equa e quello dello spreco inaudito.
    Ma non ho ben afferrato il legame professionale tra le mie attività web e grafiche con la vostra nuova impresa di editing multilingue.
  • Hai ragione – rispose Genéviève – ma non è che non hai afferrato: non ne abbiamo parlato ancora per nulla. Ma ora vorrei farvi notare che siamo in ritardo per la cena di famiglia a casa nostra, con i nostri genitori che saranno già in ansia ad aspettarci.

Al che partirono in fretta verso casa dal bistrot “La brouette”, in italiano La carriola, in quanto antica maison di rappresentanza professionale degli antichi trasportatori di vettovaglie. Essa è situata nella Grand’Place di Bruxelles, la più bella piazza de mondo secondo i francesi di cui è molto conosciuta la loro ritrosia in complimenti per i paesi stranieri, alquanto sciovinisti come sono. Con la macchina di Juliette, i nostri quattro giunsero rapidamente a casa dei genitori delle due sorelle, l’una insegnante e l’altra ancora stagista a Birmingham.

 

 

 

Alla vigilia di Natale, Juliette aveva scritto una lunga e-mail per gli auguri natalizi e di buon anno all’amica italiana, Franca nelle Marche. Dopo averle confermato il suo entusiasmo nell’accettare l’invito come testimone del  matrimonio col suo giardiniere Roberto, le si era abbandonata in una confessione sulla sua delusione ripetto alla professione di insegnante.

  • Devi capirmi bene, Franca: per me l’insegnamento rimane pur sempre il più bel mestiere del mondo. Forse puoi immaginare quale suprema soddisfazione sia per me poter trasmettere il sapere a dei ragazzi che si stanno formando e forgiando nella loro attualmente prolungata adolescenza. In effetti, le ragazze dispongono di una maturità intellettiva di gran lunga precoce e diversa rispetto ai maschi. Comunque la loro formazione globale va oltre anche al tempo della laurea. Io mi occupo di loro – come tu sai – dai quindici ai diciannove anni circa. E, perdipiù, insegno letteratura francese, compresa quella moderna: forse considerata, abitualmente, la più ricca al mondo. Non solo ho un orgoglio ma anche un piacere quasi fisico ad insegnare loro. E questo, tenendo ben conto che, contrariamente a moltissimi miei colleghi, penso che i detentori e i veri responsabili dell’educazione dei giovani siano i loro genitori: sia costituzionalmente che legittimamente sul piano della libertà di civiltà.
    Ma allora in che consiste la mia delusione?
    A causa di due punti chiave: quello dell’irresponsabilità e dell’incapacità generale sul piano pedagogico di detti genitori relativamente ai loro diritti e doveri di educatori; e quello simmetrico degli insegnanti divenuti generalmente preda di una ideologia nichilista di propagatori attivi di ciò che, a livello europeo, è stato definito il “pensiero unico” del riduzionismo culturale ateista. Così la scuola è diventata lo strumento di fatto più potente – con la televisione e l’industria del divertimento – di diseducazione giovanile nella contemporaneità.
    Della cosa posso solo vergognarmi – sul piano corporativo – al più alto livello: si è sempre corresposabili con la propria generazione. Ritrovarmi scissa nel giudizio tra la mia vocazione personale rimasta intrinsecamente intatta nella sua operatività funzionale e l’esito, per me incredibile quando ho iniziato la carriera, sulla reputazione ahimé professionale di tutto il mio settore, mi rende ora molto infelice.
    Del resto, penso che in Italia – sebben in modo meno grave che qui in Belgio – sia sostanzialmente la stessa cosa. Spero potertene parlare prima del tuo matrimonio a metà gennaio. Arriverò giù da te verso il 10 del nuovo anno, in ferie preordinate.

Un caro abbraccio e Buon Natale a tutti voi, Juliette.

