Seguito e fine delle critiche alla decina di motivazioni di parecchi cristiani contrari alle manifestazioni in opposizione alle leggi e le pratiche Gender. Quando la testimonianza personale è inscritta in quella ecclesiale e pubblica…

Riprendo e concludo le critiche alle ultime cinque o sei motivazioni addotte da miei amici cristiani in Italia e belgi per non partecipare a manifestazioni pubbliche contro l’attacco inaudito e forsennato fino alle proteste di leggi totalitarie e scellerate del Gender. A dire il vero, alcune di queste argomentazioni contro le proteste civili e religiose in piazza erano già state espresse in occasione della manifestazione a Parigi di gennaio 2015. Mia moglie vi aveva anche incontrato un nutrito gruppo di bergamaschi che, con bandiere e striscioni, si erano fatti ben riconoscere. È ancora forse da ricordare che queste motivazioni per chiamarsi fuori da parte di cattolici delle parrocchie e di alcuni movimenti ecclesiali, non vertono generalmente sui contenuti e sugli obiettivi da raggiungere, ma sulla cosiddetta metodologia di lotta o di protesta. La fondamentale fra queste ecogitate e presentate è quella detta delle “nuove catacombe”: non reagire pubblicamente, cioè, ma solo privatamente ed in modo indiretto. La mancanza totale di fondamento umano dell’attacco Gender – recitano questi cristiani intimiditi, paurosi e pure, a ben vedere, altezzosi – può essere solo vissuta e dimostrata dall’esperienza profondamente esperimentata nella vita della comunità cristiana. È dalla radice e dalla natura propria dell’”Io” identitario che inequivocabilmente si percepisce l’estraneità scervellata e cervellotica delle proposte scaturite dal LGBT. Del resto è positivamente, nell’esperienza diretta della famiglia e del perseguimento autenticamente vocazionale della persona, che si capisce inequivocabilmente quanto le ideologie del Gender siano intellettualistiche e disperatamente astratte oltreché perverse.

Tutto giusto, giustissimo. Ma nulla, proprio nulla osta a che tutto ciò sia comunicato, manifesto e testimoniato pubblicamente. La stessa difesa delle condizioni del dialogo (sesto punto) non può che cominciare, sostanziarsi – a tutti i livelli – compresa la piazza. Il topos del Vangelo e dell’Antico Testamento è una immensa piazza: gli episodi privati o intimi sono pure piuttosto rari. Cristo non ne ha mai avuto veramente paura: anche di fronte alla Sua settimana di Passione e Morte non ha esitato – di fronte ai Suoi spesso sgomentati e atterriti Apostoli – ad entrare nelle strade e piazze di Gerusalemme in festa ebraica, come ogni fedele ebreo. Solo ciò ha permesso la Sua Resurrezione.
Passo qui ancora a parlare della testimonianza (punto 7). Testimonianza di che? Innanzitutto del Mistero e del fatto straordinario che siffatto mistero è proprio della ragione, facendone parte integrante: è questo il tratto essenziale della religiosità autentica. La razionalità del reale, della realtà tutta, è composta di fattuale tangibile e di Mistero, di trascendente. In quanto creature e coscienti di esserle, sappiamo di essere fatti ad immagine di Dio: la nostra testimonianza è dunque sempre duplice, di razionalità e di fede. Per questo essa non può essere formata che dalla speranza che il Mistero possa compensare le lacune e le mancanze della fattualità razionale. Parlare di testimonianza come di una virtù solamente personale non è solo semplicemente riduttivo ma addirittura poco fondato o pericoloso!
In ogni caso, la testimonianza personale fonda sempre le sue radici in quelle della Chiesa globale. Anche quella gratificata di qualità personali proprie alla santità rara. L’idea quindi di ritirarsi nelle catacombe puntando solo sulle relazioni affettive e interpersonali appare in tutta la sua disarmante inanità. Il destino di ogni cristiano è “fare la Chiesa”!. È in questa teleologia che il mondo potrà incontrare l’Avvenimento oltre che il singolo evento così manifestante esso si riveli.

La preoccupazione di “non irritare i laicisti” risulta così marginale e vanesia oltreché inutile: è il Creatore il regista del dialogo che non può realizzarsi che nella totale libertà reciproca. Nemmeno il colto silenzio martire delle oltretutto alquanto neglette Sentinelle in Piedi è finora riuscito, apparentemente, al minimo dialogo con gli assatanati militanti LGBT. Figurarsi da parte dei pusillanimi rinunciatari e assenteisti sul piano pubblico (punto 8), nemmeno stimabili a causa della loro pavidità anche culturale.
Così anche il giusto ripiegamento nella preghiera e nel silenzio attivamente meditato può scadere nel fatidico giudizio o pregiudizio mondano del bigottismo malamente calunniato come “medievale” oppure “retrogado” in “inutili battaglie di retroguardia”. Lo si è anche sentito ripetere dai falsi sedicenti cattolici progressisti che forse nemmeno si accorgono di voler aggiornare la Chiesa e il cristianesimo sulla base delle codiddette novità culturali del mondo. Senza porsi il problema di sapere se queste trasformazioni non siano il frutto dell’opera costante ed efficace di Satana. Il vescovo belga e fiammingo di Anversa, in combutta evidente con una parte dell’adiacente Chiesa cattoprotestante olandese e tedesca, ha perfino scritto una lettera irreligiosa al Papa Francesco prima del Sinodo 2014. Ne ha appena scritta un’altra in cui la Tradizione della Chiesa è ancora intesa come subordinata all’involuzione ateista e narcisista delle società edoniste dell’Occidente. Quelle in cui, anche il grande cardinale milanese Scola, in una recentissima omelia in Libano, ha diffidato i cristiani perseguitati mediorientali di sperare nell’Occidente.
Affinché il male si presenti e si imponga, basta che i veri cristiani si ritirino.

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