Il riduzionismo moderno tra il pensiero unico e la disumanizzazione del relativismo, fino alla follia omicida legalizzata sui bambini. Nell’assenza del senso anche primordiale del peccato.

A quanti messaggi quotidiani siamo sottomessi, noi moderni, nelle interminabili ore di bombardamento dei diversi media in cui galleggiamo appena?
Come può sopravvivere la nostra coscienza critica in questa ecatombe di vera e propria artiglieria pseudoenciclopedica mistificata, largamente eccedentaria e soffocante, la quale ci rende apparentemente iperinformati ma completamente ignoranti su tutto? In sovrappiù la nostra contemporaneità pretende tutto riformare e reinventare: bisogna dunque, secondo la vulgata, essere assolutamente alla moda. La nostra vita è così continuamente in trasformazione sociale, famigliare ed economica. È fatale che si pervenga a soccombere in uno stato di “sedicente spirito critico” sotto gli innumerevoli interrogativi giornalieri, anche falsi e inutili, ai quali dobbiamo rispondere “attivamente”! La televisione, la radio e i media in generale (con i poteri che li alimentano soprattutto attraverso la politica) ci conformano di continuo un nuovo mondo, il nostro detto moderno. E quasi a nostra insaputa, sebbene con un livello di partecipazione illusoriamente richiesto. Mai lo si sarebbe potuto immaginare prima della nostra società massificata. E molto pochi grandi pensatori l’hanno potuto fare. L’opinionismo vago e problematico diventa attualmente la dimensione permanente che ha sostituito quella delle necessarie certezze che la vita d’altri tempi e il desiderio ontologico intrinsecamente ci richiedono sempre. Così tutto diventa necessariamente relativo. Non potendo formulare illico e immediatamente un giudizio compiuto su ogni questione, si finisce per ammettere la possibilità di diversi sensi e varie soluzioni più o meno equivalenti in ogni occasione. Il passo poi di rinunciarci del tutto e sistematicamente, in una passività fatalista e indifferenziata, non è allora molto lontano. Allo scopo di farlo, il potere generale detto della comunicazione, riduce l’inevitabile complessità delle cose. Ne tratta quantitativamente in sovrabbondanza, fino a provocare almeno una leggera ma molto acuta nausea di accompagnamento divenendo riduzionista su ogni questione. Da cui la superficialità e la falsificazione sedativa di ogni problema di cui si ha tendenza a dichiararsi in modo più o meno indifferente: facilmente conformista, d’accordo aprioristico con la configurazione accreditata più corrente e materiale.
Questo atteggiamento si è talmente generalizzato nei cinquanta ultimi anni occidentali che esso è diventato ciò che viene chiamato il “pensiero unico”. Esso è giunto a generalmente costituire l’idea, l’ideologia di riferimento, di tutto il pensiero più corrente: di ogni programma televisivo, della visione culturale dei giornali, della concezione di quasi tutti i libri pubblicati, del posizionamento nel lavoro subordinato, della politica, dell’azione sindacale, fino alla concezione dell’amore…

L’obiettivo di questo pensiero unico non è altro che il nichilismo, il relativismo della nostra epoca.
Tutte le azioni umane ne dipendono: anche le relazioni sono divenute spesso psicologiste. La responsabilità personale si è dissolta nelle sedicenti “regole” psicanalitiche al punto che l’eterno “senso del peccato” sembra sparito. È stato apparentemente inghiottito nei meandri dei subcoscienti che hanno eliminato la soggettività, l’io di ogni uomo nelle reazioni obiettive dei comportamenti  pavloviani e inaggirabili. Perché allora parlare di peccato, di scelta diabolica cosciente e volontaria mentre la psiche sarebbe indotta a spiegare tutti i comportamenti in maniera praticamente automatizzata?
In questo modo, l’individualismo tipico della nostra era giunge a giustificare le decisioni arbitrarie di ogni persona, discolpandola anche di ogni possibile decisione comportamentale anche quasi disumana.
È così diventato un anacronismo parlare dei “sette peccati capitali”. Al punto che anche il peccato, forse il più diffuso della nostra era, quello dell’accidia (il rifiuto del lavoro a favore del divertimento), ha tendenza ad essere considerato una espressione obsoleta. Parola desueta da cancellare dai dizionari sostituendola con “pigrizia” connotata pure di molte accezioni positive (nei due dizionari più diffusi della lingua francese, per esempio, non si trova più la secolare parola acédie).
E pertanto, senza libero arbitrio individuale, senza cioè libertà, non c’è possibilità di definire ontologicamente l’uomo: non è possibile disporre del concetto di umanità e della stessa persona senza la coscienza e la libera volontà dell’individuo. È l’individualismo del nostro mondo riduzionista che ha relativizzato la nozione di individuo fino ad annullarla nel fantasma dell’uomo-massa-modernista (assolutamente non moderno, nel suo inseguimento disperato della novità!). Parlo qui dell’intrapresa più mostruosa della nostra epoca scaturita dalla filosofia illuminista dove si è incominciato a celebrare l’uomo “liberato” dalla sua creaturalità. Vale a dire dal fatto incontestabile di essere stato creato (e ricreato) da Dio, oltre naturalmente e fattualmente dai suoi genitori, anch’essi semplici creature.

Senza questa  coscienza creaturale, l’uomo può solo cadere nel riduzionismo e nel relativismo nichilista.
Prendo per esempio quel che è successo mostruosamente, all’inizio 2014 in Belgio dove vivo da una quarantina d’anni. Sotto il governo socialista del primo ministro, Elio Di Rupo, di famiglia italiana emigrata (originaria di una cittadina vicino a quella mia natale negli Abruzzi) all’epoca dei minatori arrivati a valanghe in cambio ufficiale dell’estrazione e della fornitura di carbone dalle infernali miniere vallone, è stata approvata una legge infame autorizzante la legalizzazione dell’eutanasia (l’assassinio!) anche dei bambini. Non solamente la maggioranza governativa è incredibilmente fiera di questo abominio che, secondo essa, “permette di far fronte alle sofferenze dei bambini malati o andicappati” (semplicemente uccidendoli!).
Così, parlando con molti belgi di origine nordica, ho scoperto che non erano nemmeno al corrente della legge, nell’indifferenza. E, quando li informavo sul misfatto e della sua inumanità, ne trovavo che consideravano, come il politico verosimilmente abbrutito dall’ideologia materialista, il parvenu Di Rupo (naturalmente, non il solo!), che si trattava di una legge di misericordia per i bambini”. I fanciulli, invece, non chiedono altro che vivere intensamente e vorticosamente. In effetti la legge è costruita su misura dei genitori stravolti e pure depravati, ormai incapaci di far fronte all’inevitabile dolore della vita che l’edonismo straccione cerca di sfuggire ancor più che evitare. Ma anche incapaci e contrari a transvalutare nella trasfigurazione l’irriducibile ricchezza della vita che la civiltà, peraltro non solo cristiana, ha sempre celebrato contro la ripugnante e orrible della cultura della morte!
Questi belgi non erano generalmente nemmeno al correntee che i primi barbari  romani precipitavano questi bambini malati o andicappati dalla Rupe Tarpea fracassandoli sulle rocce appena nati… Della stessa ignobile e nauseabonda maniera in uso abitualmente a Sparta, nell’altra e ben orribile Grecia!
Allorquando la vita non è concepita come un dono proprio alle creature sempre divine, si giunge a questi gradi di vera barbarie omicida coprendoli anche di “buoni sentimenti” mistificati e molto ipocriti.

 

Laisser un commentaire