  • Cara Juliette, rispondo alla tua e-mail in un clima di felicità e di festa così come mai ho potuto sperimentare. Naturalmente mi sento in totale accordo con quanto dici.
    Anzi, proprio in quanto sia radiosa del mio matrimonio e del viaggio di nozze che faremo in Terra Santa, condivido la stessa tua analisi della crisi culturale della stragrande maggiornaza delle popolazioni internazionali. Su tutti i piani. Ormai, non ci resta – come sempre – che convertirci di continuo, testimoniare pubblicamente e pregare.
    Del resto chi di noi non è corresponsabile di questa aridità miscredente che noi stessi abbiamo più o meno sostenuto e sviluppato?
    Io e Roberto, il mio futuro sposo, ci consideriamo baciati dalla grazia che gratuitamente è scesa su di noi: fino a pochi mesi fa vivevamo entrambi molto nell’incoscienza supeficiale dell’ideologia che tu denunci e che mio suocero definisce qui “lobotomizzata”. I disegni del Creatore ci sovrastano e sono smisurati rispetto alle nostre capacità e volontà. Possiamo solo abbandonarci alla sapienza della trascendenza misteriosa della Chiesa mostrando tutta la nostra fede e più: ecco anche perché siamo lieti e contenti pure del nostro viaggio a Gerusalemme sulle orme del Cristo sempre vivente.
    Anche tu, mi pare, puoi essere felice della tua continua testimonianza pubblica e personale che prodighi quotidianamente nell’alquanto sgangherata commissione pedagogica diocesana di Bruxelles. Puoi essere anche appagata dal tuo fidanzato italiano, ormai diventato pure belga. Molto più di quanto sia vissuto in Italia. E, soprattutto, puoi essere certa dell’indicibile forza della Chiesa eterna malgrado l’evidente smarrimento nella nostra epoca che si riflette nella sua vita.

Ti aspetto tra due settimane!

Buon e santo Natale a te ai tuoi, Franca.  

 

 

 

Fu Luca, il meno giovane del quartetto ad invitare appena tre giorni dopo il loro incontro al bistrot, il rimanente terzetto al ristorante. Dovevano riprendere il loro discorso bruscamente interrotto per la cena nella futura grande famiglia che stavano costruendo. Si ritrovarono ad appena una cinquantina di metri dalla Grand’Place, alla “Taverne du Passage”, tipico grande ristorante situato nella storica galleria più antica d’Europa. Cucina segnatamente bruxellese con piatti tradizionalmente della cultura contadina fiamminga e quelli classici francesi o francofoni. La questione rimasta in sospeso era il rapporto tra le attività linguistiche e multiligui con quella grafica e di siti web. Già Luca e Juliette avevano capito le strette implicazioni fra le due attività ormai sotto gli occhi di molti. L’avvento dell’informatica aveva già trasformato i mercati della traduzione, della grafica e della pubblicità da una quindicina d’anni. La tendenza era ed è quella dell’integrazione: non esiste più o quasi pubblicità unilingue e nemmeno attività traduttiva isolata da quella informatica e grafica. Le tre-quattro produzioni, da distinte e separate che erano, si stavano integrando per ragioni evidenti di rapidità esecutiva e, soprattutto, di economia di scala: tempo e denaro.

  • Dove il tempo è denaro, aggiunse Genéviève.
  • Vedi Luca, chi si dedica alle formazioni linguistiche non segue quelle particolarmente informatiche, né tantomeno grafiche. Perfino le agenzie di pubblicità devono riposizionarsi con dipartimenti web design e telemarketing, disse Joseph.
  • Questo l’ho visto anch’io in tutti questi ultimi anni in cui ho cambiato agenzie, oppure sono stato costretto a cambiarle. Ora ho capito che tu e Genéviève vorreste propormi di associarmi a voi…
  • Ma non possiamo cominciare subito sul mercato: abbiamo più di sei mesi per preparare tutto. Nel frattempo tu continui a lavorare come infografico nell’attuale agenzia; Genéviève finisce il suo stage per meglio imparare l’inglese; e io a pieno tempo, con te a part-time, ad occuparci del finanziamento, della fondazione amministrativa, di tutta la logistica, del lancio pubblicitario e marketing.
  • Praticamente potremmo iniziare ad attaccare i mercati, in modo operativo per settembre.
  • Saremo già pronti prima di settembre, con la prima campagna, comprese le relazioni pubbliche già avviate. Raccimoliamo con urgenza soldi e prestiti. E, soprattutto, Genéviève e Juliette dovranno convincere i nostri suoceri ad entrare in società finanziaria con noi operativi, osservò.

