Quali sono i valori e i contenuti che i nonni (di fianco ai genitori) devono tramandare alle generazioni seguenti? Come stabilirne le gerarchie soprattutto nella nostra epoca fondamentalmente nichilista?

Sto compiendo il mio settantaduesimo anno e lavoro sempre nell’impresa da me fondata. Mia madre, bisnonna, è alla novantottesima primavera. Non è rarissimo vedere attorno a noi centenari: alla messa della mia parrocchia a Bruxelles, la raccolta delle offerte è realizzata in piena naturalezza da una giovinetta molto vispa che questa estate ha festeggiato i suoi… 102 anni.
I demografi scrivono articoli socioeconomici spesso giustamente allarmistici sull’invecchiamento della popolazione, forse dimenticando sistematicamente che Matusalemme è morto solo a… 969 anni (la Bibbia lo dice prima che se ne si faccia la persona più mitica per la longevità).
Quando ho cominciato a lavorare in officina nel 1959, il primo funerale cui ho assistito attivamente era di un collega di lavoro che aveva appena 65 anni: aveva da poco incominciato la sua pensione e non era stata giudicata cosa molto sorprendente dagli altri operai il fatto che sia passato a miglior vita così presto.
La vecchiaia è diventata così l’età più duratura e più importante in disponibilità relazionale nella vita.
E siccome i nonni sono stati sempre definiti tra gli educatori più qualificati per l’infanzia e la gioventù, stanno riprendendo un ruolo ancora più centrale nella continuità generazionale delle famiglie. Non fosse che per la durata della loro vita e per la funzione (ancora molto nascosta, ma sempre meno) del loro intervento  in rapporto ai genitori, loro figli, e nei confronti dei figli nipoti. Questa funzione è oggi (e si prospetta anche per il futuro) molto economica e molto sussidiaria a causa delle enormi difficoltà degli attuali giovani genitori in piena crisi socioculturale e anche, in sovrappiù, antropologica.
Come si sa per evidenza che i nonni costituiscono per antonomasia gli attori protagonisti del tramandare della tradizione, il loro ruolo nella moderna struttura della famiglia è molto già evoluto. Ma la famiglia è il nocciolo centrale della società che s’è più degradato, al punto che la Chiesa (e non solamente) la considera l’entità più malata e nel bisogno più acuto di terapie intensive.
Qual è dunque questa nuova funzione dei nonni? Quali sono i valori ai quali sono chiamati a collaborare attivamente con i genitoi nell’educazione dei bambini e più grandi? Come possono contribuire, con la loro proverbiale esperienza vitale e culturale, a gerachizzare i contenuti critici di fronte alla nuova visione esistenziale che la società contemporanea sta imponendo in ciò che viene definita la devastazione del “pensiero unico”?
Ponendomi queste domande ho trovato la risposta per l’adesione all’associazione Nonni2.0  www.nonniduepuntozero.eu (in francese grands-parents, nozione che preferisco all’italiana in quanto mi indica l’analogia famigliare comparativamente e educativamente di pertinenza).

Per educare – lo si sa, anche se nei nostri giorni non se ne tiene arbitrariamente conto –  bisogna ben saper “a che cosa” e “a partire da che”: vale a dire verso la salvezza dell’uomo annunciata nella storia di vari millenari (compresa soprattutto la Rivelazione) e nella situazione attuale dove questa Tradizione è negata; e si cerca di reinventarne il martello e la ruota, sebbene con la pretesa e “portentosa” tecnoscienza. Bisogna educare (rieducare) alla creaturalità, all’appartenenza: l’uomo è innanzi tutto una “creatura” che è stata creata da, logicamente, un Creatore (dunque anche dei suoi stessi genitori); e lo stesso uomo “appartiene” alla sua trascendenza, non è una monade solipsistica che appartiene solo a sé stessa (dunque al proprio nulla). Dall’educazione religiosa (che vuol dire religata, già dal proprio etimo) tutto dipende. E senza di essa ci si ritrova inevitabilmente nel relativismo nichilista dell’esistenza contemporanea che cerca di inventare tutto come se il cosmo si trovasse oggi solo al suo bing-bang. Quest’ultimo però e a sua volta, esso stesso appartenente ad un Soggetto superiore e Creatore. Di questo principio fondamentale e generatore (che la Tradizione ha chiamato Fede), discende l’analisi del reale, vale a dire l’”a partire da cosa”, cioè l’attuale situazione culturale, economica e politica. In effetti, una educazione che fa astrazione da questo ”a partire da cosa”, dalla realtà, dalla situazione nella quale si vive, non è certamente una vera educazione. Così essa non fa così che avallare oggettivamente, ed anche molto efficacemente, la non educazione oggi individualistica e arbitraria del potere dal “pensiero unico” riduzionista. Il quale porta fatalmente all’imperante statalismo edonista sul gobbone dello Stato, dunque a spese delle generazioni seguenti!
Queste sono i contenuti e le priorità principali di un vero processo educativo nella nostra era.

Ma c’è anche una ragione specifica per la quale la funzione educativa dei nonni diventa – dovrebbe diventare  –  ancora più esemplare, soprattutto grazie alla dimensione sociale e storica.
Questa generazione di nonni è la stessa che si è resa responsabile, anche politicamente nell’ultimo mezzo secolo, della generalizzazione dell’ideologia del nichilismo e della sua conseguente ideologia statalista (con i suoi giganteschi debiti pubblici che aumentano continuamente…). L’affermazione del dominio, a tutti i livelli, dello Stato sulla Persona, dotata della sua libertà sacra e intangibile, non è mai stata così alta e operativa!
Il fatto che dei nonni si rendano protagonisti di promuovere e di divulgare questa analisi, pure autocritica, può solo aggiungere valore alla verità di questo rapporto radicale con il mondo contemporaneo. E sappiamo tutti come il nichilismo che si vuole dominante neghi totalmente la possibilità dell’esistenza stessa della verità.
Il valore di una educazione globale è sempre così il risultato di un ancoraggio coniugato nella verticalità del Cielo e nell’orizzontalità della Terra.

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