Il comunicato di Carron, responsabile di Comunione e Liberazione, sulla carneficina a Parigi è una interpretazione ancora intimista e spiritualista. Invece si tratta di un ennesimo evvenimento orribilmente antiumano che esige un’analisi orizzontale (non solamente verticale e mistica). E che grida azione contro l’attuale vigliaccheria pacifista e imbecille dell’Occidente.

C’è una idea che circola negli ambienti cattolici secondo cui non bisogna assolutamente attaccare le posizioni cruciali dei movimenti ecclesiali per non aggravare l’indebolimento della parola di Dio nei confronti degli innumerevoli nemici del cristianesimo nella nostra epoca. In realtà – molto spesso – il livello di spocchia e sufficenza all’interno di questi movimenti ecclesiali non potrebbe essere più alto. Tuttavia questa idea sarebbe veramente corretta se ci fosse coincidenza tra l’unità della Chiesa, la verità e queste comunità. Ma si partecipa ad un movimento ecclesiale – lo si sa – scegliendolo soggettivamente secondo il proprio carisma specifico. Ben differente, infine, è l’appartenenza alla Chiesa universale: attraverso i suoi Sacramenti, il Battesimo, il Matrimonio e soprattutto, nella continuità, grazie alla Riconciliazione (dopo la Confessione e la Penitenza). Tutti i cristiani appartengono alla Chiesa salvifica attraverso la frequenza attiva alla sua liturgia e ai suoi atti sacramentali nella comunione con il Papa e i suoi vescovi. La partecipazione ad un movimento ecclesiale è invece conseguente ad un atto relazionale specifico, supplementare e personale. In effetti, i movimenti sono soggetti sia alla preziosa azione dei carismi che li hanno costituiti ma anche a lacune – a volte gravi – che questi carismi portano con sé… Così, mentre  non si può – da un punto di vista escatologico – non essere ben all’interno della Chiesa, si può situarsi tranquillamente al di fuori o ai margini degli innumerevoli movimenti. Anche con una posizione testimoniale apparentemente solitaria e di fedeltà ecclesiale rigorosa. Questo posizionamento, in una era di relativa confusione abbastanza generalizzata nella pratica teologica (indotta da un nichilismo massificato anche dominante) non è poi oggi rarissimo. E questo anche se sono convinto che parecchi nuovi movimenti, che considerano indispensable l’unità indissolubile tra la fede e la cultura per la civiltà, sono e rimangono fondamentali. Io stesso continuo ad appartenere a Comunione e Liberazione, alla sua Compagnia delle Opere e alla nuova associazione antigender scaturita dalle sue radici (spesso sconosciute): Nonni2.0  (www.nonniduepuntozero.eu).

Di conseguenza la critica aperta e pure inesorabile a ciò che si considerano deviazioni riduzioniste oppure estrapolative (per esempio politicistiche) in rapporto alla grande Tradizione ecclesiale, non è solo possibile, ma anche necessaria. Il dovere di criticare fraternamente appare dunque evidente se queste critiche si situano, con misericordia, all’interno della Chiesa nella sua globalità e diversificazione. Ciò che è inaccettabile è l’apparente silenzio altero o spocchioso di fronte a ciò che in altri tempi si sarebbe giudicato eretico. È per l’appunto una posizione eterodossa contemporanea il fatto di considerare  conformisticamente, in modo relativista, tutte le posizioni a priori e in tutti i casi. Soprattutto quelle dei propri leader ai quali bisogna obbedire totalmente e in verità, dunque criticamente, molto criticamente!
Vediamo, per esempio, quello che monsignor Carron, il responsabile di Comunione e Liberazione, ha dichiarato all’indomani degli ultimissimi attentati parigini islamisti, tra i più mortiferi dopo gli sfracelli delle Twin Towers a New York, quelli di Madrid, di Londra, de Charlie Hebdo, di Tunisi, in Asia, in Egitto, in Africa centrale…
“Davanti ai nostri occhi – Carron scrive – c’è un’evidenza: la vita di ciascuno è appesa a un filo, potendo essere uccisi in qualsiasi momento e ovunque, al ristorante, allo stadio o durante un concerto. La possibilità di una morte violenta e feroce è divenuta una realtà anche nelle nostre città. Per questo i fatti di Parigi ci mettono davanti alla domanda decisiva: perché vale la pena vivere? È una provocazione che nessuno di noi può evitare. Cercare una risposta adeguata alla domanda sul significato della nostra vita è l’unico antidoto alla paura che ci assale guardando la televisione in queste ore, è il fondamento che nessun terrore può distruggere. Chiediamo al Signore di poter affrontare questa terribile sfida con gli stessi sentimenti di Cristo che non si lasciò vincere dalla paura: “Oltraggiato non rispondeva con oltraggi, e soffrendo non minacciava vendetta, ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia” (I Pt 2, 23).
Molto bene. Ma come ormai abitualmente negli ultimi anni dopo la morte di don Giussani (il fondatore di CL in via di canonizzazione), il problema non è quello che ha detto ma ciò che Carron non ha detto! Possibile che l’attuale capo del movimento ecclesiale presente e attivo nel mondo intero non abbia da ricordare, sempre autoreferenzialmente (!), intorno al “perché vale la pena di vivere”?
Bisognava, dopo molte centinaia di persone, tra le migliaia di vittime, che abbiano ricevuto ancora nel loro corpo proiettili di armi automatiche, che la guida di uno dei più importanti (forse il più importante) movimenti cattolici al mondo si limiti a porre la questione – oh quanto ocasionalmente banale e pleonastica – sul valore della vita? Possibile che come linea d’azione non sappia indicare al suo movimento (dunque al mondo intero) altro che la sacrosanta e irrimpiazzabile preghiera?

