Il carattere « secondo » della cultura europea a fondamento della sua universalità, descritto dal filosofo francese Brague. Ecco scoperto perché sono sempre stato eurocentrico, malgrado tutto.

Mi sono sempre dichiarato eurocentrico per intuizioni che non mai saputo veramente motivare.
Le mie conoscenze attive e critiche contro l’attuale Europa, contro le sue concezioni stataliste, burocratiche e tecnocratiche, conformistiche e politicamente politiciste, principalmente dipendenti dal fatto che vivo e lavoro da una quarantina d’anni a Bruxelles, mi avrebbero dovuto portare a pensare il contrario. Il colpo di grazia mi è giunto, da questo punto di vista, quando la direzione relativista, antistorica e falsamente liberale di Giscard d’Estaing, ex presidente della Francia, ha pure deciso di non inserire, in quella che veniva chiamata la Costituzione europea, le origini ben evidenti e in modo clamoroso, riassunte nella nozione delle “radici giudeo-cristiane” del nostro Vecchio Continente. Per non parlare delle sue arroganze laiciste, anche illegali, dove essa si diletta a produrre valanghe di raccomandazioni politiche su campi di cui non ha ricevuto nessun mandato democratico: come quello della Famiglia!
La mia insistenza a pensare e a scrivere sull’eurocentrismo culturale planetario (anche in questo Blog e nei miei libri) ha appena trovato una spiegazione profonda la quale mi solleva da una sottile vergogna pubblica che mi accompagna non troppo segretamente da decenni. Un filosofo cattolico francese mi ha svelato in un libro pubblicato in italiano, con la collaborazione non marginale di una giovane brillante filosofa anche di Milano, mia città eternamente di appartenenza: Elisa Grimi, tra l’altro direttrice della rivista “Philosophical News”. Esistono in Europa pensatori che ancora pensano veramente, non lobotomizzati, come la gran massa dei loro colleghi al “pensiero unico”, “debole” e superficiale.
Il nome di questo grande scrittore cristiano è Rémi Brague: non bisogna dimenticarlo, anche per la sua intelligenza ben certificata da più di un quarto di secolo con la pubblicazione di ciò che viene considerato forse il suo capolavoro: “Europe, la voie romaine”.
Ora pubblica – con una intervista e un saggio della rigorosa, sorprendente e molto intraprendente Grimi  – (nelle edizioni Cantagalli, Siena, 2015) il libro “Contro il cristianismo e l’umanismo” con il sottotitolo “Il perdono dell’Occidente”. Brague dispone di quello che viene chiamato spesso “il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo del cuore “. L’implacabile intelligenza lucida e l’irriducibile speranza del cuore sono i fattori propri del realismo e della chiaroveggenza del cristiano. Prima ancora di quella dello scrittore di grande valore.

La “cultura seconda”, la concettualizzazione centrale di Brague, è quella che ha cominciato a m’illuminare nella mia mediocre cecità per l’europeismo senza molte parole per descriverlo.
L’Europa, scrive in sostanza Brague, ha fondato la sua fama e la sua preminenza riconosciuta, sul fondo, da tutti i continenti, a partire dal fatto molto umile che tutto il suo pensiero non ha la pretesa “primaria”. Essa ha avuto la capacità concava di capire tutto delle altre culture disseminate mondialmente conservando le loro particolarità nelle categoria ontologica e intatta dell’alterità: ecco la sua superiorità irrangiungibile. La cultura europea è così “seconda” per posizionamento, capace di leggere senza dogmatismo spocchioso, senza fissità statica su se stessa: ciò rende intrinsecamente obsoleta tutt’altra cultura che procede molto generalmente in direzione opposta. Vale a dire che esse integrano, all’interno dei loro limiti storici e per quanto è ad esse possibile (senza fare grandi sforzi ma solo induttivamente), le altre culture che non escono assolutamente da loro stesse.
Ciò che ha reso possibile questo miracolo culturale – che, naturalmente, sfugge ad ogni possibile e facile relativismo – è stato il Mistero dell’incarnazione cristiana che ha trovato in realtà a Roma, non ad Atene o altrove, il suo epicentro storico. È l’impero romano che ha veramente avuto l’intelligenza e la forza, soprattutto missionarie e imperiali, di penetrare nel più grande e decisivo avvenimento della storia, quello cristocentrico di Gerusalemme. Fino alla nozione greca, anche mitica, d’Europa.
Ora il fatto della crisi economica, politica e culturale europea, la più acuta al mondo, non significa certamente che il suo modello originario non costituisca più il paradigma di base della salvezza umana.
È questa sua dimensione “secondaria”, e apparentemente pure inferiore, che la rende predisposta all’universale. È essa stessa che corrisponde intrinsecamente all’idea fondatrice della morte e della resurrezione di Cristo. Le altre religioni non l’hanno capito e, a condizione di una loro rivoluzione culturale e antropologica di tipo veramente radicale, non la comprenderanno mai.
Perchè tutto prende piede – si sa, anche se si finge ideologicamente del contrario – dalla religione, dal ricoscimento della creaturalità umana assolutamente trinitaria.

Ecco dunque a cosa servono i filosofi: a risponder chiaramente e semplicemente agli interrogativi, anche muti, degli umani comuni. Essi sono, si può dire, gli scienziati della ragione.
E, come lo diceva il cardinal Ratzinger futuro Papa Emerito, essi possono solo “scoprire la verità progressivamente”. A una condizione principale, tuttavia. Che essi siano cercatori “totalizzanti e globalizzanti”, come non finiva di ripetere don Giussani, il fondatore grande teologo ed educatore di Comunione e Liberazione: una ricerca verticale e orizzontale, allo stesso tempo. Transcendente ma anche storica e sociopolitica. Rémi Brague è per l’appunto anche teologo e un gran antropologo e sociologo… Egli è uno storico e pure un pedagogo teorico. Insomma, un ricercatore “globale e totale”: una umile creatura credente la quale, di fronte alla meraviglia dell’universo, della vita e dell’umanità, può solo riconoscere, con stupore, il disegno trascendente del suo Creatore.

Laisser un commentaire