– Porte aperte: il problema finanziario è già quasi risolto. Papà e mamma sono praticamente pronti ad implicarsi. Sono pensionati e non vedono l’ora di cambiare vita continuando a viverla in modo attivo, notò Juliette. Loro chiedono solo che noi facciamo bene la struttura associativa in modo che sia solidamente sostenibile a lungo termine. E poi, anzi contemporaneamente, pretendono che regni una fiducia reciproca propria di una famiglia cristiana indistruttibile, compresa la loro posizione di sostegno non solo economico. Sono ancora in buona salute e validi con una grossa esperienza internazionale. È vero che non sono veramente ricchi, ma son disposti anche a rinunciare – se necessario – anche a loro agiatezze a vantaggio della nuova ditta. Le possibili difficoltà non li spaventano: ne han viste già delle belle, anche in Congo dove sono nata. Quello che temono è la fragilità della famiglia detta moderna piuttosto spappolata che tiene poco di fronte alla complessità e alla scabrosità del nostro mondo nichilista. Naturalmente fondano su Genéviève e me come collante naturale della cosa.

Il tema della conversazione si allargò rapidamente a quello dello statalismo e della Chiesa belga.
Luca mise in evidenza che ormai, con un milione e seicentoquarantacinquemila funzionari statali (su una popolazione di 11 milioni di abitanti!) si era raggiunto il sinistro record mondiale di quasi uno statale per lavoratore privato! Gli elettori, alle ultime elezioni, avevano mandato a casa il partito socialista dopo decenni di loro governi dissennatamente statalisti, compreso quello del suo “connazionale” Di Rupo. Ora c’è il governo con a capo il “liberale” Michel che però “non ha risolto un bel fico secco”. La radicalità necessaria di una politica veramente liberale, quand’anche fosse applicata, richiederebbe comunque decenni di risanamento. Ma chi ne ha il coraggio elettorale? Così si continua a gestire e peggiorare il prolungamento fatale della crisi. Le tasse, con il costo colossale di cotanti statali e la diminuzione inevitabile delle contribuzioni a causa della persistente crisi economica, non possono che aumentare ancor più.
Joseph, a sua volta, era giunto a parlare della vita della Chiesa dopo il pensionamento del rigoroso arcivescovo Léonard. Nominato da Benedetto XVI, contro il parere dei media tutti tenuti in mano da laicisti e socialisteggianti giornalisti subordinati al potere detto “progressista”, era stato sostituito, alla sua età pensonabile di 75 anni, da Papa Francesco con un nuovo primate, il vescovo De Kesel. Come il pontefice sta abitualmente facendo, con un suo sostenitore: a supporto, anche di punta, della sua linea sostanzialmente irreligiosa a giorni e opzioni alterni. Il nuovo arcivescovo, seguace del cardinal Danneels, noto complottista alla testa del gruppo “progressista” detto del San Gallo, con alla testa i cardinali tedeschi Kasper e Marx, è stato – infatti – subito e inopinatamente nominato anche lui cardinale contrariamente al suo predecessore detto “tradizionalista”. Tutto cioè nella tendenza “bergogliana” della Chiesa catto-protestante che corre verso l’obiettivo della linea religiosa del “successo” mediatico alquanto massonico e onusiano : quello di mettere in operatività una religione « mediana » secondo l’orribile e devastante modello dell’ONU.
Anche Juliette, in quanto “sentinella in piedi” silenziosa, che aveva manifestato senza esito e con pochissimi altri manifestanti, davanti al parlamento contro la legge in approvazione sull’eutanasia pure per i bambini (!), aveva aggravato il quadro di barbarie già tratteggiato per il paese ormai campione mondiale del nichilismo secolarizzato e del relativismo ideologico con i confinanti Paesi Bassi.
Non c’era da dichiarasi allegri!
Il tutto, in un ristorante borghese di lunghissima tradizione tipicamente bruxellese dal clima facondo, spensierato e ben servito da piatti gustosi e ben belgianamente abbondanti: la “nouvelle cuisine” un po’ stitichina era lì messa al bando da sempre.