Ciò che è in gioco è un’analisi culturale che possa dare linee d’azione e reazione alle genti (tantopiù che è molto disorientata): linee strategiche naturalmente (oltreché tattiche e immediate). Compresi  gli innumerevoli correligionari musulmani dei terroristi, già molto disponibili à smarcarsi dal fanatismo assassino della “guerra santa” della jihad. Ciò che è in gioco è anche il discorso storico e pertinente di papa Benedetto XVI a Ratisbona.
In breve, ciò che è in gioco è tutto il discorso, abitualmente rimosso o dimesso, soprattutto sull’orizzontalità di questo mondo. Ciò di cui si ha estremamente necessità è di una reazione popolare moderna, culturalmente armata da un punto di vista della missione cristiana. E questo dopo l’immenso sacrificio degli 813 cristiani decapitati a Otranto nel 1480, tutti santificati nel 2013. Avevano seguito l’esempio del loro vescovo martire. Sotto l’armata del re di Napoli e sotto il fervore dell’eccezionale sacrificio di fede di tutti gli uomini della cittadina pugliese (che avevano scelto la morte sapendo anche le loro donne e i figli destinati alla schiavitù), les popolazioni meridionali erano riuscite a mettere in fuga gli invasori islamisti. Questi volevano, beninteso, continuare nella loro follia criminale e sottomettere, infine, Roma.
Ciò di cui si è particolarmente bisognosi è di ritrovare la dimensione spirituale e vitale del popolo cristiano a Poitier nel 732 o a Lepanto nel 1571. Oppure nella Vienna del 1683: sotto il comando anche di Eugenio di Savoia, principe cattolico torinese, i cristiani seppero battere ancora una volta l’abituale ed intrinseca aggressività irreligiosa degli islamisti giunti alla conquista della capitale dell’impero austro-ungarico. Senza queste battaglie vittoriose e le diverse sante Crociate, saremmo oggi in Europa, verosimilmente, tutti musulmani. La preghiera  e la meditazione sul valore del dono eterno della vita, ricordato da Carron, non possono che accompagnare e motivare – e non rimpiazzare! – la determinazione a difendere la libertà della civiltà che il cristianesimo, e solo il cristianesimo, ha regalato universalmente all’umanità. Ciò che non va assolutamente nel discorso di Carron, in effetti, è l’altra metà non detta della sua dichiarazione che adesso, si direbbe, anche coscientemente omessa. Peraltro questo riduzionismo è ormai patologico avendo scartato realmente la fatidica totalità e globalità carismatica giussaniana. E questo malgrado che tutta questa immensa tradizione culturale ecclesiale di CL sia ancora ben presente nel suo DNA. E negli spiriti attivi di molti dei suoi fedeli all’insegnamento di don Gius, condiviso e ammirato dagli ultimi papi veramente provvidenziali per la salvezza della Chiesa.

Si tratta tutta l’orizzontalità tralasciata, ora sottovalutata e negata dell’immenso corpus vitale, teologico ed ecclesiologico che don Giussani, e i cinquant’anni  della sua pastorale, hanno tramandato a CL e  alla Chiesa. Ma attualmente la direzione di CL fa coincidere tutta la parte sociale e politico-culturale con la sedicente semplice “testimonianza personale”, fatalmente così indeterminata e psicologistica (in una spaventosa ignoranza senza missione). Come se ci sia contraddizione tra le due necessarie e inseparabili  testimonianze (dell’individuo e della comunità): l’essenza stessa del carisma del fondatore e immenso pastore!
Per fortuna questo patrimonio ha cominciato a tracimare da parecchi anni – grazie alla sua abbondanza e giustezza divine – e si diffonde allargandosi grazie allo Spirito Santo che soffia quando e dove vuole.
Con il discorso ridotto di Carron, che si può ritrovare esplicitamente e in filigrana nel suo libro apparentemente ortodosso alla tradizione di Comunione e Liberazione appena pubblicato (La bellezza disarmata, Rizzoli), di direbbe che CL conferma la sua attuale tendenza mostruosamente spiritualista. Per conseguenza, dunque, lontana dalla dimensione pubblica e da quella politica, come lo faceva L’Azione Cattolica a cavallo degli anni ’50-’60 (me ricordo molto bene). Don Giussani, il più grande educatore al mondo del secolo scorso, ha combattuto tutta la sua vita – con il suo movimento ora deviato – contro questa ideologia riduzionista e sterilmente astratta: Gesù non è mai stato spiritualista. É venuto per salvare gli uomini e il loro mondo annunciando un Regno dei Cieli che comincia, in ogni caso, quaggiù. Qui da noi.

 

 

 

 

 

 

Laisser un commentaire