Da dove viene lo statalismo? Beninteso è lo Stato che é statalista affermando il suo dominio sulla Persona malgrado la libertà individuale e sociale. Ma chi gli conferisce questo potere statalista? Noi i popoli subordinati! Il ruolo dei nonni.

Ho appena letto una intervista ad un sindacalista pubblicata da un quotidano cattolico in cui si lamenta della decisione del governo di non ridurre, come promesso in modo peraltro scervellato, l’età pensionabile. Abitualmente quasi tutti vorrebbero essere pensionati come in… Grecia, secondo l’attuale ideologia dei sindacati e dell’edonismo straccione generalizzato, all’età di ventiquattro anni (senza mai aver lavorato e se figlio di statale!); oppure come in Italia fino a non moltissimi anni fa per tutti a 38 anni, a condizione di avere 18 anni di lavoro: ho una parente pensionata che ha lavorato giust’appunto da 20 a 38 anni, con il precedente di sua madre molto vivace malgrado i suoi 97 anni… Se tutto dovesse  riprodursi, questa imparentata potrebbe vivere pensionata, in tutta legalità, una sessantina d’anni o più avendo pagato marchette per meno di una ventina!
Inutile cercare in tutti i propositi rivendicativi registrati nell’intervista letta una preoccupazione economica o un paragone probante con altri paesi virtuosi, per esempio europei. Siccome abitualmene i sindacati non parlano mai dell’età reale dei pensionati e prepensionati in Europa che, ohibò, è mediamente di 56 anni e qualche mese (secondo statistiche per difetto di tre anni fa); e siccome a 71 anni lavoro ancora, e ce n’è molti che lo fanno anche più tardi, la media reale è anche superiore! Se poi si aggiunge che si è calcolato che i contributi versati non superano mai il 15-20% dei costi reali delle pensioni, si ha una idea veramente globale del problema: chi paga? Nè il sindacalista né il giornalista se lo chiedono. Il cosiddetto giornalista, come quasi tutti i suoi colleghi sono completamente ignari di queste cose. Sarebbe troppo colto e professionale per la loro funzione e per pensare di realizzare una intervista la quale non può assolutamente assecondare pedissequamente e sostenere le tesi dell’intevistato. Bisogna piuttosto porsi dal punto di vista di chi paga: vale a dire i suoi lettori che vorrebbero essere informati veramente, e il  contribuente che salda la fattura globale dei costi sociali con le tasse che, va da sé, aumentano incredibilmente e di cui non si parla spessissimo neanche per sottintesi o allusioni.

Di cosa invece parla l’articolo sia nelle domande che nelle risposte?
Innanzitutto del fatto che i loro famosi “lavoratori” ormai si apettano che la riduzione dell’età della pensione sia velocemente introdotta e “liberalizzata” (secondo pure il “tipo di professione” e i “desideri espressi”). La teoria dei desideri delle masse popolari che, ripetono anche senza esplicitarla nell’intervista, di cui i sindacati (ma non solo) hanno fatto il loro idolo, porta a considerare già un diritto acquisito una possibile concessione elettoralistica come la maggior parte dei privilegi accumulati indébitamente in cinquant’anni. Perché accumulati indebitamente? Per il semplice motivo che, perché la cosa potesse realizzarsi, gli Stati hanno dovuto indebitarsi mostruosamente senza mai rimborsare un centesimo! E la cosa continua mettendo tutto ed incredibilmente sulle spalle delle generazioni future.
Il secondo argomento avanzato nell’articolo è stato il remake di un molto vecchio paralogismo, come sempre falso e ipocritamente odioso, che viene ripetuto impunemente dall’inizio degli anni ’70: non mettere in pensione la  gente sarebbe a discapito dei giovani che non potrebbero prendere il loro posto di lavoro… Ma chi paga? Si dovrebbe piuttosto dire che i candidati alla cuccagna della pensione a gogo, e pagata sulla base dell’ultima paga (spesso anche regalata, tanto paga Pantalone), dovrebbero lavorare anche più a lungo per creare ricchezza da investire in innovazione e tecnologia per generare veri posti di lavoro, nuovi e necessari. Quante volte lo si è già inutilmente ripetuto, nei decenni passati! Si tratta di una evidenza economica e progettuale anche intuitiva, oltre che stabilita dai più grandi economisti della storia e da molte esperienze. Invece le società narcisistiche e spendaccione nell’ultimo mezzo secolo non han fatto che creare debiti non rimborsabili: pagheranno i nipoti! Senza contare che gli interessi di questi debiti, per l’Italia, si aggirano sui 90 miliardi (!) di euro che devono essere pagati, quelli sì, puntualmente ogni anno. Naturalmente sottratti, fra l’altro, agli investimenti per l’innovazione, lo sviluppo e la lotta alla disoccupazione record. Ma sa il giornalista intervistatore che il governo non ha potuto investire che quasi un trentesimo di questa somma gigantesca malgrado che la disoccupazione dei giovani (al 50% in Europa) e la sua precarietà generale sono  considerate i problemi più importanti? Il livello di falsificazione beata e beota disseminato nell’articolo in questione è ben più spaventoso che ridicolo. Da cui la risposta alla domanda sull’origine dello statalismo proprio a questo welfare state in fallimento: sono le popolazioni con la loro avidità, la loro ignoranza e la loro cattiva fede a generare presso gli Stati uno statalismo catastrofico e corruttore.

Quanto all’avidità e alla cattiva fede, non penso  che sia necessario ulteriormente argomentare.
I cattolici, in sovrappiù, che hanno ancora il senso del peccato, non hanno (non dovrebbero aver) bisogno che si spieghi loro lungamente che fare debiti pure antidemocraticamente sulla schiena dei nipoti, sia molto… cristiano. Invece relativamente all’ignoranza delle cose, non sono per nulla affrancati. Per una ragione propria alla mancanza di coscienza in relazione ai valori specificatamente cristiani, non inclusi generalmente nelle formazioni delle loro organizzazioni ecclesiali. Così sul piano sociale, sfugge loro il valore non negoziabile della Persona e della sua libertà.
Ho anche appena letto, da parte di una corrente cattolica di questi militanti in un partito di sinistra ex-comunista, un comunicato che ricorda il loro sostegno – senza che lo sospettino – alla supremazia dello Stato sulla detta Persona. Il tutto in nome del loro famoso progressismo: il cancro mortale delle nostre società stataliste e falsamente edoniste.
È là che il ruolo dei nonni diventa cruciale: la loro esperienza “storica” molto lunga e ormai necessariamente sapiente, dovrebbe fornire loro gli strumenti critici in grado di analizzare la massificazione culturale (nel qualcaso, il “pensiero unico” del politically correct) nel quale viviamo.
Alla condizione però che prima facciano una autocritica radicale per gli errori commessi dalla loro (la mia!) generazione scialacquatrice: tutti gli orrori presenti non sono per nulla estranei alla loro esperienza (e responsabilità).

Non mi resta a questo punto che svelare il titolo del quotidiano e i nomi dei due protagonisti dell’articolo-intervista. Si tratta de Il Sussidiario, il quotidiano cattolico del movimento a cui appartengo e che che ho già inserito nella lista dei link di questo Blog. Il sindacalista naturalmente statalista è Domenico Proietti. E il giornalista molto complice è Pietro Vernizzi. Bisognava che lo dicessi.

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