 

 

 

  • Prima però dovremo far ai nostri genitori, riferendosi direttamente alla sorella Genéviève, il regalo di un doppio, anzi triplo sposalizio: i due sacramentali e simultanei per noi, e quello economico della loro e nostra grande famiglia. E con particolare rferimento per la loro nuova vita da pensionati attivi e imprenditori, anche di sussidiarietà pratica.
  • La sicurezza del tutto saremmo io e Juliette come figlie, sorelle e mogli, ambedue inserite oltre che azionariamente anche praticamente nel progetto, malgrado il part-time di Juliette che continuerà ad insegnare. Propongo anch’io un doppio matrimonio con una grande cerimonia e festa di conferma della loro coppia di vecchi e felici sposi. La cosa, evidentemente oggi rara, potrà servire anche come anteprima nel lancio dell’impresa dove farò la padrona di casa, con Luca ai fornelli grafico-informatici e Joseph particolarmente a quelli linguistici e concettuali di relazione.
  • Quanto a me, col mio lavoro che amo tanto di professoressa, avrò anche la funzione oggettiva “esterna” di un occhio critico rispetto alla progettualità della ditta e alle sue modalità di realizzazione, nella percezione autonoma e diretta del mercato.
  • A proposito di progettualità, ricordo che la particolarità della nostra azienda sarà il “glocalismo”. Sarà questo concetto, lo sappiamo, il tratto distintivo del nostro posizionamento sui mercati, intervenne Joseph.
  • Questa idea, ben riassunta nel termine inventato dai californiani, è stata proprio quella che mi ha convinto completamente, anche me semplice grafico, per questo progetto a cui manca solo il nome, non cosa da poco, della marca: Joseph lo troverà. Lo troveremo. Si tratta di una idea che non può essere più valida di quella che è in quanto riferita ad un processo marketing che realmente esiste già a livello, si può dire, planetario. Così come la lingua e la cultura – alla base di ogni strategia commenciale – sono fattori chiave universali.
  • Infatti, quando ho scoperto il neologismo a Palo Alto, ho subito pensato alla sua semplicità e alla sua aderenza spontanea alla realtà. Se si pensa a quanti prodotti e tipi di servizio al loro lancio fanno falimento (silenziosamente) a causa della loro cervelloticità intellettualistica nella quale sono stati concepiti!
  • Anch’io sono stata sedotta quando Genéviève me l’ha spiegato, malgrado tutte le difficoltà che lei stessa aveva avanzato. Ho constatato così quanto sia riduttiva e semplicistica – assolutamente non semplice e ideologica – la nostra idea corrente di cultura: quella che noi insegnanti somministriamo al liceo.
  • I californiani, ancor più degli inglesi, o meglio degli anglofoni, che ormai conosco abbastanza già bene a Birmingham, sono i massimi produttori di idee al mondo. Non a caso i britannici hanno deciso il Brexit, non foss’altro che per marcare un disaccordo di fondo con la cultura sterile e disastrosamente statalista del nostro Vecchio Continente. E per sottolineare la loro appartenenza alla radice della cultura anglo-sassone e piuttosto americana. Anche a rischio di una decisione antieuropea contro la stessa storia e struttura geopolitica. Finché l’Unione europea con tutti i paesi che la compongono non cambieranno strategia, cioè non diventeranno veramente liberali, questa tendenza anticontinentale non potrà che svilupparsi.
  • È vero. Ora però vorrei introdurre un altro tema, anzi ”il tema” centrale del glocalismo, quello che ci darà il massimo del filo da torcere nel nostro progetto: ci penso da mesi già passeggiando sul bagnasciuga dell’Oceano Pacifico. Ma prima ordiniamo i nostri dessert. Sono stato contentissimo di aver comandato e divorato il migliore “filet americain” mai mangiato, il “tartare” dei francesi (anche se le “frites”, le patatine fritte, non erano però il massimo).
  • Penso che il “waterzooi di volaille” che ho gustato con il mio amato Luca sia stata la scelta migliore: un piatto unico con pollo, verdure, brodo con panna e patate lesse. Il tutto da mangiare con tre posate secondo la cucina contadina fiamminga. Il mio futuro sposo dice che è un piatto che i suoi veneti – di cultura padana – gradirebbero senz’altro…
  • Un momento, se c’è un piatto supremo è quello che ho ordinato io. La “sole ostendaise”, la giustamente più famosa al mondo tra tutte le sogliole…
  • Spiegaci dunque la natura di questo filo e come poterlo torcere, caro Joseph, intervenne Luca sedando la disputa culinaria già scherzosa.
  • Ebbene, parlare di glocalismo senza possedere già una rete, benché minima, di agenzie situate nei vari continenti si rischia di fare la figura dei “consiglieri e professori” di strategia imprenditoriale e non dei veri imprenditori che, prima realizzano un sistema e poi lo reclamizzano. Non c’è niente di più sterile e inefficace degli “insegnanti contemporanei” – Juliette non me ne vorrà – i quali non sapendo fare, danno la linea.
  • Non dirmelo, tutti sanno quanto sono critica nei confronti del mio settore professionale di cui dispero la crisi totale e forse irreversibile per un lungo, molto lungo, periodo!
  • Bene, in questi sei-nove prossimi mesi, dovrò cercare e soprattutto trovare almeno un simulacro iniziale di rete emblematicamente internazionale a modello concreto del nostro innovativo posizionamento glocalizzato.
  • Ma come farai a far fronte in così poco tempo a cotanto compito? Se penso alla mia difficoltà a trovare un socio, oppure alle pene di una agenzia di pubblicità dove ho lavorato tre anni fa a mettersi in partenariato con una impresetta di comunicazione di New York, vedo che la cosa non è solamente ardua ma quasi impossibile: senza un nostro soggetto già operativo e con non parecchi euro, non molti “sghei”, come dicono dalle mie originarie parti venete.
  • Invece sono piuttosto convinto di farcela in quanto non fondo sulle nostre necessità di essere glocalizzati. Ma sulla loro! O la nostra idea è valida – abbiamo visto che lo è – quindi lo è anche per i nostri corrispondenti esteri, oppure non lo è, quindi si resta al livello dell’utopia.

Un silenzio intenso del quartetto assorto sul dessert aveva reso improvvisamente afona la strana tavola delle due coppie.

 

 

 

  • Non che dubiti sulle tue capacità impreditoriali e creative, ma sono scettica che si possa riuscire così rapidamente senza la proposta preventiva di un modello già realizzato. Ho esperienza nel campo pedagogico di quanto sia difficile, se non impossibile, impartire una direttiva esclusivamente teoretica, riprese la conversazione Juliette.
  • Ben detto. Quello che tu descrivi è un po’ il dilemma dell’uovo e della gallina: nasce prima l’uovo o una bella e feconda pollastra con cui, si sa, si fa buon brodo come quello del vostro waterzooi? Ebbene questo dilemma irrisolvibile va aggirato con due metodi, l’uno trascendente e l’altro fattuale.

Il silenzio pieno di attesa si era riprodotto all’interno dell’intervallo dato dalle due parole chiave: trascendente e fattuale.

  • Non starò a farla lunga per diluire. Non esiste nessuna impresa, non è mai esistito alcun sogno che si sia realizzato senza una fede di acciaio: questo per la trascendenza. Per il concreto, il fattuale, occorre almeno una persona che incarni un mandato operativo: il mandato siete voi, siamo noi. È quello di cui parlano come precondizione i nostri futuri suoceri. Ci ho pensato a lungo. Vi farò due esempi, uno dell’antichità e un altro cristiano, della nostra seppur bistrattata civiltà.
  • Ecco, bene: gli esempi e le immagini mi son sempre piaciuti in genere più che le parole, che però non disdegno…
  • Pensate a due grandi eroi, anche se il paragone potrebbe sembrare tronfio e poco adeguato: Alessandro il macedone detto poi Magno e Benedetto da Norcia, in Italia, diventato poi santo.
    Il primo si dovette fermare con i suoi progressivi eserciti solo sulle rive dell’Oceano Indiano: nessuno ci avrebbe scommesso una dracma che i greci raffinati, i più raffinati e sofisticati dell’epoca e alquanto inevitabilmente “rammolliti” dalla loro stessa civiltà, avrebbero sconfitto il potentissimo esercito persiano fino a combinare matrimoni greco-indiani al passaggio con i suoi miliziani, sotto la guida inaudita e suprema di un ragazzo appena più che venticinquenne.
    Il secondo riferimento, un monaco originario di una piccola borgata nell’Italia dell’Alto Medio Evo (ora epicentro dei terremoti in Umbria), costituì la più grande rete di monasteri alla base di tutta la civiltà occidentale. Il tutto dopo tre tentativi di avvelenamento da parte dei suoi stessi monaci che erano in disaccordo con la sua famosissima “Regula”, fondata sullo slogan universale “Prega e Lavora” (Ora et Labora). Benedetto diventò santo protettore dell’Europa.
    È quindi la nostra unità di fede e la nostra determinazione operativa che potranno assicurare – se Dio vuole – quello che ora ci appare come un miracolo irrealizzabile.

Un silenzio, il terzo, non imbarazzato ma di massima densità e loquace di assenso, aveva per alcuni istanti riunito il quartetto in una altissima unità non meno che trascendente.
Luca stava pensando che aveva appena assistito alla prima prova che il giovane avesse veramente la stoffa, il temperamento malgrado la giovane étà, dell’imprenditore di razza indiscutibile.

 

 

 

Nel frattempo, i genitori di Julette e Genéviève, sapendo dell’amicizia delle loro due figlie per Félicien, chiesero di incontrare il seminarista già ben adulto. L’incontro avvenne nella parrocchia in cui aveva maturato, tardivamente, la sua solida vocazione.
Per la vallona Marine e l’olandese Jan, le loro due figlie costituivano naturalmente il bene più prezioso. Malgrado il relativo successo professionale ed economico soprattutto nel Congo, tutto il loro amore era sempre stato concentrato genitorialmente sulla loro famiglia e sui principi universali che la fondavano. Si trattava di due tranquilli cattolici, tipicamente rappresentativi della tradizione attiva e fattiva di un certo nord dell’Europa sociologicamente fedele ad una cultura, fino agli anni cinquanta, profondamente cristiana e popolare. Avevano assistito negli anni successivi allo sgretolamento dei valori religiosi fino al loro fatale sfacelo negli ultimi decenni. Come tutti gli emigrati – in Congo lo erano a tutti gli effetti – avevano conservato gelosamente in famiglia le tradizioni e i principi che li fondavano molto più delle loro comunità d’origine rimaste sedentarie. Vivevano così, anche dopo il loro ritorno drammatico in Belgio, nel timore quasi impotente per il destino generale dell’umanità e delle loro figlie, veri e prestigiosi “orecchini di perla” della madre francofona Marine, come lei soleva dire. Il più preoccupato era Jan. Vedeva la dissipazione sia nella sua famiglia protestante olandese che in quelle bruxellesi, nella città dove si era stabilito dopo il suo battesimo e matrimonio cattolico.

  • Caro Père Félicien, siamo qui come pellegrini in cerca di favori per le nostre due figlie che sappiamo essere felicemente tue amiche.
  • Oh, non sono ancora sacerdote. Diventerò Père, padre ordinato sacerdote solo in giugno.
  • In quanto padre biologico, ma non solo, sono molto preoccupato della loro sorte. Anche se ultimamente la Vergine sembra aver ascoltato i nostri rosari. Ambedue si sono, diciamo così, fidanzate con due ragazzi che ci sembrano molto a modo e seriamente impegnati. Sappiamo che ti stimano e possono godere della tua influente amicizia. Cerchiamo di fare tutto il possibile per loro: i pericoli del nostro mondo cosiddetto moderno sono tali che stiamo – Marine ed io – sempre in apprensione.
  • Provvidenzialmente credo che avete ricevuto Grazia. Ho parlato anche con Genéviève e Joseph qualche giorno fa e sono molto contento di loro, almeno quanto per Juliette e Luca. Anzi, oltre che per Genéviève che conosco bene non da molto – io sono piuttosto della generazione di Juliette –, stimo il suo fidanzato che ora è tornato definitivamente dalla California. Abbiamo parecchio parlato dei loro progetti di fondare una ditta destinata a diventare internazionale, anzi “glocalizzata”, come loro dicono. Ne sono anch’io entusiasta. Ma soprattutto sono particolarmente felice della loro rara coscienza cristiana e della cultura attiva verso la DSC (la Dottrina Sociale della Chiesa)!
  • Vero, anche noi. Sebbene non abbia non troppo capito, come mamma e futura suocera, il loro mi sembra un ragionevole piano economico. È per questo che siamo disposti ad aiutarli sul piano economico anche sostanzialmente. Ma soprattutto, vorremmo aiutarli anche con il nostro lavoro attivo. Siamo infatti convinti di non partecipare, senza nulla fare, al furto della nostra generazione nei confronti della loro giovane nel farci pagare l’immeritata pensione dalle loro tasse per circa l’80%!
  • Per non parlare del non gratuito debito pubblico (il 105% del PIL) che i socialisti belgi, come pure i ritrosi cosiddetti liberali, anche fiammighi, hanno appioppato irresponsabilmente sulle loro spalle. Quindi li aiuteremo, anche nelle nostre funzioni da back-office, su due piani: sia finanziariamente per montare e fondare la società che nel lavoro attivo dopo, nell’impresa sempre bisognosa di mano d’opera.
  • Mio marito ha ragione, questo debito pubblico e quest’incacolabile debito per la pensione e prepensione a 56 anni e qualche mese di media in Europa costituisce una vergogna. Solo la Grecia e l’Italia – ora anche la Gran Bretagna – ci superano!
  • La visione di cui parlate vi fa onore. Capisco ora anche certe origini della passione imprenditoriale e di libertà che li animano.
  • Beh, noi abbiamo fatto il possibile per educarli alla libertà e al rischio: i due valori che mi hanno condotto nell’allora cattolico Belgio e poi nel Congo, sebbene tardivamente.
  • Forse non dovrei dirvelo, ma mi hanno chiesto di essere il celebrante al loro doppio e simultaneo matrimonio che hanno l’intenzione di dedicare alla vostra fedeltà e fecondità matrimoniale… Sarebbe anche per me una bella festa come primo impegno ministeriale.
  • Bellissimo anche per noi, come entrata nella nostra nuova vita sussidiaria, aggiunse Marine.
  • Anche per Juliette, seppur insegnante, sarebbe una scelta familiare perfetta: chi ha detto che essere funzionari significa essere inchiodati al parassitimo statalista?
  • Venite, andiamo nella cappella della parrocchia a recitare una decina di rosario come ringraziamento alla Vergine per la vostra grande Famiglia che si arricchisce di un nuovo progetto e di due mariti in piena vocazione cristiana.
    Come la preghiera possa razionalmente integrarsi nella progettualità, anche la più implicante e rischiosa, all’interno dei calcoli umani, resterà sempre un Mistero dell’imprenditorialità nella famiglia.

 

Bruxelles, 7 novembre 2016

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’autore

Nel 1977, Franco Troiano (1944) fonda a Bruxelles il Gruppo Eurologos, che è oggi costituito da tre agenzie pilota (Eurologos, Littera Graphis e Telos) e da una quindicina di sedi “glocalizzate” su quattro continenti (www.eurologos.com). La figlia Odile ora ne sta riprendendo la nuova direzione. L’autore di questa novella, che fa parte come seconda di una nuova triade rispetto alla precedente pubblicata nel 1994 e attualmente dedicata all’imprenditorialità familiare, ha scritto diversi libri di traduttologia applicata, editi anche su Internet. Cattolico praticante, l’autore è sempre alla testa del suo gruppo di comunicazione multilingue che, naturalmente, continua a creare nuove agenzie nel mondo intero. Attivo nella lotta al nichilismo e al relativismo della nostra epoca, dà varie conferenze, anche nelle università europee, di cui certi testi sono pubblicati sui siti web delle sue imprese e sul suo Blog (www.francamente2.com).

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